LAURA BEVIONE | Esattamente cinquant’anni fa, il primo ottobre del 1969, debuttò uno spettacolo destinato a divenire un irriverente long-seller teatrale e a spianare al suo autore la lunga e faticosa strada verso un inatteso, coraggioso premio Nobel per la letteratura. Stiamo ovviamente parlando di Mistero buffo,  scritto – con la preziosa Franca Rame – e interpretato da Dario Fo.

In occasione di questo significativo anniversario, l’attore marchigiano Mathias Martelli, con la complicità registica di Eugenio Allegri, riporta in scena – la prima debuttò un paio di anni fa, sempre con la produzione dello Stabile di Torino – la propria versione di Mistero buffo, efficacemente rimontata e ripensata.

Se, nella loro prima edizione Allegri e Martelli tendevano a evidenziare i paralleli fra il passato remoto delle “giullarate” che compongono il duttile testo di Fo e l’attualità con sipari di raccordo farciti di riferimenti a politici e fattacci dell’Italia contemporanea che risultavano un po’ forzati e che nulla aggiungevano al valore dello spettacolo, in questa nuova veste, i due artisti lavorano efficacemente per sottrazione, concentrando l’interesse sul contenuto dei singoli monologhi. Allo stesso scopo, meno spazio hanno le proiezioni di immagini in bianco e nero che nella vecchia versione miravano a ricostruire il contesto storico-sociale in cui Mistero buffo era gemmato.

01 - Matthias Martelli Photo credit Andrea Macchia BASSA
Foto Andrea Macchia

Regia e interprete, dunque, concentrano il proprio sforzo su quello che è il nucleo – esplosivamente innovativo – del capolavoro di Dario Fo, ossia l’amalgama di una lingua artificiale eppure concretissima – il grammelot – e di una narrazione che, scansando volgarità “facili” e gratuite, ritrae vizi, ma anche pregi, innati nel genere umano.

Com’è noto, Fo costruì il proprio testo come un atto unico composto da monologhi/apologhi d’ispirazione religiosa, con l’obiettivo non tanto di offendere la religione quanto di denunciare ipocrisia, malafede, crudeltà di quei rappresentanti della Chiesa che certo non meritarono la salvezza eterna e al cui cinismo l’autore/attore opponeva la genuina buona fede dei “semplici” e il sano buon senso di un popolo abituato a conquistarsi ogni giorno la sopravvivenza.

Allegri e Martelli hanno scelto quattro di quei monologhi – La nascita del giullare; La parpaia topola e, a sere alterne, Il primo miracolo di Gesù bambino e Bonifacio VIII – e li mettono in scena sul palcoscenico spoglio, senza orpelli né costumi (Matthias indossa pantaloni e maglia neri) assecondando quella tradizione giullaresca reinventata da Fo e incentrata unicamente sulla parola e sul corpo dell’attore/narratore.

04-Eugenio-Allegri-Photo-credit-Paolo-Ranzani

E Matthias Martelli è certamente il più giovane rampollo di una plurisecolare dinastia di giullari, irriverenti e mutevoli, astuti e irresistibili; degnissimo erede di un modo di intendere e fare teatro di cui Dario Fo seppe far riconoscere, al massimo livello, la valenza artistica e politica.

L’attore, nato a Urbino, sa recitare con il volto e con il corpo, oltre che con la voce, accompagnando le proprie narrazioni con movimenti rapidissimi ma mai frenetici né scomposti ed esercitando una mimica facciale grottesca e precisissima. Non solo, testimonia disinvolta capacità di improvvisazione, frutto di un ascolto vigile e mai compiaciuto delle reazioni del pubblico, al quale è esplicitamente richiesta un’attenzione viva e prolungata.

Ognuna delle tre giullarate è introdotta con una breve sintesi del contenuto e con qualche battuta – e sì, anche con qualche riferimento all’oggi, ma quasi per caso, senza troppa oziosa insistenza –; poi inizia la narrazione vera e propria, scoppiettante ed esilarante, condotta con ritmo inarrestabile e irresistibile e con una seria gioiosità, a ricordare come le iperboli e i paradossi che la contraddistinguono non sono che esplicite denunce di mali tutt’altro che inverosimili.

Ecco, allora, che ne La nascita del giullare si concede a un “debole” la rivincita sui soprusi di un padrone, sconfitto, però, non ricorrendo alle armi della forza fisica o della posizione sociale bensì grazie alle affilatissime lame della parola. In Bonifacio VIII, invece, gli infiniti vizi del papa che Dante ficcò nel profondo Inferno quando ancora era in vita, sono amaramente e quietamente evidenziati dallo stesso Gesù Cristo; mentre in La parpaia topola la seducente Alessia è convinta dalla pura ingenuità del proprio sposo a sottrarsi alle brame di un prete assai lussurioso…

02-Matthias-Martelli-Photo-credit-Andrea-Macchia
Foto Andrea Macchia

Senza trarre morali esplicite, senza concionare né predicare, bensì affidandosi alla forza esemplificativa e argomentativa delle giullarate create da Dario Fo, Martelli regala agli spettatori molte risate e altrettante, amare ma non fataliste né disperate, riflessioni sui limiti e sulle contraddizioni del genere umano, da sempre incline a cedere alle proprie colpevoli debolezze…

 

MISTERO BUFFO
di Dario Fo

regia, ideazione video e colonna sonora Eugenio Allegri
luci e fonica Loris Spanu
montaggio e realizzazione video Fabrizio Garnero
artist management Serena Guidelli
interprete Matthias Martelli
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale; in collaborazione con ArtQuarium

 Teatro Gobetti, Torino
24 ottobre 2019