ELENA SCOLARI | Siamo cambiati o non siamo cambiati, in questi mesi contagiosi? Abbiamo oltrepassato la linea d’ombra che descriveva Joseph Conrad nel suo imprescindibile e balenante romanzo? Lo scrittore si riferiva a quella linea che ci avverte di dover lasciare alle spalle le ragioni della prima gioventù. La pandemia ci ha fatto diventare grandi?
Il marinaio protagonista viaggia su un veliero, il mare è corrusco e disperatamente immobile, l’equipaggio estenuato dalle febbri, ridotto all’impotenza, tutti attendono un soffio di vento che possa spezzare l’incantesimo.
Siamo tesi verso quel soffio e il teatro prova ad aiutarlo immaginando come poter gonfiare di nuovo le vele. Il progetto di PAC e Rete Critica #Lucidellaribalta arriva alla terza puntata (sta diventando una rubrica, buon segno!) e racconta come compagnie e artisti si stiano dando da fare, si muovano, spremano le meningi per riprendere a lavorare, senza farsi scoraggiare dalle norme sanitarie che dovranno rispettare.
Saliamo sul veliero anche dove il mare non c’è e incontriamo Teatro Periferico (diretto da Paola Manfredi) che ha sede in un piccolo comune della Valcuvia, in provincia di Varese, circondato dai boschi: svolgere iniziative all’aperto e nella natura è per loro un’abitudine.
Gli attori Elisa Canfora e Dario Villa ci raccontano come hanno piegato le regole anticontagio per non perdere il loro progetto “boschivo”: in questo periodo, in assenza di pandemia, avremmo dovuto realizzare un progetto, sostenuto dalla Fondazione Comunitaria del Varesotto, che prevedeva passeggiate in prati e boschi con raccolta di foglie, rami e semi perché i bambini potessero toccare con mano la natura intorno a loro per poi scrivere i testi di micro spettacoli. Nasce così Boschi Favolosi. Dai libri al bosco e viceversa, che non abbandona il “toccare con mano” (non solo virtualmente), ma lo declina alla luce delle nuove disposizioni anti Covid.
Tenendosi ai nodi opportunamente distanziati di una lunga corda, che è anche filo del discorso e oggetto scenico, e adeguatamente forniti di guanti e mascherine, si entra nel bosco per cercare le favole, storie di antica tradizione in cui il bosco è protagonista, luogo di crescita e trasformazione dei personaggi che lo attraversano.
Toccare con mano le favole significa immergersi e far esperienza delle atmosfere, dei suoni, delle dinamiche della natura: ci saranno “stazioni” di sosta per la contemplazione di piccole installazioni, l’ascolto di suoni e l’interazione con personaggi scappati dai libri e ritornati al loro ambiente naturale.
Sul percorso si incontreranno Cosimo, il barone rampante di Calvino, il vento Matteo di Buzzati e uno spaesato Arlecchino che, fuggito dai suoi padroni per soddisfare un’atavica fame, si perde nel bosco e incontra i personaggi delle fiabe alla maniera di Rodari, che con le sue favole a rovescio ci ha insegnato che un’altra storia è sempre possibile.
I bambini non saranno i soli destinatari di questa iniziativa: il pomeriggio sarà esclusiva dei più piccoli, la sera sarà invece dedicata agli adulti (27 giugno, 4 e 11 luglio).
La breve comitiva partirà dal centro di Cassano Valcuvia per raggiungere a piedi la chiesetta di San Giuseppe che sovrasta il paese, passando per il sentiero non illuminato, tra gli alberi. Ogni partecipante, munito di proprio cellulare e auricolare, ascolterà voci-guida, storie antiche e sonorità suggestive. Il mito di riferimento sarà quello di Narciso, voci che di lui hanno scritto accompagneranno il visitatore, che si imbatterà lungo il percorso in apparizioni rarefatte e simboliche: figuranti insceneranno tableaux vivants, installazioni saranno collocate in angoli suggestivi e inviteranno a fermarsi e a riflettere; o, per meglio dire, a rifletterSi, secondo l’immagine chiave dello specchio. Un oggetto simbolo anche della eccezionale situazione nella quale ci siamo ritrovati e da cui stiamo cercando faticosamente di uscire, guardandoci.
