LAURA BEVIONE | Michel Marc Bouchard è uno fra i più noti scrittori canadesi, autore di testi teatrali e sceneggiature di successo, ma in Italia non è molto frequentato. Del fatto che, in realtà, i play del canadese possiedano una universalità che li presta a traduzioni anche nella nostra penisola, è però convinto il regista Simone Schinocca, animatore della torinese compagnia Tedacà, che, nel 2016, mise in scena proprio un enigmatico e oscuro dramma di Bouchard, Il sentiero dei passi pericolosi, una partita a tre con protagonisti altrettanti fratelli sospesi in un’atmosfera quasi irreale, un po’ The Others, un po’ Il sesto senso.
E una voluta confusione fra reale e irreale, fra incubo e concreta tragedia, domina pure il nuovo testo di Bouchard – forse non il più riuscito dell’autore – portato in scena da Schinocca con un affiatato cast di sei interpreti. Sotto lo sguardo delle mosche fotografa un interno familiare sull’orlo della disgregazione, minato da tare esiziali e da un auto-inflitto isolamento.
Una famiglia alto borghese, che deve la sua ricchezza all’immenso allevamento di maiali che ne circonda la ricca dimora: viene subito in mente il Pasolini di Porcile, ma è un parallelismo puramente superficiale, poiché in Bouchard la violenza della critica sociale è meno estrema e disperata rispetto all’italiano; d’altronde siamo in altri tempi oltre che in altre latitudini, per cui malattia e promiscuità, pur presenti, risultano accennati e suggeriti, mai apertamente dichiarati.
La vicenda – concentrata in un’unica serata – si svolge in un interno agiato eppure pervaso da un polveroso sentimento di decadenza: la padrona di casa è una donna che molti anni prima tolse la vita alla sorella, ridotta a un vegetale, gesto di pietà che il nipote non le ha mai perdonato e che sta perversamente vendicando intossicando il cugino Vincent.
La trama ruota appunto attorno a questi tre personaggi: la madre (Antonella Delli Gatti) apprensiva ed esageratamente affettuosa ma pure candidamente e istintivamente amorale – il marito, che ha voluto il divorzio, la definiva una «porca» per i suoi appetiti sessuali, e certo non comprende il portato etico dell’«omicidio» da lei commesso. Il figlio (Elio D’Alessandro), fragile e in balìa del cugino, vorrebbe costruirsi una nuova vita lontano da quella casa e per questo ha sedotto la cameriera Docile (Valentina Aicardi) che ha condotto con sé per prendere le sue cose e salutare definitivamente la famiglia. Il cugino (Andrea Fazzari), capriccioso e astioso, dedito esclusivamente al proprio proposito di vendetta.
Ruoli di contorno sono affidati al veterinario (Fabio Marchisio), che fornisce al cugino la morfina di cui ha reso dipendente Vincent, e alla moglie di lui (Francesca Cassottana), amante del lusso e dei programmi tv. Cassottana, poi, è anche una cameriera in lungo abito nero che, parlando nei microfoni ad asta ai due lati del proscenio, recita le didascalie del testo, così da chiarire azioni e atteggiamenti dei personaggi principali.
Ci sono, poi, invisibili eppure concretissimi, le migliaia di maiali che abitano l’allevamento che circonda la casa e, inevitabili, le nuvole di mosche che, dal porcile, invadono stanze e mobili. Animali portatori di un simbolismo esplicito ma, non per questo, meno efficace nel descrivere una famiglia volontariamente auto-condannatasi a vivere fuori dal contesto cittadino, a estraniarsi dal consorzio umano – non a caso la madre decide di cucire un vestito nuovo per la “straniera” Docile, così da rivestirla come una della casa, con un abito sontuoso, un po’ barocco, come quelli che indossa lei.
In un ambiente tanto chiuso e autoreferenziale, abituato alla penombra, alle grida dei maiali e al sibilare delle mosche, le relazioni inevitabilmente divengono morbose, dettate da istinti primari non controllati anziché da norme comunemente accettate.
Il testo di Bouchard, dunque, mira a descrivere la perversità e la malattia psichica e, in primo luogo, morale, di realtà familiari che, per ragioni varie, hanno scelto una consapevole autarchia, sociale e sentimentale.
Il play dell’autore canadese, nondimeno, risulta a tratti un po’ artificioso e dal finale un po’ confuso e precipitoso: difetti che la lineare e rispettosa regia di Schinocca riesce comunque a minimizzare, grazie anche alla generosità degli interpreti, impegnati in concitati sipari dialogati così come in scene di gusto coreografico-figurativo: madre e figlio mimano una sorta di profana pietà; i due cugini danno vita a un passo a due morbosamente violento tenendosi uniti per mezzo di una cintura di cuoio.
Soluzioni registiche che enfatizzano la natura in fondo irreale del testo, che pare raccontare di fantasmi più che di uomini, inquieti e tormentati abitanti di un incubo destinato a durare per l’eternità.
SOTTO LO SGUARDO DELLE MOSCHE
di Michel Marc Bouchard
traduzione Valentina Aicardi
regia Simone Schinocca
assistenti alla regia Claudia Cotza, Roberta Lanave
scenografia Sara Brigatti
costumi Agostino Porchietto
composizioni originali Elio D’Alessandro
interpreti Valentina Aicardi, Francesca Cassottana, Elio D’Alessandro, Antonella Delli Gatti, Andrea Fazzari, Fabio Marchisio
produzione Tedacà; in collaborazione con Teatro Libero di Palermo; si ringrazia FTT – Fertili Terreni Teatro
Teatro Gobetti, Torino
29 ottobre 2019
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