RITA CIRRINCIONE | Scendendo lo scivolo di cemento che conduce a La Vicaria – storica sala-prove della Compagnia Sud Costa Occidentale fondata vent’anni fa da Emma Dante – ci sembra di tornare indietro nel tempo a quando assistevamo ai suoi spettacoli in forma di studio o in anteprima, prima che andassero in tournée in Italia e in Europa.
Era un seminterrato freddo e scalcinato ma a noi sembrava molto cool per via di quegli spettacoli sanguigni e un po’ trasgressivi, per quel linguaggio teatrale innovativo e coraggioso che ci arrivava da una regista giovane e donna che, dopo anni cupi e terribili, ci faceva intravedere la possibilità che qualcosa potesse cambiare in questa città.
In una Palermo da cui si scappava, Emma Dante resisteva (al misconoscimento, e in certi casi, all’ostracismo) e rimaneva, fondando di fatto una scuola di teatro dove hanno potuto formarsi tanti giovani artisti siciliani e – cosa impensabile ai tempi, quando il flusso migratorio andava nella direzione opposta – tanti attori provenienti dal resto d’Italia.
Siamo in una zona semiperiferica di Palermo, nel quartiere Zisa, fuori dal circuito dei teatri importanti della città ma anche di altre scene “minori” sorte nel centro storico di Palermo. Su questo posto così anomalo e poco attraente Emma Dante scommise nel 2008 aprendo La Vicaria – dal nome di un antico carcere palermitano citato in tante canzoni della mala di Rosa Balistreri – e ritorna a scommettere oggi riaprendolo al pubblico con una rassegna teatrale che andrà avanti fino a giugno.
In conferenza stampa la regista palermitana (che per un attimo sembra riprendere i panni dell’intellettuale scomoda e non del tutto allineata dentro cui si trova perfettamente a suo agio) dichiara di non voler polemizzare con nessuno – ma negandolo di fatto lo fa, riferendosi alla mancata concessione di uno spazio pubblico – ma vuole solo sottolineare che le migliorie apportate allo spazio sono state tutte autofinanziate con la vendita dei suoi spettacoli.
Passa poi a raccontare la storia de La Vicaria e, raccontandola, ci parla del suo teatro, della sua idea di fare teatro. Racconta di quando rilevarono quello scantinato, un’ex fabbrica di scarpe abbandonata da anni, e vi trovarono residui di lavorazione e ancora tante scarpe (scarpe che vennero poi usate dalla Compagnia). “Mi sembrò una coincidenza incredibile – ricorda Emma Dante – quasi un destino! Lo collegai alla camminata così importante nel mio teatro: quante cose può raccontare la camminata! E quante scarpe hanno disfatto i miei attori camminando avanti e indietro per ore nelle quattro direzioni!”.
Poi descrive minuziosamente le opere realizzate per la riapertura – il tavolato del palcoscenico, il parco-luci, il fondale, le quinte, il sipario, un sipario che divide lo spazio-teatro dal resto dello scantinato e che si chiude alla spalle della tribunetta riservata al pubblico, includendolo – tutte realizzate al risparmio, grazie alla collaborazione di maestranze amiche o di artigiani familiari degli artisti della Compagnia.
In uno spazio pensato come una casa – “perché fare teatro è fare vita e quindi fare casa” – descrive anche tutti gli arredi e tutte le comodità predisposti per renderlo accogliente e caldo: “le prove al freddo e all’umido per mancanza di riscaldamento – ricorda la regista – erano per tutti noi un vero incubo!”.
E parlando del forno a microonde o del comodissimo divano appena arrivato nello spazio-foyer, continua a parlare di teatro, un teatro di studio e di ricerca in cui, in attesa che le cose accadano, maturino ed esplodano, i tempi possono essere lunghi: “Posso stare anche due anni dietro a uno spettacolo e con questi tempi non posso lavorare in uno stabile, ho bisogno di un posto come questo”.
Ma poiché i ritorni non esistono, l’apertura de La Vicaria oggi ha un altro sapore rispetto a dodici anni fa: Emma Dante è ampiamente celebrata e riconosciuta in Italia e in altri Paesi europei; come artista residente, dirige la Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo, in una città culturalmente più aperta e con un’offerta di produzioni teatrali più variegata, innovativa e di qualità. E lei ci tiene a sottolineare che la riapertura de La Vicaria non è una presa di distanza dal Teatro della Città – di cui, anzi, potrebbe rappresentare uno spazio complementare – ma un’opportunità in più per far incontrare artisti, gente di teatro e pubblico, per creare trame e sinergie.
