ANGELA FORTI | Come possono convivere un Dio delle vittime e uno dei carnefici, un Dio di misericordia e uno sanguinario e vendicativo, se non nell’originario contrasto tra vecchie e nuove Scritture?
Nel tentativo di rispondere, dall’analisi sul sistema mafioso calabrese nasce l’ultima produzione Ura Teatro Acquasantissima, di Francesco Aiello e Fabrizio Pugliese in scena alla sesta edizione de I Teatri del Sacro. Una sedia e un paio di occhiali abitano la casa della ‘ndrangheta. Fabrizio Pugliese, nei panni del boss Don Salvatore, ripercorre nel suo monologo gli avvenimenti della Famiglia (il termine è qui lasciato volutamente ambiguo) a partire dall’ “adozione” di Santino, orfano di una vittima dello stesso sistema mafioso. Il percorso di iniziazione procede passo per passo: Don Salvatore saprà insegnargli ogni cosa, dal lavoro alla gestione dei rapporti sociali, dalle motociclette alla terra. E saprà condurlo, dopo l’esplicita richiesta del figlioccio, all’unione con quell’Onorata Famiglia che vediamo serpeggiare sul palco, prendere corpo nei tovaglioli bianchi di una tavola imbandita che il boss dispone sul palco uno a uno come fiori su una tomba.

Acquasantissima 1
Foto Eugenio Spagnol

I rapporti tra Chiesa e associazione mafiosa sono tra i temi cardine dell’indagine e della comprensione dei sistemi meridionali. Tra di esse corre un filo continuo nella storia e non recidibile. La mafia, in tutte le sue forme regionali, sembra essere imprescindibile da un concetto rigoroso e ineluttabile di sacralità e religiosità, fortemente modellato sui termini della cristianità e del catechismo cattolico. Innanzi tutto questo legame può trovare un’origine nel contesto storico che caratterizza soprattutto il passaggio tra XIX e XX secolo: in questo frangente, nelle regioni meridionali, il sistema mafioso va ad inserirsi in un vuoto di potere politico tra il sistema feudale e l’affermazione (che in queste regioni non sarà mai effettiva) dell’Italia unita. L’unico potere con cui esso si trova a fare i conti nel suo insediamento è quello religioso della Chiesa. A una necessità politica si affianca la possibilità di una fondazione antropologicamente e socialmente accettabile del sistema mafioso. In questo, i valori della cristianità e del cattolicesimo si fanno, una volta assorbiti, mezzo ineluttabile di giustificazione. Solo in seguito all’integrazione del sistema di valori cattolico la mafia può contare su miti potenti, riti, norme e simboli di forte presa, che ne giustificano lo statuto agli occhi della comunità.

Tra di essi risulta essere fondamentale il concetto di famiglia nucleare nell’accezione conferitagli dalla religione cattolica. Possiamo riconoscere nella famiglia cristiana, con il suo ruolo di strumento concettuale in grado di intercettare e dirigere l’ambito della sessualità, la massima espressione sociale di Dio, il nucleo atomico su cui si fonda l’intera società. Essa, che comprende legami di sangue e acquisiti, implica una forte gerarchia di ruoli, definisce le regole sociali e riproduce gli schemi della società da un punto di vista socio-culturale, garantendone la trasmissione (secondo il concetto antropologico di “famiglia dell’orientamento”). Nella propria definizione, l’Onorata Famiglia tenta di ricreare artificialmente legami di sangue, motivo per cui il rito di associazione prevede il gesto simbolico della “puntura”, e si espande moltiplicando i nuclei familiari, si riproduce costruendo legami matrimoniali combinati e puramente politici.

Acquasantissima 2

Stringere legami famigliari prevede un atto di giuramento e di responsabilità, nei confronti di noi stessi e degli altri e, per quanto riguarda la religione cattolica, nei confronti di Dio. Nello spettacolo il tradimento deriva da un’azione di violenza ingiustificata da parte di Santino nei confronti di due giovani sposi “privi di colpa”, nei confronti della Famiglia: il reato non consiste nello stupro della sposa durante la festa di matrimonio – la quale poco dopo, ormai folle, si suiciderà – bensì nel non aver rispettato i ruoli, nell’aver agito in maniera sconsiderata nei confronti dei propri superiori, nell’aver intaccato l’equilibrio sociale con una ritorsione non giustificata. In quest’ottica, l’azione ingiustificata di Santino deve essere punita. Il tradimento originario è, infatti, il fratricidio. Caino non potrà essere perdonato in quanto il suo delitto va ad alterare un legame di sangue che, in quanto stabilito da Dio, non è discutibile.

