MARCO MARIA LINZI* | In questo tempo di chiusura dei teatri, si divulgano in streaming spettacoli registrati e di conseguenza molte persone si sono espresse su questa modalità di fruire il teatro. Il Ministro Franceschini deve essersene accorto, così ha lanciato l’idea di una piattaforma digitale dello spettacolo, modello Netflix.
Io sono favorevole a questa pratica, anche provvisoria, di fruizione? 

In prima battuta scatta una risposta, quasi automatica: una specie di sì o una specie di no.
Poi una girandola di pensieri: “Lo farei per sopravvivere, per esserci e non sparire o credo veramente che in questa modalità possa accadere qualcosa tra me e l’altro?”.
“Io sarei in grado di farlo? Potrei permettermelo?”.

Le risposte si accavallano, si mischiano una con l’altra, non proprio in modo chiaro. Scattano sensazioni indecenti dentro di me, che posso semplificare in “Mi conviene prendere la parte del sì o del no?”.
In realtà questa posizione si manifesta solo come una sensazione di rotta, di direzione, una sensazione che mi fa dire sì o no. 
Come è ovvio non mi credo; come potrei sapendo chi sono? È colpa del teatro, di quel suo contratto diabolico che, in cambio della creazione di un Mondo, ti chiede l’anima. Sono costretto a sospendere il giudizio, ad approfondire. 

Berlin – Teatro della Contraddizione

La fase successiva è la simulazione, far finta di essere nelle migliori condizioni possibili per affrontare la risposta. In questo caso, per me, vuol dire dare per scontato di avere i mezzi  economici perchè la qualità tecnica e quindi visiva sia all’altezza di quella teatrale che desidero. 

Ecco, mi trovo già in difficoltà: ho tutto il meglio, ma nemmeno il 4k può sostenere la definizione che ha la realtà. D’accordo, ma non posso dimenticare che non amo particolarmente la definizione, per me è necessario che la scena abbia un’atmosfera filtrata dalla sensazione-Mondo che sto cercando. Quindi potrebbe essere.
Mi fa male che non sia io a scegliere, a tentare l’evanescenza della realtà piuttosto che subirla a priori, ma c’è sempre la possibilità di scegliere il progetto adatto; non è un mistero che il teatro di ricerca sia costantemente di fronte ad ostacoli di ogni sorta. Le mancanze hanno costruito molti spettacoli importanti.  

C’è un altro pensiero: le dimensioni. Nello schermo di un computer o, alla meglio, in quello di una televisione, le persone sono minuscole, ci stanno tra le dita di una mano: per vedere l’intero spazio, come dovrebbe essere, gli attori diventano segni, marionette, forse, la memoria dell’umano, non l’umano. Potrebbero essere chiunque; questo mi piace, però quell’essere chiunque va conquistato dall’attore, non regalato da un’inquadratura.
Ma con le telecamere è possibile stringere il fuoco, avvicinarci; si tratta di scegliere il momento più importante e catturarlo, andare e venire da un attore all’altro, da una situazione a un gesto.
E qui sprofondo: certo che lo posso fare, potrei dare un ritmo ancora più incalzante a quel mondo. Ma quale sarebbe il risultato? Io decido cosa si deve guardare e di conseguenza cosa si deve pensare, passo dal mondo al suo racconto, tutto è sotto controllo, la periferia non minaccia il centro della scena, lo sguardo dello spettatore non è più pericoloso, non può scegliere, non mette più in crisi il primo piano, e tutto è più tranquillo e domestico.

Io credo che in questo momento preciso muoia il teatro e nasca la televisione. Tra l’altro, mi dico, sinceramente, che se fossi io a scegliere non chiamerei un improvvisato come me per fare televisione quando ci sono registi e autori che hanno scelto questo mezzo espressivo e conoscono bene i suoi linguaggi.
Non è un bel momento quando ti scarti da solo. 

In verità, il confronto principe l’ho fin qui evitato, perché è materia personale, anche se non esclusiva: la minaccia, sempre presente in teatro, del corpo attore e del corpo spettatore. 

Ci sono spettacoli così perfetti che sembrano registrati, già accaduti, è vero, eppure anche quelli sono portatori incoscienti di minaccia: la possibilità che improvvisamente, per incidente, tutto possa cambiare, anche se questo non accadrà. Ovviamente se il teatro fosse in diretta questa possibilità ci sarebbe, per quanto filtrata dalla regia, che potrebbe cambiare inquadratura, cosa che l’attore non può fare: non può sparire, ma deve reagire e ritrovare la strada; quante elettricità, dovute al caso, hanno attraversato i palchi di tutto il mondo! Questo è l’argomento preferito tra gli attori nel dopo spettacolo e non è un caso. Nel teatro che piace a me tutto dovrebbe viaggiare così, essere in pericolo, ma questa è un’altra cosa.

C’è un’altra minaccia ancora più presente: la relazione, ed è una minaccia che arriva da entrambi i protagonisti, l’attore e lo spettatore. Chi lo dice che uno spettatore non parlerà durante lo spettacolo? Che non dirà che sono un pagliaccio, o che sì, è con me, mi sta credendo, o che questo Mondo è improponibile? Apparentemente non accade quasi mai, eppure, in modo sottile, lo si può sentire. Comunque non importa che questo accada oppure no, la minaccia è appesa sopra di te, e questo non può certamente accadere con lo spettatore seduto sul divano di casa.

