ANTONIO CRETELLA | Un recente rapporto Eurispes ha evidenziato come in pochi anni la percentuale di persone che ritiene un falso storico l’Olocausto sia vertiginosamente aumentata segnando il successo a lungo termine delle teorie negazioniste travestite da “controcultura” o “controinformazione”. Il dato, in sé preoccupante, è tuttavia solo una parte di un più ampio processo di revisionismo storico il cui più ragguardevole risultato è la distorta narrazione della tragedia delle foibe. Puntando su un patriottismo strumentale, tale narrazione dimentica di citare i vent’anni di dittatura fascista nelle terre irredente che generò la reazione partigiana, sotto i colpi della quale caddero certamente degli innocenti, ma il cui motore originario restano le angherie subite dalla popolazione slovena da parte dei fascisti italiani. Di qui, la costruzione semplicistica di una persecuzione etnica a senso unico avulsa dalle altre determinanti concause storiche. Il risultato tragicomico di una simile disinformazione è ben rappresentata dai tweet che parlano di “100 milioni di italiani morti nelle foibe”, in pratica un’estinzione di massa che avrebbe lasciato l’Italia postbellica completamente disabitata. Simili deformazioni si accompagnano a provocazioni sempre più mirate – quali l’etichettare Liliana Segre come “fomentatrice d’odio antifascista” o il citare la Costituzione e la libertà di espressione a difesa del proprio credo fascistoide per poi farne carta da imballo quando si tratta di applicare la Scelba e la Mancino – il cui scopo, assieme alle foibe fatte passare dalla retorica neofascista come un “olocausto di destra”, è alimentare un sempre più marcato e pernicioso vittimismo riabilitativo agli occhi di un elettorato evidentemente sempre più privo di strumenti di interpretazione delle informazioni.
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