VOLEVO SOLO FARE COLAZIONE
di Marco Evangelista
Foto di Marco Evangelista
Dovete sapere che l’altra mattina mi sono svegliato – eh già, purtroppo a volte mi capita – e sono andato in cucina con l’intento di fare colazione. Apro la credenza, afferro il barattolo dei biscotti. Vuoto. Eppure avrei giurato che ieri mattina fosse pieno.
E vabbè, penso, adesso improvviso qualcosa. Del resto le cose improvvisate, si sa, sono le migliori.
Stronzate! A me escono sempre una merda le cose improvvisate. Ho preso le peggiori decisioni della mia vita improvvisando.
No signora, la scelta di scrivere questo testo non è stata improvvisata ma la ringrazio per la fiducia.
Comunque, apro il frigo, lo scansiono manco fossi una Xerox ultimo modello e individuo del potenziale nel mascarpone. Bene, provo ad aggiungere del latte ac.
Sì, ac signora. È come qb solo che invece di Quanto Basta vuol dire A Cazzo.
Insomma, decido poi di aggiungere anche dello zucchero, sempre ac. Ma sì, due abbondanti cucchiaini e comincio a lavorare il mascarpone. Provo ad assaggiare.
Non potete capire. Un brivido, freddo, lungo la schiena. La voglia di infilarmi un dito in un occhio pur di poter distogliere l’attenzione da quella atrocità. I due bei cucchiaini di zucchero, ve li ricordate? Era sale.
Eppure fino a ieri avrei giurato che nel barattolo nero ci fosse il sale e nel marrone, che ho usato per il mascarpone, ci fosse lo zucchero.
Vabbè, capisco che la cosa migliore che posso fare è andare al bar. Così scendo, cammino per un po’, poi finalmente un bar aperto. C’è un minimo di coda. Ce la posso fare, posso aspettare.
Arriva il mio turno, allora entro e, per parlare con il barista, non chiedetemi perché, ma assumo una impostazione baritona del petto, come quella di chi sta per fare un rutto. Avete presente? Simile a quella dei lirici, per esempio quando cantano “Là ci darem la mano” nel Don Giovanni. Pezzo chiaramente pre-Covid19. Oggigiorno e che cosa ti vuoi dare la mano? Al più ti do un metro di distanza.
Alla fine riesco finalmente a chiedere un cornetto e un cappuccino. Sicché il barista mi risponde che gli dispiace ma i cornetti sono finiti.
Mi assale un senso di avvilimento, resto immobile per qualche secondo. Poi all’improvviso, un rumore di vetri in frantumi. Mi guardo intorno cercando di capire cosa fosse stato. Erano i miei coglioni.
Esco dal bar pervaso da un sentimento di sconforto verso il genere umano. Però strano, io già vivo in un costante sentimento di sconforto verso il genere umano. Quindi cos’è questa nuova sensazione?
Sento che mi sta sfuggendo qualcosa ma non capisco cosa. Comincio a innervosirmi. Devo fumare. Cazzo non ho le sigarette.
Così entro nel primo tabaccaio che trovo.
Davanti a me un cinese. Vuole acquistare dei gratta e vinci e sta cercando di far capire al tizio dietro alla cassa quale vuole. Dice:
– Complo quello – e lo indica.
– Il cassiere gli chiede: Quale, questo?
– Sì, sì, complo quello – gli risponde il cinese.
– E ancora il cassiere: Quanti ne vuole? Uno va bene?
– No uno, otto. Complo otto.
Porca puttana! Complotto!
Signora, l’ho vista che ha fatto spallucce come a dire che la battuta fa cagare. Sappia che sono pienamente d’accordo con lei ma in un modo o in un altro dovevo anche arrivarci a questa storia del complotto, no?
Eh già! Ma certo, il grande complotto cinese per la supremazia sul resto del mondo. Ho capito ma cosa volete dalla mia colazione? Qualcuno sta cercando di darmi un messaggio, mi stanno manipolando, a cominciare dal barattolo senza biscotti nella credenza di casa mia. Ma allora, possibile che sia…? O che non sia…? Che l’essere è, e non può non essere? Forse aveva ragione Parmenide. O era Sifilide? Ma cosa cazzo sto dicendo? Non ragiono più. Sono confuso, sudo freddo, mi guardo intorno, con sospetto. Esco agitato e senza sigarette dalla tabaccheria. Mi incammino verso casa.
Lungo il tragitto butto sempre un occhio al cielo che a questo punto, mi aspetto possa cascare da un momento all’altro un faro di proiezione.
Sì signora, è una citazione. Sì signora, è The Truman Show.
E in effetti qualcosa dal cielo è caduto quel giorno. Grandine. Grande quanto un faro di proiezione.
Così comincio a correre e nel frattempo penso che siamo a giugno, che non è possibile, che devono esserci i cinesi dietro a quei pezzi di grandine così grossi. Ripenso al cielo sereno costante e ai 28 gradi dei due mesi e passa di lockdown e nel frattempo una macchina mi ha appena lavato a un incrocio. Non l’ho visto ma giurerei che era un cinese. Ed è in quel momento che sento innescarsi in me un forte processo creativo di arte dell’imprecazione.
Ma poi realizzo di essere finalmente davanti al portone di casa. Così salgo su, mi cambio e provo a stendermi sul letto, a riprendere fiato. Ripenso a tutto ciò che è successo, al grande complotto e bum! Scatto in piedi e manco fossi in una visione della beautiful mind di John Nesh, vedo finalmente tutti i pezzi andare al loro posto e il grande puzzle risolversi.
Ora capisco. Ora è chiaro. Vogliono un mondo nuovo, come quello di Huxley. I ghiacciai, i temporali a giugno, lo sputtanamento globale, il controllo dei social, il virus cinese, il crollo dei mercati, le lobby, i soldi prima, le vite poi. Le vite di quelli che non contano un cazzo. Le vite di chi fugge, degli ignoranti, dei poveri, dei disperati. Che se non lo sei te lo fanno diventare. La grande macchina dalla faccia di porco e dal ghigno derisorio che ti fa essere carnefice di un complotto del quale finisci inesorabilmente per essere vittima.
Mi sento male, mi gira la testa.
Devo tornare a sdraiarmi. Anzi no, mi servono zuccheri.
Mi dirigo verso la credenza, afferro il barattolo, lo apro.
Cazzo, sono finiti i biscotti.