La minaccia dell’attore è ancora più evidente, ed è ancora più facile che accada; il suo corpo, la sua intenzione è sempre appesa sullo spettatore, l’attore contemporaneo può addirittura parlarci, sia direttamente che indirettamente e la cosa più scandalosa è che può stare lì e aspettare una risposta.

Che dire? Il “potrebbe succedere che…” non esiste negli altri linguaggi, questa è una delle ragioni per cui ho scelto di fare teatro.
Nell’epoca della riproducibilità dell’arte sono orgoglioso che il teatro sia l’unica arte che non può essere riprodotta, l’unico effimero che si spegne con la sua fine tra le mani di chi c’era, l’unica arte che come la vita, nasce e muore. Fa male, per chi la fa, sapere di sparire, ma fa tanto bene che questo accada. 

In questo momento mi auguro, comunque, che sia data la possibilità, a chi la vuole raccogliere, di spostarsi sul virtuale e allo stesso tempo sia sostenuto chi preferisce rimanere nel suo contesto linguistico coltivando con altre modalità, oggi meno appariscenti, il futuro; manca sempre il tempo per approfondire, ora il tempo c’è.
Perché no? Potrei fare un bel video.

*Responsabile artistico Teatro della Contraddizione – Milano

3 COMMENTS

  1. Questo è molto interessante, e molto giusto secondo me.
    Mi preme aggiungere che a “noi” del circo, che condividiamo la definizione di spettacolo vivente col teatro (e la danza e altre forme ancora), questo momento in cui il video passa da essere risorsa a essere nemico, è già arrivato, due volte addirittura!
    Corine Pencenat ci spiega intelligentemente soprattutto il secondo di questi periodi, in cui il circo inizia a essere filmato in diretta per la televisione, in Francia intorno agli anni 60, togliendo il lato vivente al circo, e indebolendolo e togliendo il brivido tipico di questo tipo di peformance, portando la popolazione francese ad associare il circo a una sensazione di déjà-vu.

  2. È che dietro tutta questa spinta a convertirsi a un altro medium c’è soprattutto la pressione dell’economico.

    Così ora la RAI si rende ridicola trasmettendo un’opera di teatro musicale al giorno, dopo che in trent’anni credo che non ci abbia fatto vedere un solo concerto di arte musicale, e Franceschini propone la sua piattaforma, dove presumibilmente vedremo il teatro in tele-visione, e i Giganti della Montagna potranno tornare nani, come diceva C.B. che aveva chiaro che il teatro in un medium diverso poteva sopravvivere solo ricostruito appunto con altri mezzi. Perché il teatro portato di forza in tele-visione, ovviamente, non è più teatro, anche se insiste a portarne il nome, ma sta al teatro come i ricordi alla vita. Poteva funzionare un tempo, quando la tele-visione non aveva ancora scoperto e dispiegato la sua (cattiva) natura, e può forse ravvivare qualche ricordo di chi a teatro ci è stato, ma non più di questo. In un video su internet è la stessa cosa, anche se di nuovo cambia la natura del medium.

    Minima Moralia: “Non si può escludere che un film che soddisfi in tutto e per tutto alle regole stabilite dallo Hays Office possa riuscire una grande opera d’arte, ma ciò non può avvenire in un mondo in cui esiste uno Hays Office”.
    Non ci sarebbe nemmeno la necessità di inventare nulla sul lato tecnico. Le possibilità c’erano già. Se ora diventano interessanti è per interesse. Che cosa può nascere da questo movimento? Un medium non può essere la scialuppa di salvataggio di un altro. Per spiegare l’analisi dei media di McLuhan si riportava un esempio di questo tipo: c’è più somiglianza tra una partita di calcio e un’opera lirica viste in televisione di quanta ce ne sia tra l’opera lirica vista in televisione e la stessa vissuta all’arena di Verona. Il teatro in tele-visione diventa solo cattiva tele-visione e fa la fine del circo di cui si parla in un altro commento. A chi potrebbe parlare? Bisognerebbe reinventarne il linguaggio, facendo però così cadere la pretesa di fare teatro. Si tratterebbe allora di fare altro, cosa certo possibile. Se Linzi farà un video, “andrò” a vederlo…

    Per me il teatro è legato anche a due illusioni – rifugi del desiderio, che rinnova e che non trovo altrove.
    …che possa spezzare, magari solo per un minuto, il cerchio dell’isolamento che l’economico impone a tutti e rinnova producendo la tecnica e i beni (la televisione, i social, la realtà virtuale, …) dell’isolamento.
    …che, dal buio, possa aprire uno sguardo su un altro possibile, illusione che mi restituisce anche con un’emozione da incubo nichilista, ma vissuto come sogno: un uomo esce da casa e va a teatro, parcheggia l’auto, appende il cappotto, si siede: buio, si alza il sipario. Quando lo spettacolo finisce e cala il sipario, l’uomo si alza, si volta: niente più cappotto, niente più auto, niente più casa.

    Il teatro è in difficoltà. Da sempre. Certo teatro più di altro. E adesso ancora di più. Come si dice a proposito di altro nell’articolo, fa male, ma lo sguardo dialettico coglie del bene in questo male: queste difficoltà testimoniano della sua alterità al dominio.

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