LAURA BEVIONE | Gli Anagoor festeggiano quest’anno il proprio ventennale e molti erano i progetti e le iniziative programmate per celebrare questo importante anniversario, con la cura e la profondità e originalità di pensiero che caratterizzano da sempre il loro lavoro. In confinamento nella Conigliera – lo spazio nella campagna prossima a Castelfranco Veneto che è sorta di quartier generale della compagnia – abbiamo raggiunto Marco Menegoni che, con Simone Derai, è stato fra i fondatori di Anagoor.
Come stai trascorrendo questo periodo di quarantena? Tu e Simone, Giulio, state proseguendo il lavoro che stavate preparando prima della chiusura dell’Italia?
Sto vivendo come tutti un tempo sospeso. Ci preoccupa la sofferenza di molti, e l’incertezza per il “dopo” inquieta, ma di per sé i giorni trascorsi in questo isolamento sono relativamente sereni: molto tempo per leggere e studiare, e anche per lavorare con un passo meno frenetico…
In cosa tutto questo si tramuterà, quando la situazione sarà evoluta, ecco, questo non è dato saperlo. Il teatro e tutte le arti dal vivo che per loro natura prevedono l’adunanza delle persone non possono che subire, in ogni forma, questa incertezza.
Con Simone, Mauro, Giulio [Favotto] e tutto il team stiamo seguendo i lavori che erano già in cantiere: Mephistopheles, è il titolo del prossimo progetto. Si tratta di una forma ibrida tra cinema e concerto live di musica elettronica eseguito da Mauro Martinuz. Avrebbe dovuto debuttare a giugno al Napoli Teatro Festival Italia, per poi passare a Dro, a Operaestate e al Kunstfest di Weimar, e questo tour ora dovrà essere ricalendarizzato a seconda degli slittamenti che subiranno i programmi dei festival. In più mentre vengono consegnate le bozze di Una festa tra noi e i morti, che conterrà il testo della nostra Orestea accompagnato da una profonda analisi sulla traduzione operata (il libro uscirà nei prossimi mesi per i tipi della Cronopio), ci stiamo preparando a incidere un doppio vinile che raccoglierà, nel primo disco, una collezione di musiche composte negli anni da Mauro per le creazioni teatrali di Anagoor; e, nel secondo, la registrazione della performance del II libro dell’Eneide da Virgilio Brucia. Tutti tentativi di mettere in salvo la memoria provocando cambiamenti di stato: dal teatro al cinema, dal teatro al libro, dal teatro al disco.
Come si modificano le relazioni umane in questo tempo sospeso? Quello che stiamo vivendo è un periodo di reclusione, forzata e improduttiva, oppure di solitudine costruttiva?
Manca il contatto fisico con le persone care, ovviamente. Io, all’inizio dei primi segnali di diffusione del contagio, qui in Veneto mi muovevo ancora molto in treno, tra Mestre dove vivo e Castelfranco. Allora, per non esporre a rischi mia madre, troppo delicata non solo per età ma anche per questioni di salute cagionevole, mi sono trattenuto dal farle visita fermandomi per qualche giorno in Conigliera. Poi, però, sono arrivati i blocchi e le restrizioni maggiori e mi sono visto costretto a rimanere in Conigliera più a lungo di quanto immaginassi. Ora sono settimane che non torno a trovarla. Il distanziamento osservato per proteggere chi ci è caro diventa fonte di sofferenza e preoccupazione. Manca il potersi guardare negli occhi, l’abbracciarsi, le manifestazioni della vicinanza. È anche vero che questo distacco dagli affetti per fortuna viene parzialmente supplito dalla tecnologia. Così, nonostante siano virtuali, si riesce comunque ad avere rapporti quotidiani con le persone che desideriamo raggiungere. È un piccolo consolo dell’era digitale in tempi di isolamento sociale.
Non definirei questo periodo specifico “improduttivo”. Per quanto riguarda Anagoor, stiamo continuando a progettare e a lavorare, nonostante tutto, e con un altro passo. Questo non significa che sia semplice però.
In questa condizione di coprifuoco, qual è il ruolo del teatro, arte della presenza per eccellenza?
