ANTONIO CRETELLA | Nella crisi di valori e di simboli che attanaglia la fluidità postideologica della morte della politica, il presepio si candida ormai da diversi anni a divenire il simbolo dell’unità culturale dell’Occidente, il baluardo di difesa della Cristianità minacciata dagli infedeli, il limes spirituale contro cui far sbattere il muso delle orde di invasori, la Lepanto in cui affondare l’invincibile armata di carrette del mare. Credo sia perciò tempo di sostituirlo in pianta stabile all’ormai consunto e abusato simbolo della croce come segno di un rinnovato impegno dei cristiani, praticanti e non, a difesa della loro integrità culturale; una strada per altro già intrapresa da illuminati esponenti politici che ne hanno previsto l’obbligatorietà nelle scuole o che si presentano in pubblico esibendolo come accessorio moda del 2020. Nell’ora dell’imminente pericolo, sotto l’attacco incessante dei nuovi Saraceni, la funzione protettiva e repellente del male delle croci e dei rosari non è infatti più sufficiente a garantire l’immunità dall’islamizzazione che, al pari del virus influenzale, muta di continuo per aggirare le difese del buon credente autoctono nostrano pulito sano e infettarlo con la sua beduinità selvatica. Mai come adesso è necessario ricorrere a una profilassi radicale: non solo presepi nei luoghi pubblici che a mo’ di zampironi contrastino la parassitosi spirituale diffusa per via aerea, ma un proprio presepe personale da portare sempre con sé sottobraccio, legato al collo o, per le signore timorate, costruito come decoro di un lezioso cappello a tesa larga con una veletta antislamica. Assieme al gel igienizzante per le mani diventerà indispensabile.
Viziosismi nr. 67: Presepe-à-porter
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