RENZO FRANCABANDERA e PIETRO UTILI | Quest’anno ci sarà una rosa di almeno dodici artisti di differenti generazioni e tradizioni, nel contesto di una piccola città lontana dall’”Impero” dei grandi centri di comunicazione e dall’omologazione dei linguaggi.
Dal 12 al 15 settembre 2019 a Rovigo si terrà la quindicesima edizione del Festival Opera Prima. Il Festival, fondato nel ’94 da Massimo Munaro e Teatro dei Lemming, nato con lo scopo di offrire una vetrina per il teatro di ricerca al tempo escluso dai circuiti “ufficiali” della scena Italiana, negli anni Novanta ha proposto al suo pubblico artisti come Ascanio Celestini e Roberto Latini e gruppi come Motus, Fanny & Alexander, Teatro Clandestino, Masque Teatro, Ariette e tanti altri grandi interpreti del teatro nel nostro Paese.
Nonostante un Premio Ubu e il riconoscimento da parte del MiBACT, il Festival dovette chiudere nel 2002 a causa del taglio ai finanziamenti, per poi rinascere nel 2018 grazie all’Associazione Festival Opera Prima, composta da cittadini legati alla storia del festival.
Dal 2018, il Festival prosegue con il suo impegno triennale che appare chiaro fin dal sottotitolo Generazioni che lo accompagna: scopo del Festival è quello di creare un dialogo tra i maestri e i nuovi gruppi emergenti, entrambi uniti dal fil rouge della sperimentazione e della ricerca sui linguaggi. La direzione artistica ha individuato quattro artisti o gruppi storici della scena italiana i quali, oltre a presentare un proprio spettacolo, si sono occupati di segnalare altri quattro gruppi di artisti emergenti e non ancora affermati che porteranno una loro creazione. Altri quattro artisti sono invece selezionati tramite un bando aperto a giovani realtà artistiche italiane ed europee.
Abbiamo incontrato Massimo Munaro.
Quale pensi stia diventando negli anni lo specifico di Opera Prima, anche oltre le vostre intenzioni programmatiche?
Come sai il Festival Opera Prima nasce nel 1994 per dare spazio e visibilità agli artisti emergenti. In questa nuova incarnazione l’idea del Festival è quella di costruire anche un ponte tra le generazioni, così da presentare tutto quel teatro che, se pur di valore, non gode di quella visibilità che meriterebbe. Abbiamo individuato degli artisti storici a cui chiedere di segnalarci una rosa di giovani gruppi, dai quali scegliere alcuni artisti da presentare al festival. Oltre a questo ponte fra generazioni, come sempre realizziamo un bando, al quale hanno risposto più di 500 artisti da tutto il mondo. Cerchiamo, infatti, di presentare giovani personalità, per la prima volta in Italia, che crediamo abbiano un grande valore. Opera Prima sta diventando un punto di incontro del teatro giovane e internazionale.
Si può dire che da voi “la raccomandazione” sia la regola, sia detto ovviamente con un sorriso?
Al contrario delle “raccomandazioni” che critici e operatori fanno spesso di nascosto, qui si tratta di chiedere a degli artisti di assumersi pubblicamente una corresponsabilità su una parte delle scelte del Festival. Qualcosa che indichi, in qualche modo, un passaggio del testimone. O comunque uno sguardo sul futuro. Un festival, come il teatro, è sempre un’impresa collettiva, un luogo di condivisione. Opera Prima vuole essere così sempre più un punto di incontro, una festa per gli artisti, a cui chiediamo non solo di essere presenti con un loro spettacolo, ma anche di essere disponibili a seguire il lavoro degli altri, cosa che mi pare accada sempre meno in altri festival. OPERA PRIMA non vuole essere una mera vetrina di spettacoli. Credo invece che un festival debba essere un luogo reale di incontro e di confronto fra artisti, attori, operatori e spettatori. Ecco perché chiediamo a tutti gli artisti, nel limite dei loro impegni, di essere presenti per tutto il periodo del nostro Festival. E di fatto così sarà.
Che tipo di lavoro sul pubblico state facendo e quale risultato ti arriva?
Da moltissimi anni lavoriamo nella nostra piccola città portando avanti da sempre un lavoro sul pubblico. Il festival propone eventi che accadono uno dopo l’altro, fino a sei eventi al giorno, e che attraversano, oltre ai luoghi principali della città anche quelli più impensabili. Per questi quattro giorni, Rovigo si trasforma in una cittadella del teatro. Naturalmente ciò che proponiamo non è la prosa a cui il pubblico qui è mediamente abituato, ma è un teatro legato alla sperimentazione e ai nuovi linguaggi, e proporlo in una città piccola come la nostra è sempre un atto di sfida, che però il pubblico accetta sempre più con curiosità. Anche perché l’idea del nostro festival, anche nelle sue proposte più radicali, è quella dell’incontro. Questa è la cifra del mio pensiero sul teatro che, in qualche modo, cerco di trasferire anche al Festival. Inoltre, per noi lo spettatore non è in nessun caso un semplice “oggetto” della macchina spettacolare, come spesso purtroppo accade in altre esperienze, ma diviene sempre soggetto dell’esperienza. Questo rapporto con lo spettatore costituisce un filo rosso che accomuna molte proposte del festival.
A chi è rivolta la Chiamata Pubblica del Teatro del Lemming di giovedì?
Giovedì condurrò personalmente Chiamata pubblica per i cinque sensi dell’attore. I cinque sensi dell’attore è il metodo pedagogico che ho ideato da molti anni a partire dallo specifico lavoro che il Lemming realizza con gli attori in relazione al coinvolgimento sensoriale dello spettatore, che è da sempre la cifra dei nostri spettacoli. Il lavoro dell’attore parte per me sempre dai cinque sensi, da una corporeità espansa e consapevole, e arriva a sollevare, scatenare, emozioni profonde in chi pratica questo metodo. È un lavoro mediamente pensato per un gruppo ristretto di attori professionisti e che si realizza in uno spazio chiuso e protetto. La sfida della CHIAMATA PUBBLICA è quella di proporre questa pratica aperta a TUTTI, senza nessuna limitazione né di numero né di esperienza né di età dei partecipanti. L’unica condizione è quella di arrivare vestiti di bianco. La sfida così per noi è quella di trasferire questa esperienza dallo spazio intimo e protetto di un teatro allo spazio esposto di una piazza, alla luce del giorno per così dire. Credo sia un atto semplice e politico: invita a schierarsi a favore di un teatro non convenzionale che fa dell’incontro tra attori e spettatori il suo nucleo essenziale.
Ci vuoi parlare dello spettacolo che voi producete e che debutta giovedì? Lo racconti a chi non potrà esserci almeno nelle intenzioni registiche?
È uno spettacolo del giovane gruppo Welcome Project, coprodotto dal Teatro del Lemming. Il gruppo è costituito dalla giovane regista e attrice Chiara Elisa Rossini, che dopo aver presentato uno studio sul suo lavoro Angst vor der angst (Paura della paura) l’anno scorso ad Opera Prima, domani presenterà in prima assoluta lo spettacolo nella sua versione completa. A noi piace che il Festival segua dei processi di lavoro, e che presenti non solo spettacoli compiuti ma anche le tappe di creazione di un’opera. Lo spettacolo di Welcome Project è una riflessione che indaga e incrocia le paure personali, le intime fobie, e le paure collettive che imperversano nella società, ingabbiandola. Paure individuali e collettive vanno guardate in faccia e accolte. È un lavoro in cui ovviamente crediamo molto e che ci sembra offra un affresco quanto mai pertinente del nostro tempo presente.