LAURA NOVELLI | Immaginiamo l’aula di una scuola superiore o di una qualsiasi università. Immaginiamo un professore. E ascoltiamo il suo racconto, così familiare eppure così inquietante: «Un giorno una ragazza / Fu mandata dalla madre / a casa della nonna. / La ragazza attraversò il bosco / con un cestino pieno / e la sua solita gonna. / Giunta la ragazza / a casa della nonna / mangiò un poco di carne / che le offrì la donna. / Poi le chiese di spogliarsi / E mettersi nel letto / di togliersi di dosso / quel suo bel cappuccetto». Si apre con le parole di una nota fiaba – qui citata da un documento del XIV secolo della tradizione orale – Nel bosco, il bel testo di Carlotta Corradi, finalista alla 57° edizione del Premio Riccione e ispirato alla penosa vicenda delle “baby squillo” dei Parioli che, nel 2014, segnò una delle pagine più tristi della cronaca romana e nazionale.
Nella visione sghemba, pietosa e umanissima con cui la drammaturga ha rielaborato la delicata materia, la scrittura diventa e inventa un mondo. Un mondo di adolescenza tradita e adulti feroci. Un mondo di lupi agguerriti e ideali confusi. Un mondo rovesciato, torbidamente impenetrabile, dove si fa strada un senso forte di smarrimento, superficialità, paura, e dove è facile avvertire un vuoto valoriale (un bosco scuro appunto) che chiama in causa – ebbene sì – la coscienza e la responsabilità di tutti noi.
Senza urla di condanna, la pièce si rivela poi pervasa da una raffinata tessitura teatrale che la pone in bilico tra simbolo e verità, verisimiglianza e allegoria, allontanando il rischio della denuncia fine a sé stessa e del troppo scontato intento pedagogico. Qui si racconta, insomma, un Cappuccetto Rosso di ieri e di oggi che, lontano dai riflettori scandalistici, somiglia ad un abbraccio proteso verso i giovani, verso le loro cadute, i loro inciampi. «Cappuccetto rosso spalancò / i grandi occhi di bambina / ma il lupo ancor di più / la bocca sua meschina. / Bastò un sol grande boccone / e divorò quella bambina».
E se le potenzialità del testo sono già forti ad una semplice lettura, ancor più esse risultano incisive in scena. Nel bosco è infatti approdato in palcoscenico già in Inghilterra e in Spagna e, complice il premio di produzione vinto a Riccione che vede coinvolti il Teatro di Roma e lo Stabile di Bolzano, è stato presentato al pubblico del Teatro India di Roma in una prima “tappa di lavoro” che, sebbene ancora destrutturata nella sua complessità scenica, ha rappresentato molto di più di una semplice mise-en-espace.
Grazie alle intuizioni registiche di Andrea Collavino e al grande impegno profuso in una sola settimana di prove dal cast (lo compongono Jacopo Bicocchi, Francesco Bolo Rossini, Sara Borsarelli, Elsa Bossi, Lia Griesco, Aram Kian e Romana Maggiora Vergano), questo iniziale momento di avvicinamento alla futura messinscena ci ha sorpreso per coesione, intensità, originalità espressiva. Due ragazze (Manu, la protagonista, e Sara), due madri, una nonna, una galleria di figure maschili losche e delinquenziali, un Prof e un avventore del locale 69 dove sono ambientate alcune scene dello spettacolo: è nella traiettoria delle relazioni costruite tra i diversi personaggi che si insinua il bisogno di cercare un senso alla faccenda. Di porre domande all’intera agorà degli spettatori. Di smuovere il loro assetto etico. Di mettere le ali a una riflessione profonda su certi malesseri sociali che sono qui, proprio vicino a noi, sotto i nostri occhi.
Ne abbiamo parlato con la drammaturga stessa, già apprezzata autrice di titoli come Lipstick, Peli (messo in scena da Veronica Cruciani), Via dei Capocci e del recente adattamento teatrale del romanzo Accabadora di Michela Murgia.
Quali riscontri ci sono stati alle repliche capitoline di questa prima fase del processo di allestimento del tuo Nel bosco?
Sono stupita di come sia andata bene la tappa intermedia che abbiamo deciso di fare. Temevo che in una settimana avremmo realizzato un prodotto superficiale e invece hanno tutti lavorato molto bene e i risultati ci sono. Ora abbiamo un accordo produttivo con il Teatro di Roma e lo Stabile di Bolzano e poi si vedrà. Sono davvero molto felice, quasi stordita. Tra qualche giorno faremo delle repliche anche a Bolzano, all’interno della rassegna Wordbox, che saranno completate da un incontro con il pubblico al quale teniamo molto. Inoltre, il testo è stato già rappresentato in Inghilterra e in Spagna (qui con la regia di Manuela Cherubini) in due versioni molto interessanti, recitate ovviamente in inglese e in spagnolo.
