MARIA FRANCESCA GERMANO | L’ultimo tratto della litoranea per Manfredonia, in territorio foggiano, è una lingua di terra circondata da acqua. Sulla destra il golfo, sulla sinistra le saline: distese d’acqua in evaporazione su cui si specchiano in stallo uccelli di specie diverse. Ai limiti dei canali di raccordo, come illusioni ottiche nella luce abbacinante, fenicotteri rosa esistono fieri quasi ignari dello stupore che generano in chi si accorge di loro. Tanta bellezza che continua a resistere in mezzo a maleodoranti montagne di spazzatura, abbandonata lungo i fianchi della strada sgarrupata. Resistenza.

Oggi va tanto di moda invece la parola ‘resilienza’: la capacità di assorbire un urto senza rompersi, di attraversare sciagure o eventi traumatici restando in piedi senza alienare la propria identità. Essere resilienti significa aspettare passivamente, quasi in isolamento, che tutto torni a posto senza far nulla, quasi in assenza di visione di futuro.
La resistenza è invece la capacità di opporsi al passaggio di una corrente, di fermare respingendo, di non cedere a una forza, a una spinta. Essere resistenti in tempi bui vuol dire non far finta che non stia succedendo niente ma opporsi con ogni mezzo alla forza avversa pur rischiando di farsi male, quasi sempre in una dimensione collettiva.

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 Foto Filomena Ferri

Ed è proprio a questa resistenza e determinazione che associo l’infaticabile lavoro della compagnia La Bottega degli Apocrifi che da anni porta avanti l’obiettivo politico di “coltivare il deserto” in una idea di teatro necessario che si apre alla collettività attraverso una forma di feconda contaminazione. In una città indagata per infiltrazioni mafiose e commissariata, in un Paese resiliente pronto a respirare senza resistere esalazioni di razzismo, ignoranza, soprusi, deprivazione di diritti acquisti in anni e anni di lotta, gli Apocrifi ci propongono un teatro etico, sociale e politico che abita la periferia per garantirne la sopravvivenza “anche quando manca l’aria”; un Teatro Diffuso che coinvolge la comunità, soprattutto quella dei bambini e degli adolescenti, partendo ogni anno da un laboratorio teatrale gratuito fino a farlo diventare un “esercizio di libertà collettivo” nella riscoperta di quella che è la vocazione originaria del teatro.

Al Teatro Lucio Dalla di Manfredonia, nell’ambito del Festival Con gli occhi aperti, il focus sulle nuove generazioni ideato e organizzato da Bottega degli Apocrifi, assistiamo all’ultimo atto del laboratorio: il debutto di Uccelli di Aristofane, nella riscrittura di Stefania Marrone con la regia di Cosimo Severo.

Dal centro del palco, tagliato da fasci incrociati di luce dilatata, come una passerella da defilé, parte una pedana che divide la platea in due parti fino al centro della sala; un “ingenuo” cantore armato di chitarra intona un inno alla libertà e subito dopo, dal corridoio laterale, i due protagonisti, i cittadini ateniesi Pistetero (Luigi Tagliente) e Evelpide (Bakary Diaby) affastellando battute di un dialogo divertente ci conducono nelle trame della storia che nel 414 a.C. si aggiudicò il secondo posto al concorso delle Grandi Dionisie. (Ahimè anche gli antichi greci stilavano classifiche!).

Pistetero ed Evelpide, stanchi della corruzione e delle lotte intestine, decidono di abbandonare Atene alla ricerca di un posto migliore in cui vivere. Nel viaggio si imbattono nel regno degli uccelli, un bel posto i cui abitanti “vivono nella pace e senza sofferenze e dispiaceri”. Perché non costruire insieme a loro una città fra le nuvole, sospesa tra il mondo degli uomini e quello degli dèi? Nubicuculia, la città ideale.

