ELENA SCOLARI | «Dove sono i miei sigari?! Ho bisogno di fumare! Datemi un sigaro!». Winston è agitato e reclama i suoi sigari e se l’infermiera glieli vieta lui li nasconde nel bastone, ineffabile. Lo stratagemma ha un precedente cinematografico illustre: lo usava l’avvocato Wilfrid Robarts interpretato dall’eccezionale Charles Laughton in Testimone d’accusa di Billy Wilder (1957); due uomini grandi, vessati da donne che vogliono cocciutamente salvaguardare la loro salute e li bacchettano, in tarda età, negando loro vizi e piaceri.
Churchill beve, anche, certo, e tiene gli alcolici dentro a un mappamondo, il globo si apre e ne escono gli spiriti. Ci sono altri spiriti che aleggiano nello spettacolo Winston vs Churchill – con Giuseppe Battiston per la regia di Paola Rota – e sono gli spiriti di Stalin, Hitler, Roosevelt e in fondo anche quello di Churchill stesso, che vediamo anziano, in veste da camera, malaticcio (ma ancora molto animato da vis polemica) e guardato a vista dall’infermiera Lucienne Perreca, personaggio che dovrebbe rappresentare tutte le infermiere che hanno assistito il grande statista inglese; ancora più simbolicamente la donna è il suo contraltare dal senso comune, che sopporta di affiancare un uomo che di comune non ha quasi nulla.
Battiston, quasi inutile dirlo, è bravo, come sempre, è un piacere veder muovere il suo corpo voluminoso come se davvero gli pesasse; gesticola, inveisce, dileggia chiunque con ferocia british. Incarna l’uomo che fu due volte primo ministro del Regno Unito portando tutto il peso degli attacchi mossi e a volte persi, come il disastro dei Dardanelli: nella battaglia di Gallipoli morirono 46.000 persone. Nella primavera 1915 l’obiettivo era conquistare lo stretto da parte degli Alleati per occupare Costantinopoli e costringere l’impero Ottomano a uscire dal conflitto ottenendo il contatto con la Russia tramite il Mar Nero. Le cose non andarono come la Triplice Alleanza sperava e l’operazione si consumò con una lunga serie di battaglie tanto truculente quanto inutili.
Questo fallimento militare è uno degli incubi più plumbei che affliggono il Churchill politico ma anche l’uomo Winston, insieme a non essere riuscito a convincere i “colleghi” affinché si fermasse Hitler.
L’uomo e il politico sono la stessa persona, non solo nel senso più ovvio ma perché il ruolo pubblico, a certi livelli, finisce per coincidere con quello privato. Come dice la figlia attrice Sarah (una delle quattro) al padre «Non puoi venire a vedermi in teatro senza farti notare: tu sei Churchill».
E così Battiston oscilla con altalenare nervoso tra i ricordi degli incontri “storici” avuti con i grandi del mondo e l’apprensione affettuosa e un po’ ridicola per il suo gatto.
Tutto in uno spazio scenico che merita qualche approfondimento: un’ellissi il cui perimetro è segnato da lampadine da ribalta delinea un’area, convessa, coperta di terra, che dovrebbe indicare una porzione di scena con un significato preciso; il senso dell’oltrepassare questa linea non è invece così chiaro. All’inizio la giovane infermiera sembra stentare a varcare la soglia ma il superamento del confine (e i successivi entrare e uscire) non corrisponde a un cambiamento del personaggio, e anche Churchill/Battiston compare in scena all’esterno dell’ovale, ne sortisce verso la fine ma per la vera chiusa lo riattraversa di nuovo; in questo la regia non sembra dare un ordine netto.
È invece buona l’idea di concentrare il florilegio delle memorabili battute di Sir. Winston come in un irresistibile numero di stand up comedy con tanto di applausi registrati: il primo ministro sciorina, brillo, le sua arguzie alla Camera dei Comuni, davanti ai membri, i lords come spettatori. Un’efficace critica al ricordare soprattutto le facezie di un uomo che ha influito su alcuni dei fatti che hanno trasformato il mondo.
Lo spettacolo ci porge molti dei motti celebri; ne riporto solo uno, caustico, sugli italiani: «Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…».
Il testo, tratto da Churchill, il vizio della democrazia di Carlo G. Gabardini, è frutto di una rielaborazione drammaturgica di Filippo Gentili. Non ci è dato conoscere il processo che ha portato alla forma definitiva ma è certo che sono rimaste alcune debolezze, soprattutto nel disegno del personaggio femminile, confuso e – a tratti – irritante, ma anche in alcuni passaggi non fluidi dal punto di vista della consequenzialità, legati dalla bravura di Battiston, il quale, però, talvolta sembra spingere più del dovuto per sorreggere la recitazione di Perreca, quasi sempre “tirata” verso il dramma e verso uno stato angoscioso mai stemperato.
Una nota anche sulle musiche (a cura di Angelo Longo): c’è l’inserimento di musica metal, a tutto volume, ho così scoperto qualcosa che solo ai fan degli Iron Maiden è forse nota (ma che suppongo non siano assidui frequentatori dei teatri) e cioè che la canzone Aces high, ispirata a un discorso di Churchill, racconta del bombardamento nazista su Londra durante la Seconda guerra mondiale dal punto di vista di un pilota inglese impegnato contro l’aviazione tedesca; mi è sembrato comunque un accostamento spiazzante, in scena.
L’idea centrale di Winston vs Churchill è quella di un piano temporale unico e impossibile in cui passato e presente dello statista sono sempre coinquilini paralleli: riflessioni e cronaca, considerazioni a posteriori e dialoghi qui e ora con l’infermiera, figlia, tra l’altro, di uno dei soldati caduti nella battaglia dei Dardanelli. Questa sovrapposizione lineare di tempi lontani tra loro è ben descritta dalle luci di Andrea Violato, che segnano spazio e personaggi dando belle suggestioni sia per le atmosfere sia nel costruire bolle e dimensioni intorno agli attori, evidenziando il loro corpo teatrale.
Luci che colpiscono in stile noir anche la nebbia che si alza dalle mani di Churchill, nonostante il petulante fastidio salutista di qualche spettatore in platea.
Alla fine è bello pensare che Winston si sia dissolto in una voluta di fumo. Di sigaro.
WINSTON VS CHURCILL
da Churchill, il vizio della democrazia di Carlo G. Gabardini
con Giuseppe Battiston
e con Lucienne Perreca
regia Paola Rota
scene Nicolas Bovey
costumi Ursula Patzak
luci Andrea Violato
suono e musica Angelo Longo
produzione Nuovo Teatro
Teatro Franco Parenti, Milano
15 gennaio 2020