RENZO FRANCABANDERA | Calma! Per capire una scelta di eremitaggio ci vuole calma. Perché occorre capire come questa decisione di vivere dentro una piccola comunità a suo modo isolata, contribuisca a portare benessere non solo a quella comunità ma a un corpo umano e sociale più ampio, più lontano, che percepisce distanti e che viene percepito distante.

Forse una delle verità sulla scelta artistica fatta da Giancarlo Gentilucci e Tiziana Irti con la loro compagnia Arti e Spettacolo l’ha detta Padre Daniele, l’unico che, in dieci anni di loro spettacoli, non ne ha visto nemmeno uno, pur essendo distante pochi metri dal teatro con la sua chiesa. 67bd27b4-e630-40b6-86df-7979e3475846“Alla fine ci parliamo moltissimo, non fosse altro perché siamo gli unici a lavorare di domenica”, dice divertito Giancarlo Gentilucci, anima storica di questa iniziativa d’arte radicata dentro il cuore dell’Abruzzo.

Siamo dentro il seminario che il gruppo promotore della compagnia ha voluto in occasione del decennale dello Spazio Nobelperlapace a San Demetrio ne Vestini in provincia dell’Aquila, un paese piccolo arroccato su una collina vicino al capoluogo abruzzese.

Camminiamo con un folto gruppo di cittadini per il grande cantiere di ricostruzione che è L’Aquila prima dell’inizio del seminario. Lo facciamo con la performance urbana Decade, preziosa e riuscitissima realizzazione site specific di Circolo Bergman – che abbiamo raccontato alcune settimane fa in un diario di bordo affidato alla compagnia stessa – che ci porta fra palazzi in ricostruzione, case private, resti e macerie, tubi innocenti e luoghi dove l’innocenza è sparita da un po’. Mi guardo attorno e noto che mentre l’edilizia privata sta riportando in piedi le case, alcune molto belle (in una di queste addirittura entriamo durante la performance), quello che manca e che resta ancora diroccato dopo dieci anni dal sisma, sono le chiese, i teatri, gli spazi del pubblico consesso.

1a93b7a1-61b9-44d7-a6af-679033073a48Fra me e me penso che cinquant’anni fa la ricostruzione sarebbe iniziata proprio da queste cose, mentre ora…
Mi reco sollievo con un bicchiere di vino e un ristoro che sa di questa terra e cominciamo.

Tutti gli operatori che sono intervenuti al seminario fra cui Cosimo Severo e Stefania Marrone della Bottega degli Apocrifi di Manfredonia, Andrea Lupo del teatro delle Temperie in provincia di Bologna  e Simone Schinocca di Tedacà teatro, hanno raccontato di esperienze che sempre più spesso diventano pratica di continuo laboratorio nel sociale. L’artista forse non appartiene più al linguaggio di cui si fa interprete ma di fatto crea il suo linguaggio nell’amalgama con il contesto sociale entro il quale si trova a operare che, non fosse altro che per ragioni di mera sopravvivenza economica, modifica le abitudini e la pratica quotidiana dell’arte. Il sogno di Grotowski di chiudersi con i suoi praticanti in un santuario del linguaggio scenico ormai pare irrealizzabile.
Racconta proprio questo Andrea Lupo, raccontando dello spazio assegnato loro dal Comune in provincia di Bologna dove lavorano, e in cui non hanno resistito nemmeno 24 ore chiusi dentro a “sperimentare”. La realtà ha subito bussato alla porta chiedendo che quello spazio fosse davvero spazio pubblico. Così, sempre più spesso il teatro nel territorio mette/deve mettere al centro il proprio ruolo sociale: gli attori, i registi si trovano sempre più frequentemente a riconvertire spazi abbandonati e fatiscenti che le pubbliche amministrazioni non sono più in grado di manutenere. Lo possono fare solo cercando un equilibrio economico finanziario che si centri anche sulla comunità stessa, per non dover dipendere solo dai bandi e dai finanziamenti, sempre più erogati con il contagocce. Lo stesso raccontano Cosimo Severo, che opera con Stefania Marrone a Manfredonia e che da anni ormai crea grandiosi spettacoli di comunità. O Simone Schinocca, ormai diventato uno dei maggiori rigeneratori di spazi dismessi dell’area torinese e riconvertiti alla dimensione dell’utilizzo come contenitore culturale.