A dare il via alla mini rassegna, Extra Moenia, spettacolo nato come saggio degli allievi attori del secondo corso della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo.
In piedi, sul bordo del “proscenio”, una ventina di uomini e donne, disposti uno accanto all’altro, dormono. Davanti a ciascuno di loro una pila di indumenti. In fondo, quasi a delimitare la parte posteriore del palcoscenico, file di bottiglie di plastica piene d’acqua.
Formano un schiera variegata e policroma, un corpo unico ritmato da sussulti, tic e gemiti come il meccanismo in movimento di un automa. Colti nell’intimità e nell’abbandono del sonno – momento di vulnerabilità e di regressione – ciascuno è abbigliato con capi-feticcio, consolatori e infantili; ciascuno è alle prese con i propri fantasmi e le proprie paure notturne. Dal corpo collettivo qua e là emergono i gesti e le parole di qualcuno, frammenti di sogni o di incubi, che si propagano come un’onda e poi si affievoliscono.
Con un cambio di mood – più dinamico e deciso – dopo aver lanciato disinvoltamente tra il pubblico delle prime file gli indumenti notturni, incominciano a indossare quelli diurni: è l’abbigliamento che identifica il loro status pubblico, “fuori le mura”: dalla tuta da lavoro, alla divisa militare, dal basco e camice da pittore alla mise sexy della prostituta o al costume da danzatrice del ventre, e così per tutti gli attori in scena.
Inizia una sequenza di quadri in cui, per continue aggregazioni e disaggregazioni della schiera (ora in assolo, ora in coppia o in piccolo gruppo), in un gioco figura-sfondo, emergono frammenti di performance in cui ciascuno recita la propria parte per poi tornare a essere riassorbito nella massa in continuo movimento, in incessanti cambi di forma come stormi di uccelli in volo.
Poi ancora un cambio di qualità. Adesso sulla scena domina l’elemento acqua che fuoriesce dalle bottiglie lanciate e sparse dappertutto: forse un naufragio, forse un’umanità sopravvissuta che si soccorre vicendevolmente e che approda in un altrove post-catastrofico. Uno scenario di caos e di disorientamento più attuale che mai.
Extra Moenia, oltre a mostrarci la straordinaria prova attoriale dei giovani allievi, probabilmente per la sua genesi didattica, permette di cogliere più distintamente alcuni tratti stilistici peculiari della drammaturgia di Emma Dante: la fisicità come canale espressivo privilegiato, la dinamicità e il ritmo incessante delle azioni sceniche; la coralità e la geometria rigorosa dei movimenti scenici; la coesistenza di diversi registri linguistici; l’uso di un simbolismo fortemente connotato; l’atmosfera onirica e surreale; l’esprimersi per paradossi.
Ma, ascoltando a un certo punto dello spettacolo la celeberrima e onnipresente Bella ciao – scelta azzeccatissima nella sua versione “con brio” – ho pensato che forse la vera peculiarità di Emma Dante è il coraggio. Non basta indovinare certi temi da portare in scena, cogliere al volo idee e intuizioni, trovare felici soluzioni registiche, ci vuole coraggio: coraggio a scegliere certi temi-tabù, a usare un linguaggio trasgressivo e oscuro, a sbattere in faccia allo spettatore immagini crude; ma ci vuole altrettanto coraggio a mixarlo con il vecchio, il banale, l’usurato. Emma Dante non ha paura di farlo e riesce a farlo in un modo nuovo e, soprattutto, a modo suo.
La rassegna proseguirà – un fine settimana al mese – con concerti, spettacoli teatrali, di danza e teatro-danza di artisti come Serena Ganci, Silvia Giuffrè, Sabrina Vicari, Federica Aloisio e la stessa Emma Dante che chiuderà a giugno con Le sorelle Macaluso, lo spettacolo Premio Ubu che a distanza di sei anni dal debutto continua la sua tournée in giro per il mondo.
EXTRA MOENIA
di Emma Dante
realizzato con la collaborazione di Sandro Maria Campagna e di Carmine Maringola
in scena gli allievi del secondo corso della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo: Giulia Bellanca, Costantino Buttitta, Martina Caracappa, Chiara Chiurazzi, Martina Consolo, Danilo De Luca, Adriano Di Carlo, Valentina Gheza, Cristian Greco, Federica Greco, Paola Gullo, Giuseppe Lino, Beatrice Raccanello, Francesco Raffaele, Valter Sarzi Sartori, Calogero Scalici, Maria Sgro, Gianluca Spaziani, Nancy Trabona
produzione Teatro Biondo Palermo
La Vicaria, Palermo
23 febbraio 2020