GIAMBATTISTA MARCHETTO | In un paese disperso nella pianura Padana, una fascia di terra, umida e tignosa, Matteo Righetto ambienta il suo primo romanzo Savana padana e da quelle righe Stefano Scandaletti costruisce per il teatro una rilettura tragicomica, dal sapore pulp.
Savana padana è una black comedy (prodotta dal Teatro Stabile del Veneto) ambientata in un Far West in salsa padana. «Seguiamo i personaggi del romanzo nei meandri delle loro losche attività di scambio, infarcite di diatribe, conflitti, inganni: prede, predatori e strategie di sopravvivenza – l’immaginario brutale che divide il forte e il debole», spiega il regista Scandaletti, che costruisce una storia di confini: quello tra i capannoni e i campi di mais, quello tra gli italiani e gli stranieri più o meno integrati, quello tra la ricchezza economica e la povertà culturale.
La parabola è raccontata dalla voce di quattro attori: Riccardo Gamba, Pietro Quadrino, Davide Sportelli e Francesco Wolf (già a fianco di Scandaletti nel Giulio Cesare di Àlex Rigola). Per sopravvivere alla disperazione i quattro protagonisti cercano una rivalsa a scapito di qualcun altro, pretendendo in definitiva qualcosa indietro dalla vita.
Scandaletti, quanto si è spinto oltre il romanzo nell’adattamento teatrale di Savana padana?
La forma del racconto, indispensabile per tenere il lettore aggrappato alla storia durante la lettura, l’ho tenuta nell’adattamento. Allo stesso tempo, Savana padana è un kolossal – sarebbe perfetto per il cinema, come sceneggiatura hollywoodiana – e si compone di molti personaggi; nel libro c’è un intero paese di abitanti che vive e che non avrei mai potuto portare in teatro. E più percepivo l’evoluzione esponenziale delle possibilità rappresentative, piu mi rendevo conto della necessità di andare al sunto. Così siamo andati all’essenziale e abbiamo usato la forma narrativa del romanzo proprio per coinvolgere in teatro, dato che è il raccontare dell’attore a spingere l’immedesimazione nella vicenda.
Il racconto è pulp anche in teatro?
La vicenda ha del surreale, ha pezzi di non-possibile. Essendo nato in quei territori raccontati da Righetto, conosco i tipi umani e mi son visualizzato i bar e i luoghi che conosco. Questo mi ha spinto anche oltre il pulp, cercando di comprendere il disordine abnorme in cui è facile scivolare pur desiderando rimanere nelle regole.
Come mantenere il respiro di questa “savana”, ma confrontandosi con i limiti del teatro?
Proprio questa è la magia, questo il potere del teatro. Nel senso che ti permette di raccontare delle cose enormi con niente. Essendo io attore e partendo dall’aspetto recitativo, cerco sempre di “spremere” al massimo le possibilità attoriali, senza orpelli e senza per forza avere scenografie o cambi d’abito. Cerco di utilizzare al massimo il caleidoscopio di possibilità che offrono il corpo umano e una voce che ti fanno partecipare alla storia. Con questa consapevolezza ho lavorato su Savana padana facendone un racconto di corpi.
Con quale esito?
Il romanzo incastra molti aspetti e più filoni, senza contare il finale apocalittico. Così impossibile da rappresentare in teatro, che ho scelto di alleggerire: in scena solo persone e al massimo delle sedie.
In questo processo di sottrazione drammaturgica non si rischia di perdere le azioni che fanno il teatro e di finire per spiegare i fatti?
In Savana padana c’è un grande utilizzo del corpo: movimento, voce e relazione con altri corpi. C’è un gioco a quattro che coinvolge intimamente innanzitutto gli interpreti. Ma ho lavorato sull’immaginazione interna e l’attore in scena diventa medium per questa immaginazione, parlando di odori e rumori, di emozioni che rivivono e arrivano dritte al pubblico. Se gli attori sono concentrati e il pubblico è con loro, in quel momento si può anche star fermi e non c’è bisogno di alcuno sforzo per trasportare chi ascolta nel tuo mondo. A tratti ci si sposta totalmente in una situazione astratta, in cui devi lavorare con l’attore per godere di quella cosa.
Dunque non un utilizzo “didascalico” del corpo?
No. È come fosse una caccia al tesoro in cui lo spettatore deve prendere i particolari sparpagliati e metterli dove servono all’interno della storia. Non tutto combacia, perché lo squallore della situazione ti arriva in faccia nel momento in cui tu non te lo aspetti.
Come si transita dal locale all’universale?
Questo è un elemento per cui ho scelto questo testo: parla di un ambiente per me conosciuto, quotidiano e “nostrano”, ma in questo contesto racconta una storia assoluta. C’è una sorta di quadro mitologico per cui, se non riordiniamo le cose, l’umanità va incontro a incidenti seri. Ecco, il romanzo parte dal piccolo Veneto per andare all’assoluto arrivando all’antica Grecia.
C’è quindi una dimensione epica?
Certamente. L’orizzonte si amplia e il coinvolgimento è forte. E poi c’è un approccio divertito alla follia.
SAVANA PADANA
dal romanzo di Matteo Righetto
drammaturgia e regia Stefano Scandaletti
con Riccardo Gamba, Pietro Quadrino, Davide Sportelli, Francesco Wolf
soundesign Lorenzo Danesin
movimenti di scena Davide Sportelli
luci Enrico Berardi
durata 1h senza intervallo
Prossime date:
4 febbraio – Teatro S. Antonio, Montecchio Maggiore (VI)
8 febbraio – Teatro Sociale E. Balzan, Badia Polesine RO
25 febbraio > 4 marzo – Teatro Maddalene, Padova
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