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E così mentre Giancarlo Gentilucci racconta di aver offerto il suo spazio perfino per dare alla comunità un luogo in cui sposarsi o addirittura celebrare un rito funebre, ci chiediamo cosa significhi fare esperienza di teatro nei territori oggi.
Atterrando sulla chiusura dell’intervento con cui Gerardo Guccini ha voluto definire una sorta di lessico minimo dell’esperienza dell’arte nella storia e della storia nell’arte, salviamo come centrale e quasi botanico il tema della rilevanza assoluta della necessità di una sorta di biodiversità del pensiero creativo, della ricchezza delle forme di espressione come salvezza del linguaggio (ma verrebbe da dire finanche della specie umana): laddove il seme diventa unico, quello della multinazionale, dove il pensiero critico, la diversità del punto di vista sulla creazione artistica si azzera e appiattisce verso il poco, il tutto uguale, questa desertificazione rende l’umanità infelice. Ed è bello, entrando in questo spazio così tenacemente voluto dal gruppo Arti e Spettacolo, leggere targhe di riconoscimento che questa comunità ha voluto destinargli, incidendo in poche parole la gratitudine verso questa forma di resistenza civile insita nell’arte, che forse in alcuni momenti è stata per molti cittadini (ed ancora è) un’ancora di salvezza.

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L’occasione è utile anche per fare il punto delle diverse esperienze di management culturale sul territorio di cui sono portavoce Annalisa De Simone, presidente dello Stabile di Abruzzo o Eleonora Coccagna, direttore di ACS Teramo che discutono con Camilla Gentilucci di cosa significhi valorizzare il territorio attraverso la cultura. E così se lo Stabile deve fare i conti con i finanziamenti che fino al prossimo anno godono di una sorta di “bonus sisma”, e che vedrà inevitabilmente dal prossimo anno i fondi ridursi, dall’altro la Coccagna ricorda come i parametri del Fus chiedano alle realtà che lavorano in questo territorio una crescita esponenziale del pubblico che a conti fatti per una regione che per molti motivi si va a suo modo desertificata, paiono assurdi. La Gentilucci ricorda che l’intera popolazione abruzzese non arriva a essere equivalente a quella di una delle grandi città italiane e di come, in ogni caso, sia possibile attivare percorsi virtuosi di resistenza socioculturale pur consapevoli che questo debba fare i conti con la necessità di ibridare la vocazione verso forme di accoglimento delle istanze che il territorio stesso pone come centrali.

Arriviamo, infine al ruolo dell’informazione: Paolo Pacitti di Rai news 24 ricordo molto chiaramente come ormai il ruolo dell’informazione sia proprio quello di aiutare l’arte a farsi comprendere: richiede però uno sforzo agli artisti, quello di aprirsi anche durante la fase di elaborazione creativa in modo che la narrazione successiva sia più consapevole. E condividiamo appieno l’interviento di Michele Di Donato, osservatore e pensatore critico, firma de il Pickwick.it, che rafforza in qualche modo questo concetto parlando, per le testate non generaliste e di approfondimento sulle arti sceniche, di un ruolo ormai di militanza culturale; un missione volta proprio a sostenere luoghi e territori dell’arte e della storia in cui accade una verità più grande che diventa, prima o poi, sangue capace di scorrere e a cambiare il DNA di tutto il corpo, pur partendo dalla piccola vena periferica, dall’isola, dal ritiro eremitico. Con calma. Magari non assisteremo al cambiamento del DNA. È processo di generazioni e generazioni.
Ma intanto lo inneschiamo.