LA GUERRA UMIDA
di Chiara Bonome e Mattia Marcucci
Buonasera, che bello vedervi ancora vivi. Considerando l’età media del pubblico che va a teatro, vi immaginavo a disquisire nell’aldilà con Pirandello: – Come va giù sulla Terra? – Tutti indossano una maschera, Maestro. – Ah, niente di nuovo quindi. A proposito, signore, sì, lei in seconda fila, se non sistema meglio la sua si unirà presto alla conversazione. Allora, com’è essere di nuovo qui? Vi state pentendo, eh? Tranquilli, al botteghino abbiamo attivato una linea diretta con l’ospedale. Siamo rapidi come il sito dell’INPS ed efficienti come Boris Johnson. Andrà tutto bene. Signora, lei che mi sembra bella avanti con l’età, perché rischia così tanto per vedere questo spettacolo? Io non lo farei. Non la sento, si tolga la mascherina. No! Per carità, non può! Scherzo, può fare quello che vuole: il teatro è libertà.
Ecco, avete appena assistito alla soluzione più in voga in questo momento: la contraddizione. Una sorta di Bispensiero Orwelliano. Prima si dice una cosa, poi si nega, poi si invita a fare l’opposto e così via all’infinito, in un loop di illogicità tale che se Aristotele fosse ancora vivo andrebbe spontaneamente in Lombardia senza dispositivi di sicurezza. Siamo diventati le cavie di un grande esperimento sociologico chiamato Vediamo come gli esseri umani affrontano l’estinzione. Parte I. Per il sequel gli americani pare si siano rivolti a Soderbergh, che dopo Contagion è diventato il nuovo Oracolo di Delfi. Infatti, secondo gli scienziati, è solo l’inizio, perché il nostro stile di vita sta condannando noi e migliaia di specie viventi all’estinzione – e questa pandemia ne è stata solo un tiepido assaggio. Lo specifico per chi fosse appena arrivato da un barbecue con Bolsonaro. Comunque, lo dice la Scienza.
Ma, ehi, ne usciremo migliori! No, non è vero, siamo nella merda, tanto vale divertirci e dimostrare di essere solo dei bambinoni viziati e involuti. Di quelli che frignano e sputano il cibo. Ecco, questa sarebbe una bella burla da bambinoni: sputarci addosso. Già vi vedo a gridare come delle scimmie urlatrici – grado molto più in linea con il nostro attuale stadio evolutivo. Dovete sapere che i maschi di questa specie utilizzano la loro dote vocale per conquistare le femmine. È stato dimostrato che le scimmie con i testicoli più piccoli gridino più forte e producano più sperma. E anche questa è Scienza, ma non ditelo a Trump, rischierebbe di iniettarsi lo sperma di una scimmia… forse ho esagerato.
Anche per lei è un’immagine un po’ forte, signora? Ma perché si ostina a rispondermi! Vedete, viviamo in un mondo in cui non riusciamo a comunicare. La scimmia urlatrice, primate simile ai Bonobo e agli Scimpanzè, dal cui incrocio discendiamo – per carità non fate sapere a Salvini che discendiamo da un incrocio di razze o è la fine – urla per comunicare alle femmine di avere dei piccoli coglioni pieni di sperma. Ora sto parlando della scimmia, non di Salvini, lo dico perché è facile confondersi. Dopo migliaia di anni, i piccoli coglioni siamo diventati noi, che continuiamo a urlare senza riuscire più a comunicare, dimostrando alle scimmie che su quello sperma andava apposta l’etichetta “Usare con cautela”. Non so neanche perché sia finita a disquisire di sperma di scimmie parlando di sputi. Avrei dovuto parlare dei lama. Il lama sputa a chi gli sta sulle palle, anche grosse, non fa discriminazione come le scimmie. E i nostri amici maschietti hanno imparato a conoscere le palle grosse in questo periodo, eh? Tutti maniaci sessuali da quarantena. Ho ricevuto più cazzi su WhatsApp che “Buongiornissimi” sul gruppo degli zii. Lo sputo è diventato una bomba: dopo la guerra fredda, la guerra umida. Se aggiungiamo il futuro nebuloso e il surriscaldamento globale, dopo Soderbergh il prossimo eroe sarà il colonnello Giuliacci.
