GIAMBATTISTA MARCHETTO | «Ho perso la cognizione del tempo. Allora ho dato voce a quello che ognuno di noi pensava o sentiva dire». Matteo Corfiati – giornalista, comunicatore e autore televisivo – introduce così al suo confronto con il Covid19, un fenomeno a cui ha dedicato l’agile e ironico Quello che abbiamo capito del virus, pubblicato un paio di settimane fa da La Case Books. Il libro sta andando benissimo su Amazon (dove si trova in versione cartacea) e in eBook sui principali store digitali.
Milanese, attratto dalla cronaca, dallo sport e dalla musica, Corfiati collabora con i più importanti network italiani e dal suo osservatorio – tra pop e sociologia – si trova a studiare le dinamiche delle interazioni pubbliche e private con occhio attento. E identificando nel tempo del lockdown una fase storica senza precedenti, sembra immaginare una spinta creativa in ambito artistico, con «tanta letteratura, tanta arte e tanta musica», dato che molti artisti hanno avuto tempo di sperimentare idee nuove, ma esprime preoccupazione per teatri, concerti, cinema. «Pagheranno un prezzo altissimo, purtroppo», dice.

Matteo, perché in pieno lockdown hai deciso di scrivere “Quello che abbiamo capito del virus”?

Fondamentalmente perché non avevo niente da fare. Dalla fine di febbraio ho cucinato più di Cracco, Cannavacciuolo, Barbieri e Locatelli (lo chef, non il medico imitato da Crozza) messi insieme. Stavo ingrassando a dismisura, di fatto mettermi a scrivere è stato un modo per salvare la linea e riuscire a indossare le magliette che mettevo fino a gennaio. Certo, potevo anche comprare una cyclette: ma questo è un metodo più economico e anche molto meno faticoso.

E cos’hai scoperto, scrivendo?

Mi sono accorto che facevo le stesse cose che faceva chiunque. Dormire, mangiare, ascoltare mio malgrado le sirene delle ambulanze sotto casa, guardare la tv. Ho fatto più videoconferenze tra marzo e aprile che in tutta la mia vita, solo che stavolta era per bere una birra con qualcuno. Ho provato ansia nell’andare a fare la spesa. Mi sono perso nei conteggi della Protezione Civile. Ho dato la colpa a chiunque. Ho perso la cognizione del tempo. Allora ho dato voce a quello che ognuno di noi pensava o sentiva dire.

Perché un libro sulla Fase 1?

Perché la Fase 1 è stata un momento storico che ci ha costretti e a vivere tutti la stessa vita e siamo stati tempestati da tante informazioni cui, però, hanno fatto seguito molte domande e poche risposte. Dubbi: quelli sui quali abbiamo riflettuto per due mesi davanti allo specchio, a cui pensavamo prima di andare a dormire. Quelli che ho scritto in questo libro.

#iorestoacasa ovvero sovrabbondanza di tempo: cosa ne abbiamo fatto? Recuperato il tempo perduto?

No. Abbiamo recuperato il tempo. Il concetto di tempo. Così abbiamo imparato a perderlo meglio di prima.

Ne usciremo migliori? Ne usciremo peggiori? Non cambia nulla?

Qualcuno dice che poi tutto sarà diverso. In peggio, in meglio. Che saremo più egoisti, oppure più solidali. Più incazzati, più buoni. Secondo me saremo tutti uguali. Ma più poveri.

Una società in coprifuoco è ancora sociale?

Sociale no. Social sì.

Il tuo libro in effetti nasce dai social…

Vero. È nato tutto per caso da alcuni post che avevo scritto su Facebook e che raccoglievano centinaia di like. La Case Books ha intuito che i contenuti potevano avere del potenziale e mi ha chiesto di farne un libro.

C’è qualcosa da salvare di questo periodo?

Vado matto per le polemiche tra i virologi. I botta e risposta. I tweet. Le allusioni. Le critiche incrociate. I virologi erano un tesoro comunicativo sommerso. Io se rinasco voglio essere un virologo, magari un incrocio tra Burioni, De Donno, Locatelli (il medico, non lo chef) e Pregliasco così tutti i giorni litigo con me stesso e non mi annoio mai. Spero però che presto non ne sentiremo più parlare perché vorrà dire che questo incubo è finito.

C’è qualcosa che ancora non è stato detto su questo virus?

Sì: che è indiscutibilmente di sinistra. Fino a febbraio in Italia c’era un esecutivo che galleggiava in un’apparente calma piatta ma che, sondaggi alla mano, sarebbe stato travolto prima o poi dall’onda della Lega e di Fratelli d’Italia che stava montando come uno tsunami. Il PD era a 16-17 punti percentuali da Salvini. Tre mesi dopo Conte è Churchill e il divario tra i primi due partiti si è ridotto a 3-4 punti, una cosa impensabile prima dell’esplosione di Covid-19.

C’è una categoria che pagherà l’effetto-Covid più delle altre?

Sicuramente gli astrologi. Il mio, per esempio, secondo loro doveva essere un anno bellissimo fino a giugno.

Come impatta il virus sulla produzione culturale?

Spero che questo periodo partorisca tanta letteratura, tanta arte e tanta musica. Per forza di cose molti artisti hanno avuto tempo e modo di sviluppare e sperimentare idee. Vedremo se tutto questo avrà un effetto positivo. Di contro mi preoccupano tutti i settori legati agli eventi. I teatri. I concerti. Il cinema. Pagheranno un prezzo altissimo, purtroppo.

Molto del tuo/nostro mondo di relazioni è basato sulla condivisione di “finzioni” riconosciute: dall’economia alla gastronomia, dalla religione alla cultura. Questo virus e il tempo sospeso hanno cambiato i codici?

Sicuramente quelli della condivisione, ma solo finché durerà l’emergenza.

Come è cambiata o cambierà la “scena” televisiva?

I network televisivi hanno necessariamente cambiato…programmi, in tutti i sensi. Facendo un paragone culinario, alcuni tra loro hanno dovuto sostituire i prodotti freschi con i surgelati anticipando il palinsesto estivo fatto di repliche, vecchi film, documentari.
Le case di produzione, infatti, hanno dovuto rimandare o cancellare la realizzazione di tanti format che vengono girati tra la primavera e l’estate e l’effetto si ripercuoterà sui palinsesti dell’autunno. Si cerca di salvare il salvabile. Alcuni ci riescono, altri no e probabilmente alcuni tra i programmi più famosi tra quelli che vengono registrati non andranno in onda. Questo vale anche per le serie.

Quando tutto sarà finito quale sarà la prima cosa che cercherai di dimenticare del periodo di ‘lockdown’?

Il mio vicino che ogni giorno alle sei del pomeriggio cantava – anzi, stonava – a squarciagola sul balcone le canzoni di Rino Gaetano.

@gbmarchetto