Come siete riusciti in così pochi giorni a costruire una lettura che ha tutto il sapore di una pièce già compatta e dal carattere scenico deciso?
Il cast si è formato in modo spontaneo: abbiamo scelto attori amici, tutti molto bravi, e lo abbiamo messo in piedi in due pomeriggi di lavoro. Senza dubbio, però, un grande contributo è venuto dal regista, Andrea Collavino, che ha un senso fortemente pratico e ha fatto delle scelte giuste anche in fase di studio. Il testo ha molte strade interpretative e può essere allestito in modi diversi. Lui lo ha saputo rispettare e valorizzare con estrema sensibilità. Non posso negare di essere stata terrorizzata all’idea di vederlo realizzato in scena perché faccio teatro da quando avevo sedici anni e non scrivo letteratura. Come capita a tutti gli autori di teatro, ho perciò sempre bisogno di verificare se i miei testi funzionino in scena. Inoltre Nel bosco è un lavoro al quale tengo in modo particolare perché segna una nuova fase del mio percorso professionale. Qualche anno fa ho infatti avuto la fortuna di poter seguire un laboratorio di drammaturgia guidato da Fausto Paravidino al Valle Occupato. Una palestra preziosa che ha cambiato radicalmente il mio approccio alla scrittura. Dunque, speriamo di arrivare presto alla fase successiva e di poter costruire uno spettacolo chiuso e più definito.
Da dove è scaturita l’idea iniziale del testo?
L’idea del lavoro nasce ovviamente dal fatto di cronaca che ha riguardato le giovani ragazze dei Parioli coinvolte in un giro di prostituzione. Sì è trattato di una notizia che mi ha colpito molto per svariati motivi. Innanzitutto la vicenda si è svolta a Roma, la mia città. In secondo luogo, ha riguardato delle adolescenti minori che erano poco più che bambine. L’adolescenza è un territorio pericoloso e affascinante che esploro sempre volentieri. Affrontando questo caso, mi sono posta una domanda fondamentale: da dove arriva la propensione alla prostituzione? Se ciò è avvenuto a due ragazzine normali e di buona famiglia, sarebbe potuto succedere anche a me? A una mia amica? In fondo, nelle protagoniste ritrovo molto delle ragazze che frequentavo ai tempi del liceo. Ritrovo i cliché di un certo ambiente bene di Roma nord popolato da ragazze brave, belle e ricche che frequentavano certi locali e che d’estate si ritrovavano tutte al Circeo. Non si parla perciò di una prostituzione costretta, esercitata per guadagnare o per schiavitù. Piuttosto, di una scelta di cui è responsabile un ben determinato contesto sociale. C’è dunque da considerare il ruolo delle madri, delle famiglie, della società intera.
Da cosa credi sia mosso principalmente il tuo interesse per tematiche legate all’adolescenza ?
L’adolescenza è un mistero. Personalmente, è stato un periodo mia vita sul quale ancora oggi, a quarant’anni, mi interrogo e mi arrovello. Inoltre credo che nei tempi attuali l’adolescenza possegga qualcosa di realmente pericoloso, estremo. Più pericoloso ed estremo di quanto potesse avvenire in passato. Nel mio testo, però, non c’è mai un giudizio sulle ragazzine. Forse un certo giudizio emerge sugli uomini, ma le due protagoniste non vengono messe alla gogna o incriminate. Ho voluto semmai restituire l’idea di un’indagine. Ho cercato cioè di capire soprattutto le ragioni per cui possano nascere certe pulsioni, certe idee. La mia maternità ha senza dubbio influenzato questa visione delle cose. Quando ho iniziato a scrivere non ero ancora madre (ora Carlotta Corradi ha due splendide figlie di quattro anni e otto mesi ndr), ma dopo la nascita della mia primogenita mi sono accorta di aver del tutto cambiato prospettiva.
In che senso?
Ho sentito la responsabilità del ruolo materno. La sua enorme funzione educativa e affettiva. Tra i personaggi della pièce le due madri svolgono una funzione emblematica. Come autrice ho cercato, indagato, sondato la mia relazione con loro e con i vari personaggi, tanto più con le giovani protagoniste, sforzandomi di umanizzarle: come si arriva a un comportamento simile? Ecco perché vorrei che il pubblico facesse parte di questo spettacolo, che stesse dentro la storia senza aspettarsi risposte chiare, perché le risposte non ci sono. È innegabile che quell’atroce fatto di cronaca abbia aperto una ferita nel cuore dei romani e dunque il mio testo può in qualche modo intercettare l’urgenza sociale di condividere un momento di rielaborazione dei fatti. Ma senza alcun afflato etico. Nessuna dicotomica distinzione tra Bene e Male. È la vita. E per quanto terribile sia stato, potrebbe succedere di nuovo. E toccarci da vicino. Ecco, mi piacerebbe che Nel bosco venisse percepito come un lavoro sociale, politico.