In una scenografia di teli scuri drappeggianti disposti a creare la profondità di una enclave – abitata da musicisti che suonano dal vivo – i due incontrano Upupa (Mamadou Diakite), il re di Tracia trasformato dagli dèi in uccello, e grazie alla sua intercessione riescono a ottenere un incontro con tutti gli uccelli del regno per proporre loro il grande progetto.

Un flebile canto in bambara – lingua mandingo del Mali – parte da un punto imprecisato della sala. Un’antica ninna nanna africana (riadattata da Bakary Diaby) accompagna gli uccelli in sala in un crescendo di intensità e ritmo. Centocinquanta coloratissimi ragazzi spuntano da ogni dove e riempiono ogni spazio libero del teatro in una danza commovente. Muovono la testa a scatti, roteando le pupille e simulano ondulanti aperture alari. Quando si accorgono della presenza dei due uomini parte un serratissimo attacco reso da un crescendo sincopato di voci intonate all’unisono in uno stridente ritmo jazz. Il coro degli uccelli crea un’emozione deflagrante. Le pause, i respiri, gli attacchi sincronizzati; tumulto di corpi che non si scontrano mai ma scivolano l’uno a fianco all’altro in armoniosi sincronismi e consonanze.

L’urlo di Upupa li riporta al silenzio. Grazie alle capacità oratorie di Pistetero e noncuranti delle parole accorate della saggia corifea – che li esorta a non fidarsi degli uomini, mai – gli uccelli si lasciano sobillare e consegnano il regno a Pistetero sotto la cui guida, pian piano, diventa un luogo mefitico, cupo, assoggettato a una rigorosa disciplina; una società organizzata entro schemi rigidi, autoritari, sanguinari. I dissidenti saranno abbattuti senza pietà. Pistetero da omino sorridente e affabulatore diventa uno spietato tiranno. Il passaggio è scenicamente reso con riusciti accorgimenti: gli uccelli si spogliano dei loro colori e delle proprie individualità indossando a mo’ di divisa una felpa nera con il cappuccio. La loro poetica danza si trasforma in una marcia da parata militare. La musica si fa distorta e a tratti ossessiva – il violino di Fabio Trimigno marca abilmente ogni dissonanza –; sul palco Pistetero, illuminato in piedi come un’icona sacra nei suoi pantaloni alla cavallerizza, riverbera la luce cinerea delle sue intenzioni.

Il punto di svolta nella trama – bella virata finale dell’idea drammaturgica – è il momento in cui il nuovo dominatore, obnubilato dal potere delirante del suo status quo, in un momento di alto lirismo, fagocita un piccolo ribelle in una specie di rito sacrificale. Pretesto che innesca la coloratissima rivolta degli uccelli che in un impeto di resistenza si riprenderanno la libertà, spogliandosi simbolicamente della felpa nera e riprendendo il canto in bambara in un loop contagioso. Una festa. Centocinquanta ragazzi in festa. La celebrazione della ritrovata libertà, della resistenza. Quella vera.

 

UCCELLI

adattamento Stefania Marrone
musiche originale eseguite dal vivo Fabio Trimigno, Celestino Telera, Paolo Ciociola, Manuel Falcone
spazio scenico e disegno luci Luca Pompilio, Cosimo Severo
sound designer Danilo Mottola
fonico Carlo Giordano
guide di laboratorio Filomena Ferri, Giovanni Salvemini, Fabio Trimigno, Cosimo Severo
suggerimenti sui costumi Iole Cilento
collaborazione al laboratorio Stefania Marrone, Livia Gionfrida, Matteo Miucci
organizzazione generale Giulia Gaviano
con Luigi Tagliente, Bakary Diaby, Mamadou Diakite, Giovanni Salvemini, Matteo Miucci, Rosalba Mondelli
regia Cosimo Severo
e con il coro degli adolescenti della città e il coro degli “irrequieti”

Teatro Lucio Dalla, Manfredonia
15 giugno 2019

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