LEONARDO DELFANTI | Da una settimana siamo tutti nell’incertezza, nel dubbio, nella snervante attesa di ricevere conferme, o meglio disdette, dei nostri prossimi spettacoli, festival, conferenze, residenze, incontri pubblici vari ed eventuali. Da una settimana siamo tutti uggiosi, complice anche il tempo, che a volte riesce davvero a sublimare, sfruttando una coperta di nuvole, il sentimento nazionale. Il Bel Paese è sempre davanti al televisore, al caldo per ora, che si beve una tisana in attesa che passi la tempesta.
Invano, almeno nel profondo Nord, si prova a uscire di casa la sera, per spezzare la monotonia delle cosiddette “pratiche da sbrigare” alla ricerca di un po’ di piazza. Niente da fare, tutto o quasi, serrato. Dal cinese al pub dietro casa nessuno ritiene sensato investire altro tempo ad aspettare chi non verrà. Il tedio della pausa forzata, l’impossibilità di programmare a breve termine un qualunque evento. Il virus della noia che si diffonde.
Eppure, da ieri qualcosa è cambiato: Giuseppe Conte ha comunicato ufficialmente che «dobbiamo tutti assumere un atteggiamento responsabile»; fino al 3 aprile quasi tutti gli incontri sono rimandati.
Sissignori! Il paese della piazza è chiamato ad asserragliarsi in casa: manterremo «un metro di distanza dai contatti sociali» eviteremo «abbracci, strette di mano e luoghi affollati».
La situazione è grave e le istituzioni non usano mezzi termini per definire la prima emergenza internazionale dell’era digitale. Se il contagio, come alcuni studi prevedono, si diffonderà a 14.000 casi in tutta Italia, il sistema sanitario nazionale non riuscirà a gestire la crisi. D’altra parte il sistema culturale è un’economia, fragilissima, che da anni boccheggia e non può permettersi di prorogare una pausa forzata, già di per sé catastrofica. Chi mi rimborserà le date perdute?
D’un lampo, capisco che è ufficiale: è il momento di fermarsi e guardare.
Precari di tutta Italia, scioglietevi: teatri, università e musei sono chiusi.
Siete stati abbandonati al vostro destino per le prossime settimane: siete momentaneamente soli e liberi. Liberi di non dovervi assumere delle responsabilità che non volete, liberi di leggere il libro che avete dimenticato, di prendere la bici e andare al mare (vi raccomando di non stringere le mani a nessuno durante tutto il tragitto), liberi di portare a termine il progetto fotografico che nessuno, nemmeno vostra madre, mai degnerà di uno sguardo.
Siamo liberi di procrastinare gli esami, le resilienze, gli aggiornamenti, le interviste, le tele-imposizioni, la bur(r)ocrazia e, sotto l’alto consiglio del Primo Ministro, i contatti sociali.
Siete davvero in pausa gente: la pausa, forzata, che avete sempre sognato.
E dunque, siccome, «dobbiamo fare uno sforzo in più e dobbiamo farlo assieme» sappiate che è giunto il momento di rilassarsi, di ricaricare le batterie, di mettere il vostro cervello nell’armadio e di lasciare che il cuore, correndo forte forte, vi guidi.
Cogliete l’occasione! Aprite le porte alle cose davvero importanti.
Non lasciate che la paura del futuro ottenebri la fragile incertezza della vita: ballate!
Siamo in guerra signore e signori e quando si è in guerra il primo a morire è l’amore.
Ieri sera ho riletto le Lettere Contro la Guerra, nate dalla più nota querelle culturale dell’Italia contemporanea: quella tra Tiziano Terzani e Oriana Fallaci. L’inviato di guerra paragona la caduta delle Torri Gemelle a una bomba atomica, la cui forza d’urto a breve ci investirà tutti, ci spazzerà via, forse.
Cos’è il virus, scoppiato in una città di cui nemmeno sapevamo l’esistenza fino all’altro mese, se non la bomba di oggi? È esplosa, in casa nostra: la frittata è fatta.
Ebbene, premesso che nella crisi bisogna agire con tempestività ed efficienza, noi operatori dello spettacolo, credo, siamo chiamati a vivere. C’è bisogno di vita quando la morte dilaga: la comunità avrà bisogno di noi tra qualche settimana e se vogliamo vedere i nostri sacrosanti diritti riconosciuti dovremo tornare utili nel prossimo, immediato futuro.
Ma adesso è il momento di vivere, di cogliere l’occasione per prendere atto che, nelle parole di Terzani «Il mondo è cambiato. Dobbiamo cambiare noi. Innanzitutto, non facendo più finta che tutto è come prima, che possiamo continuare a vivere vigliaccamente una vita normale. Con quel che sta succedendo nel mondo la nostra vita non può, non deve, essere normale. Di questa normalità dovremmo avere vergogna».
Nel 2001 come oggi le sfide del futuro sembrano incomprensibili, oggi come ieri dobbiamo, nel caos, fare un passo indietro. Meditiamo, amiamo, ritroviamo le nostre radici interiori noi artisti, creativi, idealisti, scappati di casa e girovaghi. Respiriamo un attimo, prima di tornare in apnea.
«La verità è l’antidoto più forte» ebbene sì, signor ministro, rimandiamo a lei e a questo Paese tanto amato e odiato da tutti noi, la responsabilità di indicarci la rotta da seguire.
Noi, dal canto nostro, prenderemo la prima freccia libera e ci fionderemo con passione e irriverenza nel letto giusto, sull’albero perfetto. E sdraiati su di un dimenticato prato in fiore, d’improvviso tutti potremo fare all’amore tutto il giorno con il beneplacito del Bel Paese.