Nel testo ritorna in diversi passaggi la favola di Cappuccetto rosso. Cosa rappresenta per te questo slittamento simbolico?
La favola aziona ed evoca un racconto. La cronaca viene cioè raccontata come una favola, che è simbolo. Dunque, quel fatto è realtà ma sembra quasi edulcorato, a tratti persino ironico. La storia della bambina e del lupo mi ha permesso di rielaborare in termini poetici e metaforici quanto accaduto e naturalmente ha molto a che fare con la mia biografia, con il mio vissuto. Durante la stesura del testo mi sono tornate in mente frasi che mi sono state dette a quell’età e che lì per lì ho accolto bene. Oggi, a distanza di molti anni, mi suonano più minacciose. Le fragilità dell’adolescenza mi mettono paura. È un’età in cui non si è né carne né pesce, non si sa bene cosa pensare, come giudicare le situazione ed è facile farsi manipolare. Tanto più se si è ragazze.
La protagonista, Manu, ha molti aspetti fragili; sembra incarnare proprio questa miscela di paura, inadeguatezza e superficialità di cui parli.
Sì, Manu perde la verginità in un contesto assurdo. Si sente inadeguata. Ha paura che il padre morto la guardi da chissà dove e la giudichi. In fondo, a pensarci bene, da giovanissimi si ha spesso la sensazione che qualcuno ti possa controllare e ciò fa scaturire dei grandi sensi di colpa. È un personaggio alla ricerca di qualcosa, che tenta di capire cosa le stia succedendo.
A questo proposito c’è una frase molto bella nel testo che riguarda proprio l’idea di un universo sovrumano chiamato a guardare e giudicare i comportamenti umani. I nostri morti, insomma, sono sempre con noi?
Avendo perso mio padre da giovane, ho avuto per anni la netta sensazione che lui seguisse la mia vita dall’aldilà. Che mi vedesse. Mi criticasse o mi approvasse. A Manu succede la stessa cosa. Ma la madre trova una soluzione cinica, pragmatica, perché le dice che i morti sono solo morti e il cielo è solo cielo. Ciò significa chiudere con la poesia delle emozioni, negare sentimenti e bisogni che in adolescenza sono molto importanti. La madre ha torto. Io stessa, dopo la scomparsa di mio padre, sentivo che lui c’era, mi vedeva, mi giudicava.
Nella tua partitura drammaturgica molto spazio è riservato alla musica, a canzoni celebri come E tu di Baglioni, Ragazzo triste di Patty Pravo, 24.000 baci di Celentano, Riderà di Little Tony. Perché questa scelta?
Durante gli anni della mia adolescenza andava molto di moda il karaoke e alcune scene del testo sono ambientate proprio in un locale, il 69, dove si canta con il karaoke. Dunque ho messo nella storia una sorta di playlist anni ’60 e ’70 che mi sembra adeguata alla situazione. Da ragazza ascoltavo spesso questi brani, per lo più senza capirne le parole. Oggi che sono adulta li ascolto dando loro un senso e comprendendo meglio i testi. Sono canzoni che parlano di grandi sentimenti, anche quelle che sembrano più frivole, più leggere. Mi sembra che anche i giovani di oggi a volte cantino canzoni che non comprendono fino in fondo, di cui non colgono la profondità, il sottotesto. D’altronde, malgrado i tempi siano notevolmente cambiati rispetto agli anni della mia adolescenza, i comportamenti giovanili restano sempre gli stessi.
Parliamo dei tuoi progetti futuri.
Stiamo lavorando per cercare le risorse necessarie a completare il progetto di messa in scena. È un obiettivo che mi sta molto a cuore e che ora ha la priorità su tutto. Nel contempo mi sto dedicando alla scrittura per il cinema e ho già in mente il prossimo testo che scriverò per il teatro. Parlerà della morte, della fine.
NEL BOSCO
(prima tappa di lavoro)
di Carlotta Corradi
regia Andrea Collavino
con Jacopo Bicocchi, Francesco Bolo Rossini, Sara Borsarelli, Elsa Bossi, Lia Grieco, Aram Kian, Romana Maggiora Vergano
disegno luci Luigi Biondi
foto Filiberto Signorello
Produzione Teatro Stabile di Bolzano in coproduzione con Riccione Teatro e con la collaborazione del Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Teatro India, Roma
9/12 gennaio 2020