RENZO FRANCABANDERA | Il rapporto della danza contemporanea con le figure dei maestri o con le grandi opere del passato mai come in questo momento trova un inaspettato vigore.
È come se il venir meno in questo decennio di alcune delle figure capitali di questa arte, e la necessità di ripopolarla di nuovi codici, stimoli ed esperienze, spinga i coreografi a cercare nelle grandi figure di relazione del linguaggio ispirazioni profonde. È il caso di New Ocean di Richard Siegal /Ballet of Difference, omaggio nel decennale della morte a un grande maestro della danza moderna che avrebbe celebrato il suo centesimo compleanno nel 2019: Merce Cunningham e l’iconica opera Ocean, l’ultima collaborazione tra Cunningham e il compositore John Cage, presentata a Bruxelles nel 1994.  
Il concept originale di John Cage, del 1991, prevedeva che la danza fosse eseguita in uno spazio circolare, con il pubblico che circondava i ballerini e i musicisti (ben 112), che circondavano il pubblico. All’epoca non fu possibile realizzare il progetto, anche per le condizioni di salute di Cage che infatti morì l’anno dopo, ma una coproduzione fra Bruxelles e Amsterdam nel 1994 lo rese realtà. Andrew Culver ha composto la musica secondo l’idea di Cage e David Tudor ha realizzato una composizione elettronica (Soundings: Ocean Diary). La coreografia di Cunningham si componeva di diciannove sezioni, usando un processo casuale basato sul numero di esagrammi nell’I Ching – 64, ma a causa della lunghezza della balletto questo numero era poi raddoppiato, arrivando a 128. Questo numero di frasi includeva assoli, duetti, trii, quartetti e sezioni di gruppo.
Per abituare i ballerini a ballare in tondo, Cunningham disse loro: “devi metterti su una giostra che continua a girare all’infinito”.
Ocean è stato rappresentato per la prima volta nel maggio 1994 al Cirque Royal di Bruxelles, e poi ripreso nel luglio del 2005 al Lincoln Center Festival di quell’anno a New York City. L’ultima esibizione è stata nella cava arcobaleno nel Minnesota, nel settembre 2008, quando 
venne girato un film da Charles Atlas, che contiene anche alcuni momenti di intervista al maestro Cunningham. Ne riportiamo di seguito 5 minuti anche per consentire il confronto con l’opera di Siegal.

New Ocean, programmato in Italia in prima nazionale nella splendida rassegna MilanOltre, giunta quest’anno alla 33esima edizione, oltre che all’opera di Cunningham, si riferisce alla storia e alla prassi di Siegal come coreografo. Dopotutto, già la creazione UNITXT nel 2013 nasceva come complemento concettuale a Biped di Cunningham, parte del Exits and Entrances occorso su commissione del Bavarian State Ballet.
Richard Siegal ha fondato la sua compagnia Ballet of Difference nel 2016, un ensamble caratterizzato da uno spiccato approccio interdisciplinare, con l’idea di esplorare con la danza i limiti di ciò che è normale nella società, e ponendo l’accento con forza sui concetti di migrazione e integrazione. Nel 2017 è stato per la prima volta in Italia a Bolzano Danza con My Generation.

Come detto, New Ocean riprende l’organizzazione circolare e la struttura in 128 frasi dell’iconica opera del maestro, e si sviluppa in due tempi attorno ad una meccanica circolare.
Nel primo tempo, in uno spazio dal fondale bianco e dalle quinte laterali nere, il palcoscenico contiene nel centro la figura del cerchio, che pare più richiamare quadri di pittura espressionista ispirati allo spazio circense, in cui si muovo figure libere di entrare ed uscire da questo recinto, che agiscono movimenti spezzati, accenni di passo ispirati al linguaggio della danza classica ma che vengono spinti fino alla loro sincope incompiuta, che ricordano quelli di Cunningham ma scelgono di non declinarne l’aspetto fluido.
Una scelta di distanza che dal punto di vista scenico si completa poi nel secondo atto, quando, contrariamente a Cunningham, Siegal spezza la forma del cerchio (ne resta mezzo) per esplorare il caos, la foresta buia del tempo presente, lasciando che il disordine penetri nel cosmo, un rimando alla condizione ecologica e socio-politica dei nostri tempi.

Se nell’opera ispiratrice il rimando omerico ad Oceanus come il fiume che circonda la terra abitata e il padre di tutti i fiumi, ma, ancor più importante, come l’origine di tutta la vita appare vivere per tutta l’opera, qui la penetrazione della dinamica caotica, dell’inquinamento, appare concreta fin dal primo atto in cui una serie di canne di vetro calano dall’alto, iniettano nello spazio agito un fumo bianco che lentamente ma inesorabilmente va ad inquinare la visione, lo spazio antropizzato.


