ANTONIO CRETELLA | Il primo dicembre è la giornata dedicata alla lotta all’HIV e alla corretta informazione sul virus. Nonostante, infatti, gli anni di campagne informative, la consapevolezza media sullo stato attuale della diffusione dell’HIV, sui protocolli medici di ultima generazione e sugli importanti progressi raggiunti dalla scienza nel trattamento e nel controllo della sindrome, è ancora bloccata in uno sconcertante paradosso: da un lato una paura irragionevole del virus, cui ancora sì attribuisce l’immagine di una pestilenza medievale, dall’altra una serie di conoscenze sballate, non aggiornate o semplicemente false che ancora trovano consenso nei malinformati o, ancora peggio, in chi da quella malinformazione lucra. “Aids malattia dei gay”, “Aids malattia dei drogati”, “Aids punizione divina” sono solo alcuni dei miti ancora diffusi sul virus che contribuiscono alla sua diffusione, miti nati e diffusi a cavallo tra anni ’70 e ’80, coincidenti con la maggiore esposizione mediatica della malattia che in realtà era già diffusa in Europa da qualche decennio, ma che non veniva diagnosticata, confusa con forme tumorali. Di pari passo in quegli anni si costruiva lo stigma sociale delle persone sieropositive che un tristemente famoso spot informativo della fine degli anni ’80 dipingeva come untori contornati da un maligno alone viola e destinati in poco tempo a un’atroce deperimento che conduce alla morte.
Da allora, tuttavia, le cose sono radicalmente cambiate: l’HIV è divenuta, grazie ai farmaci, un’infezione cronica che molto più raramente sfocia in AIDS conclamato, offrendo ai portatori un’aspettativa di vita del tutto sovrapponibile a un sieronegativo; l’uso corretto delle medicine sopprime la carica virale nel sangue rendendo impossibile trasmettere il virus. Ciò significa che se tutti conoscessero il proprio stato sierologico e iniziassero le cure, il virus scomparirebbe. Addirittura, la scienza ha trovato un modo di rendere utile il virus dell’HIV sfruttandone la capacità di insediarsi nel genoma umano: ad oggi la terapia genica di alcune leucemie si basa sull’uso di un virus dell’HIV manipolato affinché non trasmetta la malattia, ma riscriva il genoma delle cellule umane per combattere i linfociti malati. Tuttavia una serie di retaggi culturali di origine religiosa, da cui peraltro deriva il silenzio assordante delle scuole in materia di educazione sessuale, il dilagare di posizioni antiscientifiche e una generale difficoltà nel rendere accessibile una buona divulgazione scientifica, rendono assurdamente lontana una soluzione che sarebbe a portata di mano.