LAURA BEVIONE | Dal 1592 al 1594 un’epidemia di peste causò la chiusura dei teatri londinesi, costringendo Shakespeare ad arrabattarsi cercando la protezione del conte di Southampton, cui dedicò le due opere che, per non perdere l’esercizio con la scrittura, il drammaturgo compose in quegli anni, ossia i poemetti Venus and Adonis e The Rape of Lucrece.
Sono trascorsi più di quattrocento anni e, a quanto pare, i teatranti italiani dovranno di nuovo mettersi alla ricerca di generosi mecenati se la chiusura dei teatri decisa dall’ordinanza di alcune regioni del Nord Italia dovesse protrarsi.
Com’è, ahinoi, ben noto, domenica scorsa i governatori delle regioni italiane in cui sono stati registrati casi di contagio del famigerato Corona virus – Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna ma anche Liguria – hanno emanato un’ordinanza finalizzata al «contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19» che, fra i vari punti, indica la «sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi, in luogo pubblico o privato, sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico, anche di natura culturale, ludico, sportiva e religiosa».
Una decisione anticipata dalla preoccupazione – se non proprio il panico – diffusa già a partire dai telegiornali della tarda mattinata di domenica e che ha spinto molte persone a disertare le recite pomeridiane. Si è arrivati così al paradosso testimoniato dalla vostra cronista teatrale che domenica mattina ha assistito al teatro Carignano di Torino a una replica dello spettacolo per l’infanzia Il mago di Oz in compagnia di un folto pubblico composto prevalentemente da bambini mentre, alle 19, ha raccolto la desolazione degli organizzatori della stagione di Fertili Terreni Teatro che lamentavano le numerosissime disdette giunte proprio poco prima dell’inizio dello spettacolo La storia degli orsi panda… programmato nello spazio di San Pietro in Vincoli. Possibile che in poche ore il panico abbia preso il sopravvento? E i genitori dei bambini che felici e sereni si godevano la fiaba di Baum saranno stati tutti degli incoscienti?
Ma, aldilà delle considerazioni sulla facilità con cui l’ansia e la preoccupazione vincono sulla razionalità umana e di quelle sulle responsabilità dei mezzi di comunicazione – argomento quest’ultimo su cui sovente si interrogano quegli stessi media che quel clima di panico hanno alimentato – vi è la concreta emergenza vissuta da teatri e compagnie che, nel giro di poche ore, hanno visto sfumare repliche e tournée, laboratori e rassegne.
Fino a domenica chiusi i teatri grandi e piccoli, pubblici e privati delle succitate regioni; salta il Vie Festival – che, tuttavia, riesce a far sopravvivere un suo appuntamento, la performance radiofonica Daily Kepler di Kepler-452 in diretta dagli studi di Radio Città del Capo da oggi fino al 28 febbraio dalle 18.30 alle 19.
Le perdite stimate sono enormi: Filippo Fonsatti, direttore del Teatro Stabile di Torino e presidente di FEDERVIVO, ci dice che, nelle regioni interessate dalla chiusura delle sale, in questa settimana i mancanti incassi ammonteranno a ben 10 milioni di euro e il numero degli spettacoli non andati in scena è di 7400. Il solo teatro nazionale torinese è stato costretto a cancellare 17 recite nei suoi spazi e le repliche della produzione Arlecchino servitore di due padroni in cartellone a Pavia con un mancato incasso di circa 120 mila euro. Una situazione se possibile ancora più grave per quanto concerne quei teatri e quelle compagnie che lavorano con le scuole: un decreto odierno della presidenza del consiglio vieta fino al 15 marzo tutte le uscite didattiche, costringendo alla disoccupazione temporanea tutto quel settore dello spettacolo dal vivo che lavora con i ragazzi. Filippo Fonsatti sottolinea come a pagare il conto più alto saranno proprio «gli artisti e i tecnici che si vedranno diminuire drasticamente se non addirittura cancellare le paghe per cause di forza maggiore». Ci chiediamo se per questi lavoratori siano previste forme di compensazione analoghe alla cassa integrazione, prevista per esempio per tutte quelle aziende che, variamente coinvolte dal contagio, sono state costrette a una chiusura temporanea; Fonsatti ci spiega che: «dalla legge italiana non è prevista nessuna forma di ammortizzazione sociale. Noi ci troveremo a Roma con le segreterie nazionali di CGIL-CISL-UIL giovedì per un accordo quadro che deleghi alle segreterie regionali la stipula di accordi per la richiesta di cassa integrazione in deroga a livello regionale».
