LEONARDO DELFANTI | Sono più di settantasette i conflitti che stanno avendo luogo nel mondo ora, mentre sto scrivendo queste parole.
Per ognuno di questi conflitti c’è, almeno per le parti in causa, un limite invalicabile tra il giusto e l’ingiusto, tra l’amico e il nemico. La linea che separa chi sta con te da chi sta contro di te è, per i più, frutto del caso: loro ci si sono ritrovati a essere quelli lì.

Questo è accaduto anche a me, in quanto spettatore di The Net, produzione di Starbound Theatre and Lights Down Productions.
Sono arrivato a teatro, mi sono seduto e, appena si è aperta la scena, una linea di demarcazione ha stabilito il mio punto di osservazione, la mia posizione all’interno del conflitto: the net “la rete”, la quale taglia perpendicolarmente lo spazio scenico, è già entrata in funzione.

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In un non meglio precisato deserto un enorme intreccio di vestiti, scarti di tessuto e filamento, delinea lo spazio tra la terra di coloro che non hanno accesso al mare, e quella di coloro che lo hanno. Da una parte si è condannati a migrare lungo tutto il confine, alla ricerca di uno spiraglio verso la vita, dall’altra a controllarlo il confine, nel terrore che le maglie che tengono unite stoffe e pezze si lacerino, lasciando a “loro, gli altri” libero accesso.

A migrare sono due giovani donne: Mona (Yvonne Wan), ragazza che ha lasciato la propria famiglia per un futuro migliore, e Ama (Marta da Silva), una bambina che, persi i genitori in un bombardamento, si è vista costretta ad abbandonare il proprio villaggio. La marcia forzata le ha portate fino al punto in cui la rete sembra lasciare loro uno spazio di fuga da morte certa, ormai senza viveri né acqua.
Dall’altro lato due volontarie, una donna (Sarah Agha) e sua nonna (Sue Moore), sono state inviate dagli “uomini” a controllare e riparare il confine, per armi un coltello e un cuore pieno di rabbia. Rabbia nata dalla perdita della madre per la figlia e della figlia per la madre, uscita per andare alla ricerca di acqua e mai più tornata.
Quattro donne al confine del mondo, senz’acqua e senza uomini, impegnati, quelli, a combattere lontano.

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Regia e scelta scenografica lasciano presumere che, al di là della storia, il vero protagonista dello spettacolo sia la rete imperante e mostruosa che divide gli umani dai non-umani. La razionale disumanità di cui le protagoniste sono vittime è la stessa che le spinge all’odio, alla difesa della propria manciata di terra oltre ogni argomentazione.

Non si può non avere l’impressione che la direttrice, Samara Gannon, abbia voluto osservare da vicino più gli effetti sulle persone che le vicende umane di coloro che sono a contatto con the net.
Il dramma che i quattro personaggi offrono allo spettatore è in realtà il quotidiano spettacolo dell’era di internet: una rete che filtra le informazioni a cui abbiamo accesso, che modella la nostra percezione di identità, così come di alterità.
In un mondo che sfrutta le connessioni del web per informarsi e vivere, in cui le nostre emozioni sono filtrate, le immagini distorte e le narrazioni modificate dal mezzo di osservazione, questa gigantesca macchina da setaccio tra bene e male è quella grazie alla quale noi stiamo comunicando: la nostra percezione del mondo dipende da essa.
Può essere distrutta la rete che separa il mondo dell’acqua dal mondo senz’acqua, ma che tutt’attorno lascia solo deserto? Può essere superato il non-senso della scelta di delimitare lo spazio tra “noi e loro” da un ritorno al senso della vita, che non ci alieni nelle nostre paure?
Il web d’altro canto nasce come strumento di comunicazione militare, non dimentichiamocelo.

La scelta di costruire almeno l’80% della scena con prodotti riciclati (scelta che Sally Sommerville-Woodiwid e Irene Delfanti hanno deciso di portare avanti per tutti i propri lavori scenografici) rappresenta poi non solo un trend, ma nasconde forse un messaggio sul dramma dell’eccesso di Tecnostress: i computer che ci permettono di navigare consumano energia, il silicio che ne costituisce le schede madre è la causa scatenante di una parte massiccia dei conflitti attualmente in corso. La guerra è fatta per la rete, per avere accesso alla rete.
The net non è solo uno spettacolo sull’origine e lo sviluppo della guerra, è anche una proposta di soluzione di tutti i conflitti: attraverso un piccolo spiraglio lasciato per accidente a comunicare tra i due mondi, le quattro donne riscoprono un’umanità, una somiglianza nel dolore e nello sfruttamento al quale sono costrette. Questo dolore, simbolicamente superato con lo squarcio della rete, genera, come in un parto, vita nuova, una nuova prospettiva per il futuro.
Attenzione però, perché il superamento non sarà privo di sacrificio: la vita nasce dalla morte, spesso assurda e insensata dei nostri cari.

E allora neppure solo uno spettacolo sulla guerra, sul globalismo e sullo sfruttamento dei popoli: The net parla di donne e di amore e di come la Natura Madre sia perennemente sfruttata per un cieco asservimento al potere.

THE NET
Regia Samara Gannon
Co-produzione Caley Powell
In scena Marta da Silva, Yvonne Wan, Sarah Agha, Sue Moore
Costumi Sally Sommerville-Woodiwid
Luci Irene Delfanti
Suono Ruth Sullivan

The Camden Fringe
15 agosto 2019

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