ELENA SCOLARI | Proseguiamo dopo la prima parte con la seconda e ultima puntata del reportage da Siena per In-Box dal vivo – edizione 2019, organizzato da Straligut teatro.

Per contestualizzare meglio alcune valutazioni critiche può essere interessante accennare a una riflessione fatta con gli operatori presenti a Siena, dopo la visione dal vivo degli spettacoli. Molti di loro erano sorpresi e di avviso assai distante rispetto al giudizio dato ai lavori visti (e scelti) in video. Ovviamente il video è uno strumento e nasconde sudore e respiro, ma è paradossale che, proprio per questo, un mezzo di norma considerato come riduttivo, peggiorativo dell’opera in diretta, diventi in alcuni casi invece un veicolo che la nobilita, se il videomaker è particolarmente bravo. E che la carnalità della presenza mostri invece debolezze e fragilità che la camera aveva celato.

Anche alla luce di questa osservazione, riprendiamo ora il percorso tra gli spettacoli visti.
Non prendiate questa notazione con cattivo animo ma ci ha lasciato francamente sconcertati che – tra le centinaia di progetti presentati – sia arrivato in finale Farsi fuori di Luisa Merloni/Psicopompo Teatro. Uno spettacolo che abbiamo trovato molto molto datato, abborracciato e sconclusionato nel testo e con una regia quasi assente, in cui gli attori non sanno bene dove mettersi, in scena.
farsi-fuori-3Si parla di maternità facendo una parodia “moderna” dell’annunciazione (ma rimane divinamente insuperata quella della Smorfia di Troisi, Arena e De Caro) portata a una donna d’oggi, con tanto di arcangelo alato che parla con accento argentino per adeguarsi al papa attuale. Ma questo potrebbe anche andare bene, se il risultato sorprendesse un po’. Invece le battute sono impolverate e lo spirito di rivalsa delle donne che scelgono di non figliare fu detto con decisione incandescente quasi cinquanta anni fa. Farsi fuori dice cose a volte scontate, a volte discutibili, in maniera poco nitida; uno spettacolo non privo di lungaggini che l’impegno di Luisa Merloni e Marco Quaglia non salva dalla mediocrità. Capiamo che la chiave comica possa essere ritenuta “accattivante”, ma esiste un sapere teatrale, che comprende anche conoscere e rielaborare – solo se si ha una nuova prospettiva da offrire – ciò che è già stato fatto e che non dovrebbe essere così trascurato.

Centrato sulla paternità è invece 46 tentativi di lettera a mio figlio di Claudio Morici, una teoria epistolare piuttosto ironica tramite la quale il protagonista tenta di spiegare al figlio il perché della separazione dei genitori e, già che ci siamo, anche il senso della vita, niente meno. Si ride, il testo prende in giro molti dei luoghi comuni intorno all’essere genitori, e Morici (che ricorda vagamente Celestini per l’ininterrotta verbosità e per l’accento romano), in piedi davanti al microfono in mezzo a giocattoli d’ogni risma, evidenzia non poche contraddizioni e ipocrisie.
Lo spettacolo è godibile, semplice, fatto di una struttura drammaturgica costruita su rimandi tra una lettera e l’altra. Osare un poco di cinismo in più avrebbe forse evitato una chiusa eccessivamente sentimentale a vantaggio di un segno più incisivo.

Nemmeno a Siena si riesce a evitare l’aggettivo “distopico” (non si spiega come si riuscisse a fare teatro e serie televisive prima dell’avvento di questa parola) e Fartagnan Teatro con Aplod, ispirandosi a Black mirror, inventa una dimensione proiettata in un futuro imprecisato in cui una società fortemente gerarchica assegna punteggi ai lavoratori fino a identificarli con la posizione in classifica.
29495855_10215639517124424_7446860588409421824_n-e1521760811463-857x428In scena due impiegati mediocri (uno verrà licenziato) e un terzo, al contrario, molto brillante. Nella suddetta società è vietata la condivisione di video ma esistono piattaforme pirata illegali. I primi convincono l’altro a mettersi in affari con loro girando i video più cretini che fruttano migliaia di like e migliaia di “merkel” (la moneta che circola in questo paese). Aplod vorrebbe essere una favola a tesi che mostra la povertà di ideali dei giovani, ridotti a vivere di like e di consensi effimeri, sognando di diventare youtuber di grido.
L’intenzione è mantenuta in parte ma anche qui ci si perde spesso in spiritosaggini ripetute e non sempre argute (il quarto personaggio – Metroman? – è davvero sconsolante)  che distraggono dal contenuto principale. Va detto che il gruppo Fartagnan si muove in una scena ben costruita, curata, omogenea, che denota attenzione allo spettacolo nel suo insieme.
Sembra però di poter dire che quando si vogliono, giustamente, affrontare i nodi dei cambiamenti di oggi, analizzare come stiamo cambiando (perché mica sono solo i giovani a stare appesi ai like o a produrre video insulsi), non è facile riuscire a essere taglienti, penetranti, arrivando davvero a colpire. Almeno non con la forza dei classici che, un domani, potranno annoverare lavori che vediamo oggi.

Ci congediamo con Maze di Unterwasser, racconto muto di una vita, dal suo concempimento fino a quello che forse è un ricongiungimento con l’universo tutto. Muto perché costruito per immagini, una specie di film a metà tra una scatola magica e il teatro d’ombre; muto perché le tre perfomer (Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio) sono in scena e le si intravede a creare figure, sagome, ambienti con il fil di ferro, con fogli di alluminio, rami, e talora con parti del loro corpo ma mai parlano. La colonna (o dovremmo dire tappeto?!) sonora, minimal anzichenò,  è di Posho e lo diciamo perché ha un ruolo importante nella creazione – più che rarefatta – delle atmosfere di Maze. Le costruzioni di personaggi e luoghi sono proiettate su uno schermo dal punto di vista di questa creatura, brevi neri per i battiti di palpebre, la prospettiva è quella del suo occhio che vede le giostre girare, ci sale, vede i chirurghi chinati su di lui (o lei, è ininfluente). Una dimensione visiva e sonora che lascia (molto) spazio libero per essere riempito con le sensazioni di chi guarda. Una tecnica senza dubbio poetica per l’uso di materiali antimoderni e per la capacità di formare un piccolo mondo in girotondo sognante. Un’invenzione delicata e che fa pensare a quanti modi ci sono di far scorrere la vita davanti ai propri occhi. Magari anche meno lentamente, però.

 

FARSI FUORI

Psicopompo Teatro
con Luisa Merloni Marco Quaglia
voce Alessandra Di Lernia
collaborazione artistica Fiora Blasi
scenografia Gianluca Moro
disegno luci Marco Guerrera
assistente alla regia Cristiano Demurtas
testo e regia Luisa Merloni

46 TENTATIVI DI LETTERA A MIO FIGLIO

drammaturgia e interpretazione e regia Claudio Morici
luci Camilla Chiozza

APLOD

Fartagnan Teatro
scrittura di Rodolfo Ciulla
regia collettiva Rodolfo Ciulla, Michele Fedele, Matteo Giacotto e Giacomo Vigentini
con Federico Antonello, Michele Fedele, Matteo Giacotto e Giacomo Vigentini

MAZE

Unterwasser
Concept, creazione performer Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio
Music and sound design Posho