ANTONIO CRETELLA | Con una risoluzione approvata anche dai parlamentari del PD, Strasburgo equipara Comunismo e Nazifascismo invitando i paesi membri a rimuoverne i simboli. La decisione sembrerebbe a prima vista giusta e sensata, sanzione di un giudizio già ampiamente diffuso secondo cui i tre grandi “ismi” del Novecento, pur partendo da presupposti differenti, abbiano avuto i medesimi devastanti effetti e abbiano dato luogo ai medesimi costrutti culturali. I progrom russi e l’antisemitismo nazista, i campi di concentramento e i gulag, la propaganda come colonna portante di un regime totalitario sono fattori che accomunano i tre fenomeni storici assieme all’altissimo numero di vittime che hanno mietuto. Vi sono però sostanziali differenze nella genesi e nell’impianto teorico dei tre fenomeni di cui la risoluzione non tiene conto. In primo luogo, nazismo e fascismo nascono già teorizzando la dittatura, laddove il comunismo, o per meglio dire lo stalinismo, si profila come degenerazione in senso dispotico del progetto politico della rivoluzione, in una sorta di parallelo con quanto avvenuto alla rivoluzione francese con il Terrore e in seguito la dittatura militare di Napoleone, o, se vogliamo, con le continue degenerazioni del Cristianesimo storico autore di guerre e stragi in piena contraddizione con i propri principii. In secondo luogo, la vocazione internazionale del comunismo, che ha avuto certamente un ruolo di influenza e ingerenza politica della Russia in Europa e nel mondo, ha anche aperto la strada a idee, quadri concettuali e progetti politici che non condividevano e anzi denunciavano la degenerazione del comunismo storico, quale lo stesso PCI italiano a partire dal suo ruolo chiave nella Resistenza, nella stesura della Costituzione, nell’evoluzione in senso progressista della società italiana. Un esempio concreto è la diffusione della questione femminile e dell’impegno politico delle donne avviatosi in seno alla sinistra. Tuttavia l’effetto più pernicioso della risuluzione è legato al presente: in paesi come l’Italia, che mai hanno sofferto una dittatura comunista, l’avallo dell’equiparazione tra comunismo e nazifascismo rafforza una narrazione propria delle destre fasciste che puntellano buona parte del proprio consenso sulla lotta a immaginari nemici collettivisti mangiatori di bambini; una narrazione cara a Berlusconi, ma che Salvini non rinnega. Anche lo scandalo di Bibbiano, a ben guardare, non è che una riedizione propagandistica dello stereotipo del comunista che attenta all’infanzia. Ultima conseguenza della risoluzione è che, condannando in toto tutte le esperienze afferenti al marxismo, identificandole tout court e proditoriamente con lo stalinismo, si chiude la bocca alla voce di dissenso verso l’unico ismo novecentesco uscito realmente vincitore dal secolo scorso, il capitalismo finanziario con le sue pressioni sulla politica e sui diritti. Un altro frutto avvelenato del semplicismo culturale che piaga la trasmissione della conoscenza.