LAURA BEVIONE e ROBERTO RIZZENTE | RR: Dove sono finiti gli spettacoli? Assistendo all’edizione 2019 del Festival di Santarcangelo, l’ultima del triennio di Eva Neklyaeva, affiancata da Lisa Gilardino, balza all’occhio l’estrema frammentazione della proposta, che rende sempre più difficile distinguere i campi tra workshop, azione, studio e “prodotto finito”. Pure, leggendo le dichiarazioni programmatiche, sembra rispondere a una precisa strategia. Varrà allora la pena di analizzarne le dinamiche, per capire come queste si innestino nel tessuto connettivo della comunità.
LB: Credo, a questo proposito, che possa essere interessante riportare quanto si legge nel catalogo del festival: «Ogni situazione performativa genera una responsabilità condivisa fra artisti e pubblico, attraverso una trasmissione di conoscenza reciproca. Condividendo la responsabilità, il pubblico diventa complice, soggetto agente: cosa ti lascerà questa esperienza?». Ecco, allorché si sceglie di parlare di “situazione performativa” e di “esperienza”, è inevitabile che la nozione di “spettacolo” risulti espunta e sepolta, a favore di forme artistiche che richiedono un ruolo proattivo del pubblico, non più semplice spettatore.
Quest’ultimo triennio del festival di Santarcangelo ha programmaticamente voluto proporre un’idea differente di teatro, ospitando lavori che sì, vale la pena analizzare per comprenderne la coerenza e la sostenibilità all’interno della comunità, quella teatrale così come quella del comune di Santarcangelo.
RR: Il primo dato che si riscontra, nell’offerta spettacolare, è la crisi della narrazione. Non è una novità: buona parte della postmodernità – Lyotard docet – è stata costruita a partire dalla «fine delle storie». Santarcangelo non fa eccezione, con numerose proposte costruite sul perpetrarsi dell’azione, ad libitum, senza uno sviluppo, un climax, un incipit, una conclusione: esempi sono Kiss di Silvia Calderoni e Ilenia Caleo e pure il lavoro di mk, Bermudas. Come se fosse impossibile, in questi tempi disincantanti e dell’eterno presente, ritrovare una consecutio temporale e persino logica.
LB: Eppure un lavoro fondato su una narrazione serrata, una cronaca sportiva, c’è stato: parlo di First Love di e con Marco D’Agostin. Le parole e la danza ricostruiscono la gara più celebre di quello che è stato il “primo amore” dello stesso D’Agostin, non una danzatrice bensì la campionessa di sci di fondo Stefania Belmondo. Il performer riproduce ritmo e idioletto della cronaca sportiva televisiva mentre, attraverso il corpo, traduce nel linguaggio della danza quello dello sci di fondo. Non una mimesi bensì una traduzione, come risulta evidente negli scarti, nei dettagli, nelle aperture. Un lavoro con un inizio e una conclusione chiari e tuttavia “nuovo” per la ricerca drammaturgica di cui è vitale risultato.
Abbiamo assistito, poi, a “spettacoli” frutto di approfondita indagine, sociologica ovvero storico-artistica. Mi riferisco a Lighter than Woman di Kristina Norman e a Dominio Pubblico. Nel primo caso, l’artista estone riflette sul “peso” della quotidianità che affligge le donne e auspica per loro una particolare forma di assenza di gravità che, pur tenendole ben ancorate alla terra, conceda loro di sperimentare quella particolare e piacevole condizione vissuta nello spazio da Samantha Cristoferetti. Un pensiero generato dall’affabile e coinvolta Kristina Norman a partire da una residenza creativa sviluppata a Santarcangelo e a Bologna, durante la quale l’artista ha incontrato alcune badanti ucraine ma pure le donne italiane di cui le prime sono dipendenti. Esistenze reali filmate e proposte senza interpolazioni, nella loro esplicita autenticità, chiosate da brevi azioni fisiche e da citazioni dell’astronauta italiana, così da mostrare con lampante evidenza quanto gravosa sia ancora l’esistenza per una donna, a qualunque latitudine – e altitudine.
Un lavoro convincente per la cura nella ricerca così come nella costruzione drammaturgica, mentre meno efficace mi è parso appunto Dominio Pubblico, scritto e portato in scena da quattro artisti brasiliani – Elisabete Finger, Maikon K., Renata Carvalho, Wagner Schwartz – autori e interpreti di altrettanti monologhi, incentrati tutti su temi inerenti alla Gioconda di Leonardo: il furto del quadro da parte di un italiano avvenuto agli inizi del Novecento; la discussione su chi sia davvero il soggetto rappresentato; l’omosessualità dell’artista; la percezione del dipinto da parte dei visitatori del Louvre.
