ILENA AMBROSIO | «Questo spettacolo è una follia!». Le parole esatte, pronunciate con soddisfazione quasi paterna da Gabriele Russo, prima della messa in scena da lui diretta di Il Tempo orizzontale. Dopo La Classe i suoi ragazzi della Bellini Teatro Factory – prossimi al diploma – realizzano per il Napoli Teatro Festival un nuovo lavoro corale, ancora sulla drammaturgia del loro collega Francesco Ferrara.
Un Gran Premio di Formula 1 è la “storia” inscenata dai tredici interpreti che ci si pongono davanti, in uno spazio vuoto e nero, posizionandosi a schiera, rigidi e saldamente impostati nelle loro tute da piloti – molto belli questi costumi di Chiara Aversano ma poveri loro per il caldo! La descrizione degli attimi che precedono la partenza, della tribuna, dei cartelloni degli sponsor e poi, via, si parte. Tendono le braccia a impugnare un volante immaginario e, sul rumore dei motori – ben curato il suono di Alessio Foglia – sono loro stessi a riprodurre quello dello sfrecciare delle auto che si destreggiano tra le curve.
Parlano a turno descrivendo l’evolversi del proprio percorso, le sensazioni date dall’accelerazione, la paura per un rumore anomalo dell’auto; ma anche tra loro dichiarano la rivalità, la competizione. Varia e ben definita la caratterizzazione di questi tipi umani, ciascuno con un preciso profilo “psicologico”: tra le prime posizioni spicca la maniaca del controllo, che non perde mai, che conosce ogni minimo dettaglio della propria auto, che ignora stanchezza e malessere; c’è il desideroso di rivalsa, pronto a sfrecciare con pneumatici da asciutto sull’asfalto bagnato pur di guadagnare posizioni; ci sono anche “i pigri”, gli indolenti che si accontentano placidamente delle ultime posizioni, guidano con una sola mano, fumano una sigaretta e si rilassano su note di musica reggae.
Ma tutti hanno in comune una cosa: vogliono arrivare primi, vogliono farcela, vogliono essere veloci.
Si inizia quasi subito a percepire che tutto ciò con lo sport ha ben poco a che fare. I corpi sono tesi, i volti contratti in un’espressione concentrata, troppo concentrata, che sa un po’ di spasmodica esaltazione e (è proprio vero) di follia.
Questi piloti si fomentano a vicenda, ossessionati dalla velocità, da quel decimo di secondo che può fare la differenza. La prima posizione sembra questione di vita o di morte. La occupano a turno, sgomitando, approfittando del rallentamento dell’altro, accelerando sempre di più. Se la danza, nel suo lirismo, è poesia del corpo, la sequenza di movimenti e gesti realizzata dal gruppo la definirei una “coreografia in prosa”: si spostano in blocco, perfettamente coordinati, a creare composizioni che rappresentino l’evolversi della corsa, il passaggio ai pit stop, ma anche raccontano, con il corpo, le dinamiche “di potere” che si sviluppano, le gerarchie che si definiscono per poi mutare, un istante dopo. Raccontano, poi, lo sfinimento di una gara che sembrano quasi costretti a giocare ma dalla quale non possono ritirarsi. Non ci si può fermare, perché fermarsi «fa venire l’ansia».
Di cosa parlano? Ogni parola è perfettamente coerente con il piano narrativo ma allude evidentemente a qualcosa d’altro perché noi, noi spettatori, non siamo piloti eppure ci sentiamo chiamati in causa. Percepiamo che la competizione, il perfezionismo, l’imperativo di una prestazione eccellente, non appartengono solo a una gara ma sono ciò che quotidianamente ci tiranneggia, in una realtà che ci vede consacrare la vita alla rapidità e alla frenesia, pur avvertendone e lamentandone gli effetti distruttivi.
Con irruenza, con drammaticità, a tratti con ironia, questi tredici attori/piloti ci mostrano questa realtà, rappresentando nell’iperbole, con tinte paradossali ma anche con estrema lucidità, lo stato attuale di una società votata al successo, alla riuscita, alla velocità a tutti i costi. Una velocità che, prima o dopo, si arriva a non sostenere, che lascia indietro o, peggio, porta dritti allo schianto.
La vita come gara: una metafora che non spicca, di per sé, per originalità e che, a tratti, fa cedere il fianco a qualche ingenuità drammaturgica. Tuttavia la scrittura di Francesco Ferrara si conferma intelligente e capace di portare avanti il parallelismo con coerenza. E del resto il rischio di inciampare nella banalità è il più delle volte scansato grazie al supporto di un’efficace linea registica e alla convinta e, perciò, convincente prova degli interpreti.
Un lavoro appena nato, partito da presupposti differenti ma, con coraggiosa accettazione del rischio, ripensato e ridiscusso. Che potrà, dunque, ulteriormente definirsi, limando il superfluo e irrobustendo i punti forti della drammaturgia, ma che intanto regala una bella riflessione sull’attualità – tanto più perché sostenuta da giovani che proprio in quel vortice di rapidità sono immersi – e conferma l’appassionato talento della Bellini Teatro Factory.
IL TEMPO ORIZZONTALE
testo di Francesco Ferrara
con Andrea Liotti, Arianna Sorrentino, Chiara Celotto, Claudia D’Avanzo, Eleonora Longobardi, Luigi Leone, Luigi Adimari, Manuel Severino, Maria Francesca Duilio, Michele Ferrantino, Rosita Chiodero, Salvatore Cutrì, Salvatore Nicolella, Simone Mazzella
regia Gabriele Russo
costumi Chiara Aversano
scene Lucia Imperato
progetto sonoro Alessio Foglia
aiuto regia Salvatore Scotto D’Apollonia
uno spettacolo della Bellini Teatro Factory
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Napoli Teatro Festival
Teatro Nuovo, 12 giugno 2019