Se il bosco e la natura in generale sono i luoghi elettivi dove – come abbiamo raccontato anche nelle precedenti puntate #1 e #2 – il teatro tornerà a far capolino, viene anche naturale un ragionamento sulle case, su quello spazio in cui siamo stati forzatamente chiusi per mesi, però per guardarne fuori, per farsi rapire da storie che portano ben oltre le mura che tanto a lungo sono state il nostro unico orizzonte.
Rimaniamo a Varese per parlare con chi questo pensiero l’ha avuto, in tempi non sospetti: parliamo con Stefano Beghi di Karakorum Teatro che con Stefano Cordella della compagnia milanese Oyes ha immaginato La finestra sul cortile – azione performativa tra le case popolari.
Per la verità l’idea ti era venuta prima della calamità che ci ha travolti, vero?
In effetti sì, ma la direzione che stavamo prendendo è – purtroppo – in linea con ciò che ora è consentito fare, data la contingenza. Non si tratta di adattare i nostri lavori teatrali a spazi non convenzionali: il teatro fuori dal teatro non era più una novità da tempo, e ora a maggior ragione è necessario fare un passo in più. Dopo anni di sperimentazione, di format teatrali itineranti e progetti site-specific, il nostro lavoro artistico diventa un lavoro di immaginazione, collettiva e partecipata, di nuovi modelli possibili di socialità e di città. Interventi attivi negli spazi pubblici, che facciano dell’arte un motore di ripartenza e di rinascita dei contesti urbani.
Come avveniva quando le persone si riunivano la sera per assistere alle trasmissioni televisive, trasformeremo gli spazi interstiziali tra le case (non-luoghi sul confine tra spazio pubblico e privato) in luoghi di fruizione condivisa della cultura, in veri e propri teatri. Verranno riallestiti con adattamenti contemporanei e in forma site-specific episodi di grandi classici teatrali, ai quali i residenti potranno assistere dalle finestre delle proprie abitazioni, trasformando il teatro in uno strumento che connetta famiglie, case e storie differenti. Gli spettacoli verranno presentati al pubblico durante l’estate, vorremmo raggiungere le periferie di tutta la città.
E siccome le idee circolano, libere di essere acchiappate da quanti hanno l’attenzione per scorgerle, case e balconi hanno stimolato anche la riflessione di Elena De Bortoli del gruppo La Tasca Teatro di Torino, un pensiero proiettato verso l’esterno ma soprattutto visto dall’alto: nel pensare in quali maniere riformulare il teatro rispetto alla contingenza attuale, si è parlato anche di riportare gli spettacoli all’interno dei cortili. I balconi sono stati uno dei grandi simboli di questa quarantena, unico affaccio sulla vita esterna, e, per contro, unico luogo di contatto tra il mondo e l’intimità delle case; quindi perché non trasformare i nostri balconi nei palchetti del teatro all’italiana? I balconi come sedute e il cortile come palcoscenico. Torino offre un’innumerevole quantità di cortili interni, con balconate a circondare un grande spazio comune.
C’è però un’importante variabile: la prospettiva. Trasformiamo dunque questa necessità in occasione di ricerca e per spettacoli che possano essere visti solamente dall’alto. Immagino l’elemento visuale come grande ingrediente di questa ricerca, una sorta di “attacco d’arte dall’alto” alla Neil Buchanan, il quale disponeva su pavimenti variegati (palestre, giardini, edifici) oggetti di uso comune per formare immagini visibili dall’alto. Un attacco d’arte dall’alto ma volto a una possibile narrazione agita e animata dall’interno, enorme opera orizzontale di teatro di figura.
Teatro dall’alto potrebbe ospitare performance di danza e teatro fisico, circo o teatro di strada, facendo dei corpi e della distanza tra essi -–magari integrati all’uso di bastoni e cordame – il materiale di ricerca nella creazione dell’immagine. Si trasformerebbero così alcune derive troppo concettuali in visioni di portata universale, trasversali a tutte le età, che parlino alla molteplicità del pubblico di condòmini che abitano un palazzo. Favorendo anche la creazione di forti reti tra circoscrizioni e singoli quartieri.