È evidente come la situazione sia emergenziale e necessiti dunque di un intervento che provenga dall’istituzione apicale, vale a dire quel MIBAC cui ieri sono state indirizzate ben due lettere, una da parte appunto di AGIS-FEDERVIVO, l’altra dal direttivo di C.Re.S.Co. I lavoratori dello spettacolo, chiedono a viva voce che il ministro Franceschini riconosca e faccia fronte all’emergenza, partendo dalla dichiarazione ufficiale dello “stato di crisi” del settore.
Seppure «condividendo, animati da un grande senso di responsabilità, ogni decisione a tutela della salute dei cittadini, AGIS e FEDERVIVO non possono esimersi dal sottolineare le gravissime difficoltà che già in questa fase sta subendo l’intero comparto. Il blocco di ogni attività di spettacolo nelle regioni del Nord Italia sta generando infatti un impatto economico estremamente negativo, tanto per il crollo dei ricavi da bigliettazione quanto per la drastica riduzione delle paghe degli addetti del settore».
Sulla stessa linea il direttivo di C.Re.S.Co che, evidenziando lo spirito collaborativo mostrato da teatri e compagnie, solleciti nel sostenere le misure prese dal governo, segnala nondimeno «lo stato di impasse davanti al quale è venuto improvvisamente a trovarsi l’intero comparto dello spettacolo dal vivo, che trova nella mobilità e nella veicolazione di aggregazione due dei suoi valori fondativi».
AGIS e FEDERVIVO, così come C.Re.S.Co, inoltre, richiedono non soltanto lo stanziamento di adeguate risorse economiche ma anche che – citiamo dalla lettera del direttivo – «siano adottati provvedimenti normativi per evitare qualsiasi penalizzazione nei confronti dei soggetti finanziati dal FUS ai fini della rendicontazione del contributo pubblico, e che allo stesso fine siano allertate le Regioni e gli Enti Locali».
Sì, perché, come ci spiega ancora Fonsatti, non si tratta soltanto di discutere e studiare con il ministro Franceschini – e pure con il MISE – le «misure integrative per quelle imprese che hanno subito più danni, ma anche quei meccanismi compensativi così che non sia inficiata la rendicontazione al ministero della nostra attività; poiché tutto ciò ha certo una ricaduta economica più evidente ma ha soprattutto una ricaduta molto più sensibile in termini di rendicontazione di giornate, oneri sociali, borderò, numero di spettatori, incassi, tutti dati su cui è parametrato il contributo FUS».
E, se non fossero sufficienti questi elementi a delineare uno “stato di crisi”, il direttore dello Stabile di Torino ne evidenzia un altro, tutt’altro che secondario, ossia la necessità, passata la/le settimana/e di chiusura, di tracciare un «percorso di ricostruzione di fiducia degli spettatori verso i luoghi dello spettacolo perché se in questa fase la fobia ha per caso generato un’equazione assolutamente infondata per cui teatro uguale luogo in cui potenzialmente si possa contrarre il COVID-19, allora dovremmo lavorare sodo, magari chiedendo aiuto allo stato con una campagna di pubblicità progresso, per rassicurare la comunità rispetto al fatto che il teatro è un ambiente sanissimo».
È evidente come sia indispensabile tornare a una ragionevole normalità ed è necessario che i lavoratori dello spettacolo siano uniti e compatti nel rivendicare i propri diritti e nel ribadire il ruolo irrinunciabile giocato all’interno della società italiana.
E ci auguriamo anche che, magari, un novello Shakespeare sappia raccontare con lucida poesia questi giorni convulsi.