Paradossalmente lo sguardo dello spettatore finisce per seguire le volute del fumo nell’aria, distraendosi da quello che i danzatori, quasi spinti da una dinamica meccanica, continuano a fare con cifra fredda, simili a bambole, come nella scena di Blade Runner con i pupazzi animati. Nel collettivo si distingue per presenza scenica, espressione e precisione del movimento la figura di Mason Manning a cui, non a caso, il coreografo regala l’interpretazione di alcune situazioni di scena che potremmo definire cruciali.
Può valere qui la pena ricordare le collaborazioni di Siegal con architetti e designer industriali già occorse nei suoi precedenti lavori e che includono Konstantin Grcic (UNITXT), François Roche (Civic Mimic), Didier Faustino (Still Life, The World to Darkness and to Me), Virginie Mira (Stranger Trilogy, Glossopoeia), Peter Zuspan (Multinatural (blackout ), Muscle) e Alexander Kada (Biennale di Architettura di Venezia). 

Se il primo tempo si concentra sul rapporto fra questi corpi e la meccanica di rimando all’opera originaria e ispiratrice, con l’inquietante presenza delle canne di vetro e il fumo che da queste fuoriesce, del secondo non si può parlare se non facendo riferimento allo straordinario lavoro sulle luci del light designer Matthias Singer.

È il light designer che crea tutto l’ambiente emotivo del secondo tempo in un luogo capace di essere ora subacqueo ora terrestre, fra fondali liquidi e anfratti misteriosi, con un continuo spaesamento della sensazione percepita: per tutta la seconda parte è capace di mantenere la fredda inquietudine della prima, ma di collocarla precisamente in un ambiente estremamente leggibile e riferibile al tempo presente, amplificata dal passaggio dai costumi in tinta bianca o nera del primo atto a quelli più dark del secondo.

Se nel primo atto, a parte qualche piccolo frammento sonoro di pochi secondi di durata, la presenza musicale è praticamente nulla, eccezion fatta per un blues in apertura, e per uno strano e sordo ma quasi impercettibile rumore industrial; la musica nel secondo atto attinge dall’album utp_ di Alva Noto, figura di spicco dell’attuale avanguardia elettronica, dal repertorio del compositore Ryuichi Sakamoto e da quello Ensemble Modern.

04_new_ocean__c__thomas_schermer-400x300.jpgLa cifra della seconda parte è profonda e dolorosa, ma anche immaginifica e di sognante angoscia, chiusa da una colossale visione quasi apocalittica realizzata con i fumogeni e un gioco di luci. Il fumo satura l’ambiente dietro la quinta di fondo; quando quest’ultima viene fatta cadere, dopo che lo spazio scenico si è svuotato della presenza umana, pare generare un’onda apocalittica che dalla scena invade la sala, lasciando il pubblico in una dimensione di sogno scenografico impossibile da dimenticare e di cui hanno goduto, oltre che gli spettatori di Milano, qualche giorno dopo, anche quelli presenti al Teatro Ariosto, per il Festival Aperto di Reggio Emilia.

Siegal è stato coreografo residente al Baryshnikov Arts Center di New York, al Muatwerk di Monaco di Baviera e alla Festspielhaus di St. Pölten e Artista Associato della Forsythe Company. Insignito di molti premi tra cui un Dance and Performance Bessie Award, del premio tedesco per il teatro Faust e del Premio Danza&Danza 2017. È membro onorario del Benois de la Danse del Bolshoi.

 

NEW OCEAN (the natch’l blues)

RICHARD SIEGAL/BALLET OF DIFFERENCE AT SCHAUSPIEL KÖLN

coreografia e scene Richard Siegal
drammaturgia Tobias Staab  
musica Alva Noto, Ryuichi Sakamoto, Ensemble Modern
interpreti Margarida de Abreu Neto, Jemima Rose Dean, Gustavo Gomes, Mason Manning, Andrea Mocciardini, Claudia Ortiz Arraiza, Zuzana Zahradníková, Long Zou
luci Matthias Singer
costumi Flora Miranda
produzione Schauspiel Köln,Tanz Köln in coproduzione con Muffatwerk München

progetto finanziato dal programma NEUE WEGE di KULTURsekretariat NRW, Ministero della Cultura e della Scienza dello stato della Renania Settentrionale-Vestfalia, Dipartimento Culturale della Città di Monaco, Kunststiftung NRW

in partnership con Goethe-Institut Mailand

 

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