E che la guerra umida sia già iniziata è testimoniato dalla reazione di panico che si genera al supermercato in seguito a uno starnuto: tutto si blocca, atrofizzato dalla paura. La paura del contagio. Vagli a spiegare che era solo allergia ai trenta panetti di burro e lievito presi per fare la “Torta più grossa del mondo challenge”. Tutti intorno al malcapitato a fare dei tamponi improvvisati coi cotton fioc in offerta. La verità è che siamo tutti portatori sani – sani, si fa per dire – di contagio. Questo avrebbe dovuto farci capire di essere tutti collegati. Perché la Natura, madre-matrigna del caro Giacomo, grande precursore della quarantena – almeno lui poteva guardare l’infinito da solo sull’ermo colle, noi il cazzo dello zio che ha sbagliato chat e l’ha mandato al posto del “buongiornissimo”, chi parla di pessimismo cosmico adesso? – ci ha dimostrato che il mio comportamento si ripercuote sulla tua vita, e il tuo sulla sua, e il suo sulla tua, e avanti così, fino allo sterminio. Ci saremmo dovuti sentire tutti fragili: oggi il contagio, dopodomani l’estinzione. Invece, salgono nei sondaggi coloro che se ne fregano, che puntano tutto su un’immediata crescita economica a qualsiasi costo, che parlano di rinforzare i confini, danno la colpa agli altri popoli e si rifugiano in stati totalitari. Ciao amici ungheresi! E se, da una parte, la maggioranza se ne sbatte, dall’altra le persone con una comprensione della realtà appena sopra il livello “Al Bano” hanno visto l’ipocondria impossessarsi dei propri sogni trasformandoli in incubi; sui comodini sono apparsi Amuchina, mascherina e valeriana. E se non ha funzionato la valeriana: camomilla, fiori di Bach, calmanti, ansiolitici, Xanax, metanfetamine, sedute online con psicologo, psichiatra e il nonno dello psichiatra. Siamo riusciti a parlare con Freud nei nostri sogni mentre ci chiedeva dei nostri sogni e, dopo aver fatto un giro inception con Di Caprio, alla fine tutto si è trasformato in una conferenza stampa di Conte. E non ci si è capito più un cazzo. E tutto questo perché? Perché abbiamo avuto tempo. E il tempo senza libertà ci ha mandati in tilt. Stare da soli con noi stessi fa più paura del contagio. Perché il vero virus siamo noi. Perché se non cambiamo le cose, presto sarà la fine di tutto. E se credete che io stia esagerando, che il consumismo si sia indebolito in virtù di una generale presa di coscienza, pensate che i manuali di Storia – presupponendo che la razza umana riesca a sopravvivere tra una decina di generazioni – diranno che il popolo italiano, appena si è riaperto tutto, si è recato in massa… all’Ikea. Siamo andati a fare la fila all’Ikea perché, diciamolo, la nostra casa ci fa schifo. Ci fa così schifo che se fossimo dei lama e non avessimo la fobia del virus l’avremmo riempita di sputi, proprio come abbiamo fatto nei secoli con l’altra nostra casa che ci ospita e che noi distruggiamo e riempiamo di sputi. Qualcuno ha supposto che il motivo sia da ricercare in piatti, bicchieri e vasi rotti a causa dell’eccessiva convivenza con il partner, ma la realtà è che abbiamo avuto il tempo di guardarci dentro e quello che abbiamo visto non ci piace, al punto da guardare troppo quello che c’è fuori da noi, a casa, e l’abbiamo guardato per mesi, e ora è tutto da rifare. Esiste un’Ikea per l’anima? No. Lei è d’accordo signora? E che cazzo!