Non veri monologhi però, quanto piuttosto quattro conferenze di natura storico-artistica, un po’ noiose e ben poco teatrali e, soprattutto, deludenti rispetto all’interessante punto di partenza del lavoro, sintetizzabile nell’interrogativo: che cos’è osceno per l’arte? La ricerca dei quattro artisti partiva dalla constatazione di quanta malizia possa riscontarsi nello sguardo di chi assiste a una performance oppure osserva un’opera d’arte: non esiste neutralità, ma preconcetti e cultura deformano e condizionano, non consentendo di “guardare” davvero.
Peccato davvero che il lavoro non riesca ad aggiungere nulla di nuovo e significativo a tale constatazione, né contribuisca a individuare una modalità per superare quei limiti nella fruizione dell’arte.
RR: Quintessenza di Santarcangelo, per definizione il festival del teatro di piazza, è però, da sempre, l’uso alternativo degli spazi. L’era Neklyaeva non fa eccezione. Gli spazi tradizionali, il Lavatoio, il Teatrino della Collegiata, persino l’Itis Molinari, sono ancor meno utilizzati, il grosso della proposta è all’esterno, nei luoghi della quotidianità. Piccoli formati di danza vengono letteralmente esportati, come avviene per esempio con Trigger, che la coreografa e danzatrice Annamaria Ajmone mette in scena in tre differenti luoghi: Colle Giove, Imbosco e Scuola elementare Pascucci. Come a dire, nell’era dei reality, che l’arte non va cercata altrove ma è qui, presente, in mezzo a noi.
Cambiano, poi, le modalità di fruizione dell’offerta spettacolare. Per la durata, innanzitutto. Formati brevi, si diceva, venti minuti per la danza, ma anche formati variabili. Kiss di Silvia Calderoni e Ilenia Caleo e Relay di Ula Sickle sono dei come and go, si arriva, in sostanza, se ne guarda una parte e si è liberi di andare, come nell’offerta televisiva on demand, la durata dipende dalla volontà dello spettatore.
La stessa relazione tra pubblico e platea è impostata diversamente: Sparks di Francesca Grilli, Guilty Landscape di Studio Dries Verhoeven e Debriefing Session di Public Movement sono lavori one to one. Forse a ribadire, come sottolinea il presidente dell’Associazione Santarcangelo dei Teatri, Giovanni Boccia Artieri, il senso di una relazione, altrimenti depauperata.
LB: E proprio questi tre lavori per spettatore solo sono stati fra i più interessanti e coinvolgenti cui abbia assistito. Francesca Grilli affida a dei bambini – il futuro – il compito di prendere per mano gli spettatori e predire loro l’avvenire, in un’inversione di ruoli su cui vale la pena meditare.
Dries Verhoeven, invece, ti costringe con ferma delicatezza a vincere riluttanza, diffidenza e, soprattutto, la tua privilegiata posizione di controllo per lasciarti condurre all’interno di una realtà – quella di una fabbrica del poverissimo estremo Oriente in cui gli operai sono giovanissimi – che sei solito osservare da una prospettiva eurocentrica.
Il collettivo Public Movement, con i suoi Agenti, invece, ti chiede di diventare a tua volta una sorta di “agente” e diffondere la conoscenza della questione alla base del lavoro, ossia: dov’è finita l’arte palestinese realizzata prima del 1948?
Tre “esperienze”, tre nuove e differenti modalità di relazione fra artista e pubblico, nel tentativo pure di superare la virtualità delle relazioni interpersonali ritornando a un incontro tangibile, a un tête à tête che costringa anche chi guarda a rimettere in discussione il proprio ruolo.
RR: C’è, dunque, una coerenza nelle scelte della direzione. Che dirotta, sempre di più, il teatro verso l’arte contemporanea. Il festival si fa compiutamente e radicalmente performativo. Domina l’installazione. Ma, a questo punto, è lecito farsi delle domande. Parliamo di arte, d’accordo, un direttore artistico deve farsi dunque curatore. Ma, almeno a livello di contenuto, sembra mancare, all’edizione 2019 di Santarcangelo, la coerenza nelle scelte. D’accordo, si parla di desiderio. Che, alla prova dei fatti, è tradotto in sguardo politico. Il desiderio come presupposto del cambiamento. Ma mancano i gangli teorici.
LB: Non sono del tutto d’accordo. Credo anzi che l’edizione di quest’anno sia stata quella più solida e compatta del triennio Neklyaeva-Gilardino, quella in cui più evidente è stata la volontà di rompere con la tradizione e affermare una strada, quella della contaminazione delle arti e delle forme, in cui forse conta più il percorso che il presupposto “prodotto finito”.