Oltre a soddisfare il requisito del distanziamento sociale questa formula contribuirebbe a rispondere anche al grande quesito “come riportare il pubblico a teatro?”. Beh, se Maometto non va alla montagna… Per provare a riportare un po’ di magia alle persone attraverso momenti visionari collettivi e rendere il distanziamento prossimità, la prossimità più quotidiana: quella col tuo vicino di casa.
L’interno delle case è invece lo spazio dove Giuseppe Emiliani, direttore artistico del Teatro Busan di Mogliano Veneto, ha pensato e costruito il suo esperimento teatrale: La figlia di shylock – Sei troppo caro perché io ti possegga, ispirato a Il Mercante di Venezia di William Shakespeare. Il regista e drammaturgo Emiliani dice: Non avrei mai immaginato di poter dirigere un mio testo teatrale lavorando a distanza. Io dalla provincia di Venezia, l’attrice (Margherita Mannino) dalla provincia di Treviso, lo scenografo (Federico Cautero, in collaborazione con 4DODO) e il suo staff dalla provincia di Udine, il costumista (Stefano Nicolao) da Venezia e il musicista (Luca Piovesan) da Bruxelles. Non avrei mai pensato, prima d’ora, di poter allestire a distanza un mini-set cinematografico, dirigere da remoto le riprese e poi montare in diretta il video all’interno di una scenografia virtuale tridimensionale, mutabile, che si compone in tempo reale. È stata un’avventura pazzesca ma possibile!
L’avventura è stata prodotta dal Teatro Stabile del Veneto (diretto da Massimo Ongaro) nelle settimane di lockdown e ha unito a distanza l’intera cordata di lavoro.
Prosegue Emiliani: In questo periodo di forzato isolamento siamo stati tutti meno soli grazie a internet, ai social, alla possibilità di connetterci a distanza. Il teatro tornerà, gradualmente, a essere luogo di contatto, di fisicità, di persone vive in carne e ossa, ma il teatro, come tutte le arti, subirà inevitabilmente dei cambiamenti. Pur non tradendo l’anima teatrale, questo progetto non è – in senso stretto – né cinema né teatro, è un esperimento che vuole creare un linguaggio nuovo, che abbia anche valore in sé, non solo perché nato in una situazione di emergenza. L’idea si presta a essere manipolata e potrebbe essere resa in teatro con un attore sul palco e una scena virtuale, modificabile in tempo reale muovendo gli oggetti e il contesto ambientale.
La figlia di Shylock è parte di una serie di monologhi, da me scritti, sui personaggi femminili di Shakespeare che in origine ho realizzato in forma itinerante in luoghi veneziani come Cà Rezzonico, un posto speciale, certo, ma anche quella era una casa. Uno spazio intimo per una confessione pubblica. Il testo è un appassionato racconto di amore e fantasia in cui il reale e l’immaginario arcanamente si confondono in una Venezia luogo di incontri, di intrighi, sensi sfrenati, passioni travolgenti. Una Venezia dove le apparizioni tendono a prendere corpo, i sogni a farsi realtà.
Quale miglior vento di quello della laguna per il teatro e per il marinaio di Conrad?
INFO #Lucidellaribalta
– La chiamata è rivolta tanto agli organizzatori quanto ai soggetti produttori, cioè sia a chi ha idee per l’accoglienza del pubblico, modalità teatrali all’aperto o al chiuso che prevedano distanza tra gli spettatori (anche in movimento all’aria aperta) sia a chi ne ha per produzioni artistiche che “leggano” la contingenza dal punto di vista della creazione.
– Inviateci le vostre idee pratiche per la riapertura di spettacoli e teatri a paneacquaculture@gmail.com con oggetto #lucidellaribalta
– Testo max 10 righe
– Indicazioni chiare su: modalità, destinatari (pubblico, attori, istituzioni, sponsor, et cetera).