PAOLA ABENAVOLI | I racconti degli anziani, le leggende che si uniscono alla verità, le piccole storie che incrociano la Storia: prima di tradurle nelle “favole” e nelle metafore di ‘N cielo e ‘n terra, Carlo Gallo le ha rese protagoniste di Bollari: Memorie dallo Jonio, che, dopo il debutto di qualche anno fa a Primavera dei teatri, continua con successo il suo viaggio.
Viaggio è anche quello dei personaggi del racconto, che quotidianamente continuano ad andare per mare: «Rema, rema» è il canto che apre lo spettacolo e che connota quel viaggio, quelle storie, quel lavoro duro, faticoso, tra delusioni e speranze. È il lavoro dei pescatori dello Jonio, di Crotone (terra natale di Gallo, fondatore, con il fratello Angelo, del Teatro della Maruca), all’epoca del secondo conflitto mondiale. È il viaggio nelle loro vite, nella rivalità, nel tentativo di pescare sempre più per non sentire, la sera, i morsi della fame. È il gioco delle parti con le autorità, che sanno delle bombe usate per pescare con meno fatica: qualcuno chiude un occhio, altri si mettono sulle loro tracce. È la vita di mare, familiare, del figlio che pesca insieme al padre, in quel mare che può portare vita, sostentamento, sogni, ma anche morte.
È una storia ascoltata come una favola proprio dagli anziani, al porto, in mare, e poi fatta propria e corredata da riscontri storici. Per portarla, infine, sul palco: in una forma di teatro di narrazione in cui il dialetto diventa una musica, la parola si fonde con il gesto, mai enfatico, che tratteggia i momenti, descrive con le mani un mutamento del tempo, il passaggio dei tonni che i pescatori salutano con un grido gutturale (quel “Bollari” del titolo, appunto, che segna il movimento dei pesci quando stanno per saltare fuori dall’adcqua), o il nuotare in gruppo delle sardine, che cercano di affrontare le sfide e il destino, come metafora della vita. Quella gestualità misurata, calibrata, plastica, quasi una danza che non prevale mai sulla potenza del testo: una caratteristica del lavoro attoriale di Gallo, che si unisce alla sua capacità affabulatoria, al suo tradurre in un racconto orale le radici della tradizione, rivisitate con sapienza.
Sul palco è un coinvolgimento pieno, un fluire di racconto proprio grazie a quella gestualità, alla parola, alla reiterazione dell’una e dell’altra, come in quella che potremmo quasi definire “scuola attoriale calabrese”, a partire da Saverio La Ruina, passando per Peppino Mazzotta, che ha collaborato alla creazione di Bollari.
E poi la narrazione di una Calabria antica ma universale, fatta di epica, di favola, di lavoro duro e di vita rurale, di sofferenza e verità, di voglia di riscatto e lontana da luoghi comuni. Con il mare ancora una volta presente, come metafora, appunto, come luogo che si contrappone «al deserto dei valori di un mondo travolto dal regime e dalla guerra».
Un racconto differente, dunque, che il teatro delle giovani compagnie calabresi riesce a rendere viva, fotografando un territorio nella sua essenza, come forse poche altre arti riescono a fare.
Una narrazione pregnante, così come il contesto nel quale abbiamo assistito alla rappresentazione: ovvero, il Samarcanda, sede Arci realizzata a Reggio Calabria in un locale, precedentemente adibito a bowling, confiscato alla ‘ndrangheta.
Un valore aggiunto allo spettacolo, il senso del teatro che si amplifica.
BOLLARI: MEMORIE DALLO JONIO
di e con Carlo Gallo
collaborazione artistica di Peppino Mazzotta
costumi di Angelo Gallo
produzione Teatro della Maruca – Crotone
Samarcanda – Arci, Reggio Calabria
18 gennaio 2020