ANTONIO CRETELLA | Una dinamica frequente del rapporto tra oppressi e oppressori è costituita dall’infiltrazione del linguaggio dei secondi nella comunicazione dei primi. Tale passaggio avviene in due modalità: una passiva, di condizionamento, in cui parole e frasi entrano come cavalli di Troia nella mente dell’oppresso per veicolare e corroborare idee contrarie al suo interesse; l’altra attiva, di segno diametralmente opposto, in cui all’adozione del termine o della locuzione dell’oppressore fa seguito una risemantizzazione destruente del termine stesso che viene depotenziato nelle sue connotazioni negative e usato in maniera provocatoria. Caso tipico di transizione attiva è rappresentato dal termine nigger, più spesso reso come nigga, ovvero l’epiteto spregiativo usato dai bianchi americani per indicare la popolazione afroamericana, corrispettivo dell’italiano ‘negro’. Le comunità afroamericane, in particolare nel cosiddetto linguaggio da strada, hanno mutuato l’originario insulto facendolo diventare un appellativo di riconoscimento tra i membri della comunità. Ciò comporta una variabilità di significato in relazione al parlante, facendo diventare il termine una “media vox”, una parola che ha aspetti negativi o neutri a seconda del contesto. Lo stesso fenomeno ha interessato il termine inglese fag e i corrispettivi italiani ‘fro**o’ o ‘finocchio’, o anche la declinazione al femminile di nomi, pronomi e aggettivi relativi a un maschio omosessuale. Tuttavia un termine spregiativo risemantizzato può incorrere in una ulteriore risemantizzazione che ne recupera il valore peggiorativo originale, ma all’interno del contesto degli oppressi: la parola ‘frocio’, ad esempio, può ritornare a essere un insulto con il quale l’omosessuale “virile” apostrofa in modo chiaramente offensivo chi viene giudicato effeminato, andando a replicare dinamiche di oppressione interiorizzate. La transizione di parole, tuttavia – ed è questo un preoccupante fenomeno recente e in aumento – può avvenire in modo attivo anche al contrario, con l’assunzione da parte dell’oppressore di termini propri degli oppressi utilizzati per denunciare la condizione di questi ultimi: è così che possiamo oggi ammirare obbrobri concettuali come l’Etero Pride che indicherebbe la pretestuosa riduzione dei diritti degli eterosessuali, o l’Olocausto bianco per indicare la tesi complottistica della sostituzione etnica, locuzioni che rappresentano un contorsionistico quanto poco veritiero rovesciamento della dinamica di oppressione in cui gli oppressori si mostrano minacciati nella loro presunta libertà di poter opprimere.
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