LAURA BEVIONE | Una centrale elettrica immersa fra le montagne del Trentino è, da molti anni, luogo privilegiato di sperimentazione e di riflessione sulle arti performative. Centrale Fies è attiva tutto l’anno ma i suoi spazi, compreso lo splendido parco che la circonda, si riempiono ogni anno nel mese di luglio, quando si svolge il Festival Drodesera. Una rassegna che, nei suoi primi anni di vita – nacque nel 1980 – aveva luogo nella piazza del comune di Dro e in castelli e rovine di castelli dei dintorni. Fin da allora, anima del festival sono Barbara Boninsegna e Dino Sommadossi, che, nel 1999, svilupparono e ampliarono quella realtà in Centrale Fies Art Work Space, creando attorno a sé un’affiatata e variegata squadra di collaboratori. Tutti insieme sono Centrale Fies, qualcosa di più della semplice somma delle singole individualità, come testimonia l’intervista che ci ha concesso.
Come ha affrontato Centrale Fies i mesi di lockdown?
Con un gesto obbligato e simbolicamente molto – troppo – forte: l’ “abbandonare” uno spazio che per vent’anni avevamo abitato quotidianamente. Ma proprio questo ci ha portato a tenerci ancora di più in comunicazione continua con tutta la comunità di riferimento: artisti, artiste, curatrici e curatori, e ovviamente la squadra di Centrale Fies tutta. È stato un confrontarsi sul futuro, un temere e sperare insieme, un uscire dall’impossibilità del fare, all’organizzazione per esserci ancora, in sicurezza.
Ma se dovessimo rispondere a questa domanda con un’azione diremmo “con l’ascolto”.
Centrale Fies ha affrontato il lockdown potenziando l’ascolto.
La chiusura dei teatri come ha modificato la progettualità contingente e quella del prossimo futuro di Centrale Fies, in particolare il festival estivo e il progetto Live Works?
Paradossalmente ha cambiato più l’organizzazione e le tempistiche, che non progettualità che già andava nella direzione di un festival “esploso” nei tempi e nelle pratiche. Con qualche limite, certo, come quello del posticipare al prossimo anno le opere straniere selezionate.
Potrebbe sembrare un controsenso ma, nonostante i cambiamenti, abbiamo da subito voluto provare a ragionare su un festival lontano dall’emergenza, per provare a potenziare il senso di opportunità che i cambiamenti e le crisi spesso pongono in essere, e per non porci in una condizione di ulteriore stress o spaesamento.
È stato così con il lavoro svolto assieme a Claudia D’Alonzo, per esempio, una nuova figura curatoriale all’interno della già “curatela esplosa” praticata a Fies negli ultimi anni. Lavorare con Claudia a una parte di programmazione che contemplasse intrecci di on line e on life è stato qualcosa di diverso che non avevamo sperimentato prima.
Nel suo lavoro di curatela, intitolato INBTWN – In Between, artisti e artiste selezionati si alterneranno all’interno di un campo di riflessione sul rapporto tra corpo e nuove tecnologie e sulle conseguenze di questa relazione, dalla produzione di futuri agli effetti di realtà.
Il festival estivo vedrà artisti e artiste italiane misurarsi con gli spazi esterni di Centrale Fies e con nuove regole, trovate assieme attraverso i lunghi confronti nei mesi di lockdown.
Live Works, invece, sarà dilazionato nel tempo, perdendo la caratteristica della residenza collettiva e degli spazi condivisi, ma potenziando l’aiuto e il sostegno ai selezionati, da 1.500 a 3.000 euro ciascuno. Il loro periodo di residenza sarà lungo tutto l’anno per arrivare a marzo 2021 a mostrare al pubblico gli esiti del lavoro.
Qual è la vostra impressione osservando le differenti modalità con cui il mondo dello spettacolo dal vivo, in Italia e in Europa, sta reagendo all’emergenza Covid e alla conseguente temporanea interruzione delle attività?
Si sta reagendo con ulteriori e diversificate prese di coscienza di ciò che prima non funzionava, e con una rinnovata voglia di essere rappresentati e conosciuti come tassello necessario all’interno della società. Ci siamo accorti di come la narrazione mainstream fatichi a trovare parole e posizione del contemporaneo all’interno delle discipline artistiche che, quando sono citate dalla politica, sembrano riferirsi unicamente ai musei e al teatro di prosa, dimenticando le arti visive e performative, e i luoghi di natura ibrida che negli anni sono diventati necessari per regioni, quartieri, città, territori, nella loro unicità di amplificare e allargare i punti di vista e d’azione delle comunità di riferimento: da quella locale a quelle nazionali e internazionali.
Parliamo del “dopo”: c’è paura, allo stesso tempo, che tutto torni come prima e che nulla sia come prima. Qual è il vostro pensiero a proposito?
Il prima è fatto di molte cose calate dall’alto e di altrettante create e gestite da tutti noi: il cambiamento dovrà partire innanzitutto – e ancora una volta – dal piccolo. Se non cambiamo noi, o se non insistiamo su ciò che crediamo giusto e opportuno, sarà difficile che questo cambiamento avvenga.
Per quanto riguarda Centrale Fies, sarebbe importante poter agire sui parametri ministeriali che spesso sono disegnati su realtà altre e che non tengono conto dell’importanza trasformativa dei centri ibridi, che lavorano per il sostegno dell’arte e delle professioni dedicate, diventando spazi che dovrebbero essere messi nelle condizioni di assorbire i giovani lavoratori e le giovani lavoratrici che escono da università che preparano al mondo dell’arte: da economia a organizzazione, curatela, comunicazione e così via. In questa logica sarà importante riaffermare il ruolo dell’arte a livello politico e pubblico, ascrivendola nei beni comuni e necessari per la crescita del Paese.
C’è qualche libro e/o autore che vi ha accompagnato in questi mesi?
Forse non si contano, perché Centrale Fies è composta da tante persone con interessi e ambiti differenti, ma certamente qualche lettura comune è passata di casa in casa, e ci ha davvero accompagnato. Laura Pugno, Donna Haraway, Emanuele Coccia, ma anche gli articoli di Che Fare e di Thomas Project sono stati spunti del reale e dei molteplici punti di vista.
Foto in compertina: Centrale Fies_Art Work Space Foto di Alessandro Sala