GIAMBATTISTA MARCHETTO | I codici interpretativi attraverso i quali costruiamo le nostre relazioni sociali e le “cerimonie” interpersonali sono radicati nella vita quotidiana e nella cultura. Se dunque lo “stallo” generato dalla pandemia non si protrarrà a lungo, ci potremo ritrovare cambiati ma non stravolti.
Più che ottimistica questa riflessione di Alessandro Breda – chef dello stellato Gellius, uno spazio gastronomico innestato nel sito archeologico romano a Oderzo (TV), e del ristorante gemello in Belgio – riporta al senso di “normalità” che hanno vissuto alcune generazioni dopo altre pandemie nella storia e pure dopo le guerre (con le debite differenze). Da un maestro della cucina vengono allora alcuni spunti interessanti per vedere oltre la cortina del presente recluso e disastrato, confidando nelle relazioni e in un senso di socialità che il digitale ha consentito di mantenere.
Chef, come stai trascorrendo il tempo in questo periodo di chiusura/reclusione?
Passo molto tempo a chiacchierare con le mie figlie, che vivono all’estero e sono tornate in Italia poco prima della quarantena. Ci sentiamo sempre per telefono, ma avere tutta la famiglia riunita è un’altra cosa. I panni dello chef li rivesto anche in casa cucinando per loro e per mia moglie. È un’attività che mi rilassa molto, come la lettura.
Quali sono le cose che ti mancano di più? Quali alternative hai sviluppato nel tuo personale approccio alla clausura?
Mi manca la libertà di fare tante attività che prima erano quotidiane: dal giro in bicicletta al fare la spesa. Non avrei mai pensato che questi piccoli gesti potessero diventare un lusso, anche se sto cogliendo questo periodo come un’opportunità per fare tante cose alle quali prima non riuscivo a dedicare tempo. Sto cercando di dare spazio ad alcuni interessi che prima non potevo coltivare, come la lettura o l’ascolto di programmi radiofonici.
Molti di noi possono scegliere come impiegare il tempo, eppure desiderano tornare alla frenesia per rimpiangere un tempo quieto…
Credo sia necessario trovare un equilibrio per poter superare questo frangente. Personalmente non penso che un momento di pausa come questo sia un male: aiuta ad apprezzare molte cose che prima davamo per scontate. Se vissuto in modo positivo, credo che questo periodo possa aiutarci a capire che, per quanto sia bella la nostra frenetica vita quotidiana, ogni tanto abbiamo bisogno di rallentare e fermarci a riflettere.
Come evolvono le relazioni umane e sociali in questo tempo sospeso? Si può davvero imparare a convivere con sé stessi?
Credo che questa situazione ci dimostri quali sono i rapporti stabili e imprescindibili della nostra vita, privata e professionale. Ad esempio, tutti i ragazzi del Gellius in questo momento stanno dimostrando una grande sensibilità e, soprattutto, tanto entusiasmo: nonostante non ci sia ancora una data di riapertura del ristorante, ogni giorno condividono nuove idee da mettere in pratica non appena potremo tornare al lavoro.
Dobbiamo però sfruttare questo tempo anche per coltivare un legame con noi stessi, magari chiedendoci se siamo felici di come siamo e di dove siamo. Tirare le somme della nostra vita fino a oggi e capire dove possiamo migliorarci è fondamentale per stare bene, in primis con noi stessi e poi con il mondo.
Una società in coprifuoco è ancora sociale? Quanto fa bene e quanto fa male stare soli (in senso stretto o soli in un ambito domestico, ma tagliati fuori da relazioni sociali)?
A mio avviso sì, nonostante tutto possiamo ancora definirci una società sociale. Certo che se questa pandemia e di conseguenza la quarantena fossero accadute 25 anni fa, la risposta sarebbe diversa. Il coprifuoco non ferma le nostre relazioni perché la tecnologia ci permette di tenerci sempre in contatto, in particolar modo con le persone più care.
Personalmente tendo a essere una persona solitaria quando ne ho l’occasione, quindi non sto vivendo negativamente questo momento di pausa dalla socialità estrema che caratterizza solitamente la mia vita e il mio lavoro. Penso che questa situazione di lontananza (in quanto temporanea) possa essere positiva per molti rapporti e per la nostra introspezione personale.
Molto del tuo/nostro mondo di relazioni è basato sulla condivisione di codici interpretativi: dall’economia alla gastronomia, dalla religione alla cultura… Questo tempo sospeso ha cambiato i codici? Li cambierà?
Certamente li modificherà, ma non li ribalterà. I codici interpretativi a cui facciamo riferimento sono troppo radicati nella nostra vita di tutti i giorni e nella nostra cultura per essere totalmente stravolti, a meno che questa situazione non si prolunghi molto nel tempo. Sarà però importante trarre una lezione da questo momento: capire cosa possiamo migliorare nella nostra quotidianità sarà fondamentale per la nostra vita attuale e futura.
Quali saranno, dal tuo punto di vista, gli impatti permanenti o persistenti della pandemia sul piano sociale e culturale?
Un aspetto verso il quale cambieremo sicuramente il nostro approccio penso sarà la convivialità: la apprezzeremo di più, capiremo quanto è importante condividere il nostro tempo con le persone che ci arricchiscono e ci fanno sentire bene.
In un certo senso abbiamo già riscoperto la convivialità in famiglia, ma abbiamo dovuto mettere in pausa quella con gli amici, che però sicuramente recupereremo non appena saremo liberi di abbracciarci di nuovo.
L’alta ristorazione ha in sé molta rappresentazione, oltre alla sostanza. Come pensi che possa cambiare?
Come prima cosa credo che influirà molto sulla creatività delle persone che lavorano in cucina. Essere a casa per così tanto tempo, con molte ore a disposizione per creare nuove ricette o sperimentare nuovi abbinamenti, è un’occasione da sfruttare al meglio.
Allo stesso modo per il personale di sala: come dicevo, grazie alla comunicazione quotidiana che abbiamo, si stanno instaurando legami e confronti costruttivi che sono convinto resteranno immutati anche all’interno del ristorante non appena torneremo al lavoro.
Inoltre penso che l’interesse verso il nostro settore aumenterà anche da parte dei clienti: dopo queste settimane in cui tutti si stanno avvicinando di più al mondo della cucina, sono convinto che ci sarà più curiosità verso l’alta ristorazione, i suoi meccanismi e le sue creazioni.
Come vive il mondo dell’alta ristorazione nel tempo del virtuale e del delivery?
Trovo che sia indispensabile utilizzare strumenti nuovi e dinamici per raggiungere più persone. In particolare, il virtuale credo possa essere molto utile a tutto il mondo gastronomico, proprio perché è in grado di fornire buone nozioni, ma allo stesso tempo di incuriosire.
Vorrei però fare una riflessione più ampia per quanto riguarda il delivery: in un momento di crisi come questo trovo sia utilissimo, in particolare per quanto riguarda la consegna a tutte quelle persone che fanno più fatica a spostarsi, ma alla fine della quarantena la consegna di pasti già pronti a casa rischia di diventare una costante della nostra vita frenetica, poco salutare e deleteria nei confronti della buona cucina.