VALENTINA SORTE| Roberta va sempre da qualche parte. Torna a casa, va al cinema, va sulla Luna. Questa volta va nel metrò. Roberta è sempre in qualche luogo o in qualche spazio reale. È nella casa d’infanzia, è in una stanza d’hotel, è in una galleria d’arte, è per strada, è nella metropolitana.
Prima ancora di essere ambienti o paesaggi geografici, queste “location” sembrano essere paesaggi interiori, paesaggi mentali. Roberta ci porta attraverso questi luoghi in un’illecita geografia dell’intimità: è così che la chiamano, più precisamente, Renato Cuocolo e Roberta Bosetti.
C’è però un’evoluzione in questa loro ricerca “spaziale” che dura ormai dal 2000. Da una parte, nei primi lavori, ci sono spazi privati e domestici – i cosiddetti interni – che vengono esposti e visitati dallo spettatore. Lo spettattore è un ospite. Qui c’è un’intimità che si dà a qualcuno; dall’altra parte, soprattutto nelle ultime creazioni, ci sono spazi pubblici e urbani – i cosiddetti esterni – che diventano paesaggi interiori. Qui c’è un’esteriorità che scivola nell’intimità e che cerca in qualche modo di essere addomesticata e resa familiare. Intima appunto. In entrambi i casi è una sorta di estimità.
UNDERGROUND. Roberta nel metrò, presentato a Torino, poi a Roma, Napoli e poi a Milano – all’interno della XXIII edizione di Da vicino nessuno è normale – è il quindicesimo capitolo di Interior Sites Project e si colloca in questa seconda tipologia. È infatti pensato all’interno della rete metropolitana di trasporto pubblico. Uno spazio urbano, di tutti e di nessuno. Fuori di casa. È un esterno. La usano milioni di persone per andare da un posto all’altro. Un esterno che corre, parallelo, sotto i nostri piedi.
Ecco la particolarità. A differenza di The Walk che si snoda in superficie, in una dimensione, o meglio, lungo un asse orizzontale (nelle repliche milanesi, in Piazza Duomo e dintorni), Underground è un lavoro sotterraneo che al di là degli spostamenti da una stazione all’altra, si sviluppa principalmente lungo un asse verticale. È costruito sulla dicotomia sopra/sotto.
Lo spettacolo, itinerante, si snoda nel sottosuolo metropolitano. Inizia dopo i tornelli della linea rossa, sotto Piazza Duomo e dintorni. È lì che ci attende Roberta. La sua voce, nelle radiocuffie, e il suo passo ci guidano lungo percorsi rizomatici, fatti di corridoi e divagazioni.
Difficile dire di cosa parli lo spettacolo. Parla di tante cose. Della nostra parte sotterranea, della nostra incapacità di lasciare un luogo o di stare veramente in un luogo, di come abitiamo i nostri spazi, di come abitiamo gli altri. È uno stream of consciousness in cui ci si perde. Ogni tanto si risale a galla per prendere fiato: come boe, alcune frasi puntellano e strutturano il discorso. Sono i leitmotiv della partitura drammaturgica. Ma procediamo per gradi, o meglio, per strati. Underground potrebbe essere forse definita una stratigrafia dell’inconscio urbano: la città vista dal basso e il suo peso sopra di noi. Un’archeologia dell’inconscio cittadino, solo che gli scavi e i reperti sono sopra, in superficie, a cielo aperto o nelle case, nei milioni di case là fuori, e noi da sotto guardiamo, intuiamo, immaginiamo. Roberta ci guida.
Tutto inizia, come sempre, dalla vita reale, ovvero da un episodio autobiografico di Cuocolo/Bosetti. Il ricovero in ospedale della madre di Renato, dice Roberta, li ha costretti a prendere per un certo periodo la metropolitana, a Roma. Quando purtroppo non ce n’è stato più bisogno, i due artisti hanno continuato a prendere la metro e a viaggiare, immaginando nei loro tragitti le corrispondenze con gli edifici in superficie, intuendo gli spazi, forse esistenti o forse no, sopra di loro. L’autobiografia è un trampolino. La memoria privata di Cuocolo/Bosetti si fa pubblica, in cuffia, e poi collettiva. È la memoria collettiva di certi luoghi. La loro (C/B), la sua (R), la mia, la nostra (io + C/B + R + gli altri). Mio-tuo-suo-nostro-vostro-loro.
Forse lo spettacolo parla di questo, delle cose che stanno in bilico, del punto indecifrabile in cui finiscono di essere quello che sono e iniziano a essere altro. Delle cose che stanno in quel punto, in quella zona. Ecco allora come refrain alcuni interrogativi. Andare altrove, risalire o restare dove si è. Dire troppo o dire troppo poco. Essere un corpo in moto o essere corpi statici. Essere se stessi o essere un personaggio. Scegliere le altezze o il sottosuolo. L’esteriorità o l’intimità? Roberta si confronta con le sollecitazioni e le simbologie della città. Il paesaggio umano che cambia. Visi, rumori, tabelloni, pubblicità, corridoi, scale. Guarda la gente che viaggia in metropolitana e immagina la gente sopra, mentre tutti dormono. Immagina i loro sogni affollati da altra gente. Strati di gente che pensa o sogna altra gente. Gente sotto, gente sopra, e ancora più sopra. O ancora più sotto, in un sonno diverso. In un inconscio diverso. Strati appunto.
E il teatro per Roberta ha a che fare con tutti questi strati, con tutte queste altezze. Piani di visione. Salti. Prospettive. È lei a raccontarci il suo primo incontro con il teatro. I ricordi sono vaghi ad eccezione del posto in cui era seduta: la piccionaia. Il teatro è stato, la prima volta, una visione dall’alto. Gli attori sotto. Ora è una visione dal basso. Il mondo fuori. Il teatro in testa.
La grande capacità dell’attrice vercellese è quella di condurci attraverso la voce nella dimensione intima del suo vagare e del suo divagare, nonostante la presenza dei passanti. È una sorta di isolamento pubblico. Ad un certo punto si perdono le coordinate del viaggio perché inizia un altro viaggio. Le radio-cuffie sono sicuramente un dispositivo immersivo, ma al di là dello strumento in sé, è la ritmicità del testo e della voce a farci scivolare in questa intimità. Il testo ha quasi un respiro beckettiano: procede per asindeto, per ripetizioni e varazioni nella ripetizione, per pause.
La sensazione con cui si esce da Underground è una sorta di spaesamento, in questo caso uno “spaesaggiamento”. Resta una sensazione di distanza nella vicinanza, di alterità nell’intimità, di estraneità nell’ordinarietà. E viceversa. Soprattutto quando alla fine Roberta decide di rimanere ancora un po’ lì sotto. Roberta che come Karrer di Thomas Bernhard, da lei citato in un passaggio dello spettacolo, fatica a risalire, fatica ad andarsene da lì.
UNDERGROUND. Roberta nel metrò
Quindicesima parte di Interior Sites Project
di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
con Renato Cuocolo e Roberta Bosetti
collaboratori Max Bottino, Paola Falorni, Michela Cescon, Nicoletta Scrivo, Paola Maritan, Gaia Morrione, Nicolò Bassetti, Livio Ghisio, Annalisa Canetto, Saverio Minutolo, Luca Del Pia
Produzione Teatro Di Dionisio, Iraa Theatre
Milano
17 luglio 2019
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