Il teatro non è morto, il teatro muta ma non muore, tuttavia ora è come se fosse ferito. Mancano alcuni presupposti essenziali perché si possa realizzare in quanto tale: l’adunanza e la sospensione del tempo ordinario. Ora il tempo ordinario è già sospeso da un evento rivale molto più forte, e l’adunanza è impedita dalle regole del distanziamento sociale. Per questo viviamo una momentanea assenza di teatro. È vero che siamo testimoni in questi giorni di un proliferare di surrogati. In molti casi si tratta di materiale d’archivio, una prassi, quella della conservazione della memoria del teatro, che andrebbe curata e potenziata indipendentemente dal momento che viviamo.
Anche noi, in quest’anno che vede Anagoor compiere vent’anni, sentiamo l’urgenza di curare la memoria del nostro percorso: il libro e il disco di cui parlavo prima e in più da poco abbiamo ridisegnato il sito web. In futuro renderemo disponibile l’archivio video degli spettacoli, ci stiamo attrezzando. Semplicemente non riteniamo di doverlo fare perché costretti dalla pandemia, ma vogliamo rispettare i tempi e la cura che questa pratica richiede. Allo stesso modo non abbiamo aderito o immaginato iniziative di streaming e dirette, per mancanza di urgenza creativa che implicasse questo medium e per necessità di fare silenzio.
Se invece devo pensare ad un mezzo che nel tempo in cui viviamo può forse avvicinarsi più di tutti al teatro, per natura e per sua forza propria, penso alla radio. La trasmissione radiofonica convoca l’adunanza a superamento della separazione e delle distanze. Impone il silenzio con l’ascolto e una sospensione del tempo. E poi capovolge il paradigma dell’immagine, pur pretendendo la presenza fisica di trasmettitore e ascoltatore, in favore del suono, della musica e della parola, che come sappiamo sono in grado di produrre immagini anche doppiamente più potenti, di ingenerare un tipo di visione ecfrastica, scintilla della mente, dell’emozione e del pensiero insieme, per mezzo dell’ascolto.
Credi che sia stia facendo abbastanza per salvaguardare i lavoratori dello spettacolo in questo periodo di crisi?
Il periodo di emergenza ha messo in luce in modo ancora più drammatico le carenze del nostro settore: nella maggior parte dei casi stiamo parlando di lavoratori precari a chiamata in un sistema che non garantisce tutte le dovute tutele. Questa emergenza rende sempre più necessario un ripensamento radicale del sistema del lavoro dello spettacolo e lo si dovrebbe cercare e imporre con vigore una volta superata la crisi, indipendentemente dalle priorità che l’economia e il mercato reclamano per sé a discapito di tutto il comparto culturale.
Quali autori stai frequentando in questi giorni e quali riflessioni/pensieri/immagini ti suggeriscono?
Nei primi giorni della reclusione ho divorato, come moltissimi di noi suppongo, Spillover di David Quammen: ancora una volta la conferma evidente che il nostro agire sull’ecosistema e lo sfruttamento violento del mondo da parte dell’uomo siano la principale causa di molte conseguenze nefaste come questa pandemia. E questa crisi non è affatto transitoria: in realtà mette in luce l’avvenuto superamento del limite in termini di occupazione e sfruttamento del suolo, di devastazione degli habitat e alterazione degli equilibri per tutte le specie.
Altrettanto illuminante, e per certi versi parallelo, Nanorazzismo / il corpo notturno della democrazia di Achille Mbembe. Il filosofo camerunense ci impone di rimettere in discussione alcune categorie e paradigmi della cultura occidentale che diamo per assodati, costringendoci a guardare senza filtri la catena di azioni scellerate, di sopraffazioni in atto che sono ancora legittimate da falsi presupposti di egemonia culturale.
Infine, per curare il progetto discografico di cui accennavo all’inizio sto tornando a ripercorrere l’Eneide. Il pensiero delle molte famiglie che hanno perso i propri vecchi senza poter stare loro accanto, dei molti figli che non hanno potuto salutare i propri genitori, mi ossessiona… Abbiamo davanti agli occhi le agghiaccianti conseguenze di una chiusura ritardata in alcuni territori del nord Italia per arginare un contagio prevedibile che si è propagato come un incendio, negligenze pagate in vite umane per favorire un’economia che evidentemente non ha mostrato alcuno scrupolo, pur di salvare i profitti. L’immagine di Enea che nella notte in cui Troia soccombe tra le fiamme è pronto a sacrificare se stesso pur di salvare Anchise, il vecchio genitore invalido e inerme, caricandoselo sulle spalle mi tormenta. Io sono qui e mia madre è distante.