ANTONIO CRETELLA | La presenza della componente cattolica nella politica italiana è una costante sin dalla nascita della Repubblica, e non poteva certo essere altrimenti per un’istituzione millenaria preesistente all’idea stessa di Italia e divenuta spesso, nel corso della sua storia, l’unico potere legittimamente riconosciuto nei momenti di crisi e delle rivoluzioni politiche che hanno scosso tanto la penisola quanto il resto del continente, ponendosi ora in contrasto, ora in consonanza con il potere secolare. Il rigetto, la critica, la spaccatura e l’attacco polemico verso la Chiesa, accusata, talora non a torto, di vera e propria ingerenza nella politica, non sono mai mancati, come non mancano i rilievi satirici sulle posizioni ambigue della Santa Sede e di chi della fede si fa scudo nell’agone politico. Ma alquanto sui generis risulta la particolare forma di frattura culturale operata dall’attuale sovranismo nell’uso della fede come classico instumentum regni. Com’è noto, il crocefisso è divenuto negli ultimi mesi un simbolo sovranista onnipresente: partendo dalla polemica sulla presenza della croce nei luoghi pubblici trasformata in conflitto culturale e resistenza sia al “laicismo” che alla presunta e pericolosissima “islamizzazione” dell’Italia, il santo rosario è passato sui palchi dei comizi come oggetto di un culto nazionalistico che titilla la religiosità popolare come fattore identitario. La particolarità è che ciò sta avvenendo in aperto contrasto con il Papa stesso: alla tradizionale attenzione per i poveri e i diseredati del mondo in un messaggio ecumenico, il sovranismo sostituisce la visione particolare di una religione razzista che paradossalmente assume una figura mediorientale come simbolo della lotta all’immigrazione, giura su testi sacri, evidentemente mai letti, che parlano di amore universale per fomentare odio, arriva ad accusare il Pontefice di “buonismo”, ponendosi ai limiti della scomunica. Esiste in realtà un precedente di tale forma di violento cristianesimo identitario, ed è quello del suprematismo bianco dell’area nordamericana. Non è dunque peregrino immaginarsi a breve anche da noi gli scenari terribili delle croci ardenti.
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