In seconda analisi, anche il concetto di vocazione gioca un ruolo importante nell’affermarsi dell’associazione mafiosa. Quella della Famiglia nei confronti della società è costruita come missione voluta da Dio. L’elemento vocazionale viene ribadito più volte durante lo spettacolo di Ura Teatro, specialmente nel momento del rito di iniziazione di Santino. La regola ferrea, unita a questo elemento sacrale, è ciò che può davvero condurre l’uomo, nel nostro caso Don Salvatore, al più atroce degli atti: in un gioco crescente di voce e luci che si alternano a modificare il volto di Fabrizio Pugliese, la decisione finale è inevitabile e declamata con gelida fermezza. Egli dovrà uccidere il proprio figlio consegnandolo alla giustizia.

Solitudo 1

Quest’ultimo elemento permette un paradossale accostamento alla realtà comunitaria monastica, alla comunità di preghiera che si unisce per vocazione, indagata da Solitudo di Le Sillabe (Fabio CastelloDoriana CremaRaffaella Tomellini).
Liberamente tratta dal libro Ogni cosa alla sua stagione di Enzo Bianchi, la piéce nasce dall’attenta osservazione, presso il monastero di Bose, della vita del monaco: egli entra volontariamente a far parte di una “famiglia” di cui è tenuto a rispettare i ruoli e le regole. Lo fa perché è chiamato a farlo e lo fa di fronte a Dio, con un atto di giuramento forte e inviolabile. Dopo il celibato, la solitudine è il sacrificio necessario che il monaco deve affrontare per potersi ritenere parte integrante della comunità di preghiera. Solo dal rispetto della propria solitudine è possibile raggiungere il legame d’amore profondo con il prossimo, solo dal silenzio e dalla meditazione di una cella è possibile concepire e raggiungere il mondo sensibile.
In scena questo si traduce con una danza dai ritmi dilatati, fatta di pochi e ragionati gesti. Tre personaggi gravitano senza incontrarsi in una foresta di legni che, sempre più pesanti, vanno a costruire ora la mensa comune, ora la cella. Riuscire a sopportarne il peso rappresenta il passaggio all’accettazione serena e consapevole del proprio percorso.

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Parlare di sacro e di religiosità significa parlare dell’Uomo nella più profonda solitudine: la dimensione interiore della spiritualità è propria del singolo e non condivisibile. L’individuo è solo, deve esserlo, deve poter fare i conti con sé stesso per portare avanti, ogni giorno, la propria scelta di vita, consapevole che non tutte le scelte contemplano il pentimento. Nella nostra ricerca sembrano presentarsi due strade: la misericordia e il perdono, l’una, la rigidità e la punizione, l’altra. Ogni uomo dovrà affrontare, presto o tardi, il bivio.

 

ACQUASANTISSIMA
Ura Teatro

testo di Francesco AielloFabrizio Pugliese
diretto e interpretato da Fabrizio Pugliese
musiche Remo Da Vico
collaborazione alla regia Francesco Aiello

 

SOLITUDO
Le Sillabe / Monastero di Bose

da un’idea di Fabio Castello
liberamente tratto da “Ogni cosa alla sua stagione” di Enzo Bianchi
di e con Fabio Castello, Doriana Crema, Raffaella Tomellini
scene Lucia Giorgio
fonica Paolo De Santis
luci Sandro Carnino
musiche Roberto Regis, Aldo Mella, Johann Sebastian Bach
training e cura dei movimenti scenici Doriana Crema
con il benestare del Monastero di Bose
con la collaborazione di Fondazione Piemonte dal Vivo La Piattaforma – La Città Nuova Morenica Cantiere Canavesano