LAURA BEVIONE | Il ricco cartellone del Moving Bodies Festival non comprende soltanto performance e un’originale programmazione cinematografica – in collaborazione con la torinese Film Commission – ma anche una Intensive Summer Practice, articolata in ben cinque laboratori di danza Butoh, tenuti dal maestro indiano Adam Koan, dai giapponesi Ken Mai, Yumiko Yoshioka e Minako Seki, e dalla stessa direttrice artistica della rassegna, Ambra Gatto Bergamasco.
Abbiamo avuto l’opportunità di assistere a una delle sedute laboratoriali curate da Ken Mai, danzatore, coreografo e insegnante nato a Nara, antica capitale del Giappone.
Ken Mai si è formato con uno dei fondatori della danza Butoh, Kazuo Hono, e ha fatto parte della nota Eguchi & Sumiko Modern Dance Company di Osaka, rappresentante nipponica della danza espressionista tedesca.
Per sedici anni, poi, l’artista ha praticato lo Zen in monasteri a Nara e e Kyoto: la vocazione a divenire monaco Zen ha accompagnato per un certo periodo della sua vita Ken Mai il quale, nondimeno, ha optato per l’altra sua intensa vocazione, ossia quella per la danza.
Gli interessi dell’artista giapponese sono, dunque, assai ampi e comprendono pure lo yoga – si è formato in India, presso la Fondazione Yoga Patanjali – e la musica rock – ha suonato la batteria.
È evidente come esperienze e passioni tanto diverse abbiano inevitabilmente – e felicemente – influenzato lo stile performativo di Ken Mai, che combina Butoh, danza espressionista, ginnastica, arti marziali, Zen, yoga, filosofia Veda ma anche la musica rock. Un linguaggio originale arricchito pure dalle numerose collaborazioni con famosi musicisti, scultori, e visual artist realizzate in ogni parte del mondo.
Ken Mai, inoltre, ha elaborato un particolare metodo di meditazione legato alla danza, fondato ancora sullo Zen coniugato con antiche tecniche di meditazione yoga, apprese dall’artista presso l’ashram indiano di Rishikesh, e con le arti marziali, in particolare il Wing Chun Kung Fu.
Il peculiare e articolato linguaggio coniato da Ken Mai è ovviamente al centro delle due sessioni laboratoriali da lui condotte al Teatro Espace e riservate a un gruppo eterogeneo di danzatori e attori professionisti ma anche appassionati, disposti a mettersi in gioco e, soprattutto, desiderosi di acquisire maggiore consapevolezza del proprio corpo, dei suoi limiti come delle sue potenzialità.
Con il sorriso sul volto e il tono di voce piano e tranquillo, Ken Mai fa disporre i suoi studenti in cerchio e, dopo averli invitati a rilassare i muscoli e la mente, propone loro alcuni esercizi, finalizzati a controllare il respiro e a ricalibrare il proprio corpo, chiedendo a ciascuno di lavorare così da trovare e mantenere il proprio baricentro.
Il danzatore mostra come sia fondamentale spingere il proprio sguardo verso l’alto e abbassarlo verso il pavimento, così da instaurare un invisibile ma solido legame fra alto e basso, fra cielo e terra. Allo stesso modo, Ken Mai evidenzia come sia fondamentale chiudersi in se stessi per poi riesplodere all’esterno, dando libero sfogo alle proprie energie interiori.
L’artista invita poi i suoi allievi a eseguire una breve coreografia, in cui il butoh convive con le arti marziali ma anche con il kabuki – lo fa notare lui stesso, proponendo una camminata – con le gambe larghe, leggermente piegate, e i piedi in orizzontale – tipica di quella forma tradizionale del teatro giapponese.
Di nuovo una contaminazione, a testimoniare come la vera arte sia quella di prendere il meglio di quanto già esiste e di quanto si ha l’opportunità di sperimentare e di studiare, e reinventarlo, facendolo proprio.
L’augurio è proprio che i partecipanti ai laboratori di Moving Bodies sappiano fare tesoro delle varie tecniche e dei differenti linguaggi proposti loro dagli insegnanti, così da essere in grado di coniare una propria specifica lingua, con cui raccontare il proprio io più vero.