Un cartellone che è già in sé, pur con le sue fragilità, un atto politico e che richiede anche al pubblico uno sforzo di responsabilità. Nell’accettare di spostare lo sguardo, di rinunciare alle sicurezze teoriche e interpretative, di fermarsi e di ripensare con calma e “gentilezza” – slow and gentle è, non a caso, il claim scelto per questa edizione – allo stato delle cose.
RR: C’è poi da risolvere il mancato rapporto con la cittadinanza. È un problema atavico, questo. Si esce dai teatri, si dice, per avvicinare la gente. Ma l’arte contemporanea, più ancora del teatro, è per sua natura elitaria. Diffondere lo spettacolo nei luoghi della quotidianità non serve a nulla, il risultato è quello di sempre, gli artisti da una parte, la gente dall’altra. Manca un passaggio. E la domanda attende ancora una risposta, se si vuole davvero provare a rilanciare, per l’edizione del cinquantenario, un Festival che ha fatto la storia del teatro italiano.
LB: Il teatro è un’arte elitaria, lo è sempre stata. E la questione dei rapporti fra festival e comunità di Santarcangelo è irrisolta fin dagli anni Settanta del Novecento.
Credo che quello del rapporto con la “cittadinanza” sia tema comune a molte altre rassegne, frequentate più dagli operatori e dagli artisti che dagli abitanti del luogo in cui si svolgono e, dunque, richieda una riflessione ben più ampia.
KISS
di Silvia Calderoni, Ilenia Caleo
interpreti 23 performer
produzione Santarcangelo Festival, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Motus; con il sostegno di Gucci
FIRST LOVE
di e con Marco D’Agostin
consulenza scientifica Stefania Belmondo, Tommaso Custodero
consulenza drammaturgica Chiara Bersani
luci Alessio Guerra
suono LSKA
produzione VAN 2018, in coproduzione con Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale/Torinodanza Festival, Espace Malraux-Scène Nationale de Chambèry et de la Savoie, in collaborazione con Centro Olimpico del fondo di Pragelato, con il supporto di ResiDance XL, inTeatro
LIGHTER THAN WOMAN
di e con Kristina Norman
drammaturgia Laur Kaunissaare
direzione della fotografia Erik Norkroos
consiglio coreografico Joanna Kalm, Karolin Poska
musiche Jëkabs Nimanis
luci Oliver Kulpsoo
produzione Kanuti Gildi SAAL, Santarcangelo Festival, New Theatre Institute of Latvia, Emilia RomagnaTeatro Fondazione
DOMINIO PUBLICO
ideazione, testo, interpretazione Elisabete Finger, Maikon K., Renata Carvalho, Wagner Schwartz
collaborazione artistica Ana Teixerira
costumi Karlla Girotto
luci e direzione tecnica Diego Gonçalves
produzione Núcleo Corpo Rastreado – Gabi Gonçalves; in coproduzione con Festival de Teatro de Curitiba
TRIGGER
di e con Annamaria Ajmone
costumi Jules Goldsmith
musiche Palm Wine
produzione CAB 008; con il sostegno di Regione Toscana, MIBAC; in coproduzione con CANGO/Umano – Cantieri internazionali sui linguaggi del corpo e della danza; in collaborazione con Teatro della Toscana
RELAY
ideazione, coreografia, performance Ula Sickle
sound concept & design Yann Leguay
interpreti Liza Baliasnaja, Sidney Barnes, Amanda Barrio, Charmelo
produzione Carvan Production; con il supporto di Kunstenwerkplaats Pianofabriek & Nuit Blanche 2018
SPARKS
di Francesca Grilli
suono Roberto Rettura
chiromante Guido Rossetti
parole Azzurra D’Agostino
movimento Benno Steinegger
produzione Associazione Culturale Corpoceleste_C.C.OO#, Santarcangelo Festival, Snaporazverein; in coproduzione con Welcome to the village, SAAL BIENNAAL; in collaborazione con workspacebrussels
GUILTY LANDSCAPES
di Dries Verhoeven
produzione Studio Dries Verhoeven, in coproduzione con SPRING Festival Utrecht, Foreign Affair Berlin, Boulevard Theatre Festival Hertogenbosch, Artspace Eindhoveen
DEBRIFING SESSION
di Alhena Katsof, Dana Yahalomi
supervisione versione italiana Hagar Ophir
interpreti Itamar Gov, Joanna Jones, Hagar Ophir
produzione Public Movement; con il sostegno di Vistamare – Vistamarestudio, Pescara-Milano
Santarcangelo di Romagna (RN), spazi vari,
11-12-13 luglio 2019