DALILA D’AMICO | Come può intervenire ciascuno di noi in quel processo che vede l’estrema Destra avanzare incontrastata in tutta Europa e la Sinistra arretrare, perdendo di vista le classi subalterne? Questa la domanda che pone lo spettacolo Ritorno a Reims di Thomas Ostermeier tratto dall’omonimo romanzo del filosofo e sociologo Didier Eribon. Lo spettacolo, co-prodotto dal Piccolo Teatro di Milano e il Romaeuropa Festival che ne ha ospitato le repliche romane dal 20 al 23 novembre, è un progetto transnazionale che rinnova cast e alcune parti della drammaturgia di Paese in Paese. Per l’Italia la scelta di Ostermeier è caduta sull’attrice Sonia Bergamasco, l’attore Rosario Lisma, e il rapper Tommy Kuti. L’identità mutante è strettamente connessa all’urgenza che muove il romanzo, un’indagine sociologica sul declino della Sinistra, filtrata dall’esperienza biografica del suo autore: la morte del padre, il ritorno nella città natale, le radici proletarie della sua famiglia, la propria posizione di intellettuale. Nell’analisi di Eribon infatti, i due aspetti, il biografico e il sociale si condizionano l’un l’altro: «Arrivai a pensare che tutto ciò che era stato mio padre, vale a dire tutte le ragioni per cui l’ho detestato, è stato modellato dalla violenza del mondo sociale», dice Sonia Bergamasco che dà voce alle riflessioni di Eribon. La biografia, la parzialità di sguardo, la specificità della lingua e la Storia della nazione in cui il racconto prende corpo, sono quindi marche genetiche tanto del romanzo quanto della messa in scena di Ostermeier.

Chi si aspetta di trovare una chiave di lettura di questo presente disorientante resta deluso tanto quanto chi si aspetta di partecipare alle messe in scena rigorose e imponenti del direttore dello Schaubühne di Berlino. I tratti notevoli dello spettacolo risiedono piuttosto nella stratificazione dei diversi livelli di realtà messi in atto e nella capacità di sollevare domande piuttosto che fornire soluzioni paternaliste. Il romanzo-saggio di Eribon, più che spiegato o interpretato viene discusso dagli attori in scena nella parte di se stessi. Rosario Lisma è un regista alle prese con un documentario sull’opera di Eribon, un film di Sébastien Dupouey e Thomas Ostermeier che vediamo scorrere sul grande schermo al centro della sala. Sonia Bergamasco è la voce off scelta dal regista (Lisma) a commento delle immagini. Tommy Kuti è l’ingegnere del suono e proprietario della sala di registrazione in cui è ambientato lo spettacolo. Si sovrappongono dunque diversi tempi e piani di rappresentazione: quello del romanzo, quello del film, quello della scena in cui i tre attori tentano di finalizzare la colonna sonora del film, quello delle loro vite che in diversi momenti dello spettacolo si costituiscono come snodi drammaturgici e quello immanente dell’essere in un teatro di fronte alla comunità locale interpellata direttamente a più riprese.

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Foto Masiar Pasquali

La forza di Ritorno a Reims risiede proprio nei punti di intersezione tra i diversi piani, nei salti semantici, nelle rifrazioni tra una virtualità e l’altra. Nel bel mezzo della registrazione l’attrice si interrompe lamentandosi sull’eliminazione di un passaggio in cui Eribon prende in causa il filosofo Pierre Bourdieu, secondo cui nella società vi sono strutture indipendenti dalla coscienza dell’individuo le quali delimitano in modo specifico il suo comportamento, pur lasciando un margine di libertà e potenza creativa. Lo scontro tra l’attrice e il regista rispecchia il conflitto interiore di Eribon: l’essersi emancipato da un’origine operaia e dalla cultura ottusa del padre, per vivere la propria omossessualità, salvo poi accorgersi di aver derealizzato la condizione operaia assumendola nelle proprie speculazioni teoriche come concetto astratto. Questa l’ammissione di colpa di Eribon: l’intellettuale è corresponsabile della caduta del “Partito”, avendo smesso di produrre lenti teoriche in cui le classi subalterne potessero riconoscersi. È così che i discorsi sulla resistenza al dominio sono andati sostituendosi a quelli della responsabilità individuale, scollando quel senso di lotta comune che teneva unita la classe operaia. Ecco allora che interviene il terzo personaggio, il rapper afro-italiano Tommy Kuti che accusa l’attrice e il regista di perpetuare le stesse logiche da loro denunciate: scendere in difesa delle classi subalterne, demonizzare il razzismo dilagante senza lasciar parola a chi lo vive sulla propria pelle. «Le cose cambieranno quando lascerete a noi la possibilità di parlare per noi stessi», dice il rapper.

Lo spettacolo è a sua volta un saggio sulle rappresentazioni “del dolore dell’altro” e sui dispositivi che gli danno forma. Come il romanzo, anche la messa in scena di Ostermeier intreccia dunque sociale e biografico, come Eribon anche gli attanti si chiedono cosa poter fare personalmente per agire sul corso degli eventi, ancora una volta però ripresi da una telecamera a rimarcare la presenza di una sovrastruttura che condiziona il loro margine operativo, un dispositivo in termini foucaldiani, che inquadra la Storia modificandone le chiavi di lettura. “Che fare” dunque? Forse la risposta risiede nella rottura del dispositivo, che per Eribon è la prospettiva teorica fornita dagli intellettuali per inquadrare il presente e per Ostermeier è quello scenico che rifrange il racconto in molteplici cornici rappresentative. In sostanza passare dal discorso all’azione, spezzare il circuito di oggettificazione dell’altro e riconoscervi un alleato di resistenza.

RITORNO A REIMS
dal libro di Didier Eribon

regia Thomas Ostermeier
con Sonia Bergamasco, Rosario Lisma, Tommy Kuti
drammaturgia Florian Borchmeyer
traduzione Roberto Menin
scene Nina Wetzel
light design Erich Schneider
sound design Jochen Jezussek
film Sébastien Dupouey, Thomas Ostermeier
camera Marcus Lenz, Sébastien Dupouey
suono (film) Peter Carstens
musiche Nils Ostendorf
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Fondazione Romaeuropa in collaborazione con Schaubühne, Berlino

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