ILENA AMBROSIO | Vicende comuni, quotidiane eppure, quasi non si capisce perché, strane, surreali. Personaggi che sentiamo vicini ma che, al contempo, percepiamo vagamente altri, come destinati a un futuro straordinario che resta, il più delle volte, sospeso. Sospensione, quella di un tempo che procede per pause e accelerazioni, tempo di vite “medie” ma, per qualche motivo, anche straordinarie, condensate in una manciata di minuti, sulla scena. Il teatro di Teatrodilina è un po’ questo, una finestra sulla stanza di esistenze comuni ma dalla quale intravediamo altri paesaggi; quasi la tana di un comunissimo coniglio bianco che però è sentiero per un paese tutt’altro che comune.
L’abbiamo visitato questo paese, addobbato a festa per Quasi Natale, ospitato al Teatro Area Nord di Napoli, e abbiamo colto l’occasione di un confronto con Francesco Lagi sulla drammaturgia di Teatrodilina.
Per il quarto anno non mancate all’appuntamento con la stagione Confini Aperti del TAN. Cosa vi lega a questo luogo e al progetto artistico di Hilenia de Falco e Lello Serao?
Quando troviamo un posto e una realtà accogliente che ci ospitano, e continuano a ospitarci dimostrando interesse e curiosità per quello che facciamo anno dopo anno, siamo molto contenti. E riconoscenti. Continuare a fare teatro in certi posti per noi è molto importante; il TAN è tra questi. Sperando ogni volta di riuscire ad accendere una piccola luce intorno alla quale far vivere lo spazio e le persone che vengono a vederci.
Quest’anno è stata la volta di Quasi Natale, un lavoro che mi pare raccolga molte delle componenti drammaturgiche e sceniche che vi caratterizzano. C’è prima di tutto una storia di rapporti, familiari in questo caso; un intreccio di dinamiche relazionali osservate nel loro evolversi. Potremmo dire che la vostra drammaturgia ruoti – con declinazioni differenti ovviamente – intorno a questo nucleo narrativo?
Le nostre drammaturgie si basano sul racconto di persone e su rapporti. Sulla messa a fuoco di alcune esistenze e sullo scavo nelle relazioni. Le idee di messa in scena che mettiamo in atto giocano principalmente con i sentimenti e con le parole. Quando scegliamo le parole da usare, quelle con cui si esprimono i nostri personaggi, cerchiamo di andare a prendere quelle di ogni giorno, quelle che ci servono normalmente per le cose più semplici. Lasciandoci sorprendere da come riescano le parole anche più familiari, se messe in un certo ordine e se dette in un certo modo, a trasportarci piano piano in territori altri.
Le relazioni che raccontate sono assolutamente “comuni” – gli incontri/scontri familiari delle festività sono un topos della vita quotidiana – e in questo si coglie un desiderio di prossimità al pubblico. D’altro canto però si percepisce anche una sorta di evanescenza, come se vedessimo fantasmi aleggianti in un tempo sempre sospeso, proiettato all’attesa o al ricordo, che procede per inquadrature e cambi di scena quasi cinematografici. Cosa tiene insieme questi due piani? Qual è stato il percorso che vi ha condotto a questo linguaggio scenico e attoriale?
Partendo da un mondo condiviso con lo spettatore, cerchiamo di metterci a una distanza il più possibile ridotta da lui o da lei che in quel momento ci sta ascoltano e osservando. Ci piace iniziare da una prossimità il più accogliente possibile per poi, a poco a poco, traslare le cose e spostarle leggermente più in là. Muovendosi con piccoli, magari impercettibili, smottamenti di senso e di significato, cerchiamo di portare il noto, il quotidiano, qualcosa che si sa, in un posto che invece non si sa. In un posto che possa, se il piccolo viaggio è riuscito, sorprendere. Come sono finito qui? È una bella domanda, ci piacerebbe che le persone che ci vengono a vedere se la ponessero alla fine di un nostro spettacolo.
In Quasi Natale ci sono poi, disseminati, anche quegli oggetti rotti che ritroviamo spesso nei vostri lavori. Qui un telecomando, nel Bambino con le orecchie grandi era un iPod, in Brina – debuttato di recente alla Città del teatro – un frigorifero. Cosa ci dicono questi meccanismi malfunzionanti sul modo di vivere dei personaggi, ma forse sulla vita in generale?
I malfunzionamenti degli oggetti, come i malfunzionamenti delle persone, sono ovviamente molto interessanti. Le cose o le persone che funzionano bene non sono così interessanti. Cioè, sono interessanti nel momento in cui non funzionano più bene, allora sì. Visti nel loro processo di rottura. Ma siccome ognuno di noi è per qualche motivo mal funzionante, si tratta di capire qual è quel motivo che ci rende “guasti”, si tratta di capire perché, nonostante tutti ci vorremmo perfettamente ben funzionanti, non funzioniamo bene per niente. La ricerca di quel motivo (perché il telecomando non funziona? Perché il frigo è rotto?) è di fondamentale importanza. La ricerca del motivo, cioè il racconto, non il motivo in sé, ovviamente.
Soprattutto, però, nei vostri lavori c’è la compagnia, il vostro stare in scena, insieme, in un incastro calcolato al millimetro eppure sempre spontaneo e naturale. Una sintonia attoriale ma certamente anche umana. È questa la vera cifra di Teatrodilina?
Quando proviamo i nostri spettacoli, chiudendoci in una stanza a dire i nostri testi, tendiamo a incastrare le parole una dopo l’altra. Cercando un certo ritmo, una certa imprevedibilità, certe curve, frenate o sbandamenti. Ci piace usare le parole, i dialoghi, come elementi ritmici e sonori. È dal suono del dialogo, infatti, che scaturisce il personaggio. Quindi il senso. Prima di tutto, quando ancora è tutto buio, c’è la battuta. Come la scintilla della pietra focaia che una scintilla dopo l’altra, strofina e strofina, se non piove o tira troppo vento, un fuocherello alla fine esce e il buio si rischiara.
Ed è proprio il nostro conoscersi attraverso gli anni e le tribolazioni, in modo sempre più approfondito il movimento principale, quello che ci spinge a incontrarci di volta in volta a fare delle prove e poi gli spettacoli. Cercando di dare qualità al nostro stare in scena, provando a stare nello stesso posto nello stesso momento e tentando di portare a galla un racconto.
Il nostro modo di fare teatro è una declinazione del nostro stare insieme, una forma di affettività perversa e ostinata.
QUASI NATALE
scritto da Francesco Lagi
con Anna Bellato, Francesco Colella, Silvia D’Amico, Leonardo Maddalena
disegno suono Giuseppe D’Amato
scenografia Salvo Ingala
costumi Andrea Cavalletto
realizzazione scenica Alessandra Agresti
luci di Martin E. Palma
con il sostegno di Compagnia Licia Lanera
organizzazione Regina Piperno
regia Francesco Lagi
Teatro Area Nord, Napoli