GIAMBATTISTA MARCHETTO | La poesia salverà il mondo? Probabilmente no. Eppure secondo Vasco Mirandola le parole aiutano a vivere meglio.
Dal cabaret di strada a Mediterraneo di Gabriele Salvatores, Premio Oscar nel 1992, dal teatro-danza con Sosta Palmizi al “teatro del silenzio” con interpreti sordi, passando per il teatro comico con Roberto Citran e il teatro musicale con la Piccola Bottega Baltazar, Mirandola è uno di quegli artisti che non puoi definire, perché il suo curriculum è così bizzarro da sfuggire a ogni definizione. E oggi è la poesia il suo focus.
Vasco, dopo il tempo del lockdown si cerca di tornare alla normalità. Come vedi questa possibile normalità?
No, non si torna alla normalità. Ci si avvia verso qualcos’altro che ancora non sappiamo. Niente è come prima, certi disagi si sono acuiti, forse ci sentiamo più fragili, impreparati. Tocchiamo la vita, ma non sappiamo più come reagisce, ci togliamo la mascherina e non sappiamo se la nostra faccia è rimasta uguale. A me sembra veramente che il tempo si sia fermato, non ce lo aspettavamo. Io sono pieno di domande.
Dopo la salute, ora il grande interrogativo è sul ritorno alla vita. Sarà dura? Quanto sarà dura?
Non vorrei passare per pessimista, perché non lo sono mai stato. Resto con il naso a fiutare, cerco di interpretare i segni, sento che se abbraccio ora qualcuno è come se fosse stato via per anni e devo riconquistare tutto quello che ho perso di lui, cercare di decifrare dai suoi occhi cosa ha visto. Perché abbiamo viaggiato tutti in un lungo silenzio, e soli.
Quali possono essere gli impatti della crisi sulle comunità?
Penso che lo vedremo nei mesi a venire. Io sono preoccupato dell’anima, dell’umano, di questo stordimento che ci ha fatto sentire così piccoli, è un dolore che ci porteremo dietro per tanto tempo. Ci unirà o ci allontanerà ancora di più?
#iorestoacasa ha cambiato abitudini e paradigmi. Come rischia di influire sul modello sociale? C’è una poetica dell’isolamento?
C’è chi si è trovato a proprio agio perché ha avuto tempo, tempo per ricostruire, per fermare, per guardarsi dentro, per reinventare, aggiustare. Ma io vivo in un mondo piccolo e anche forse un po’ privilegiato, sento chi è vicino a me.
Ne usciremo migliori? Ne usciremo peggiori? Ne usciremo poetici?
Mi piacerebbe tanto dire migliori, certo diversi ma pensando di essere uguali a prima. La poesia in questo periodo mi ha aiutato molto. Avevo bisogno di parole non da politici, da scienziati, da esperti di ogni cosa; avevo il desiderio di affondare nella delicatezza, nella carezza delle parole, sentirmi coccolato, non impaurito, non allertato, non minacciato.
Quali codici si ripropongono rispetto alle crisi del passato? Cosa è cambiato definitivamente?
Non è mai successa una cosa simile nella storia dell’umanità: il mondo fermo per tre mesi, tutto il mondo! È incredibile, è stato un trauma dell’umanità. Siamo ritornati all’improvviso a dover imparare di nuovo a camminare, a muoverci nel mondo, a prendere un aereo, a salutare un amico, a viaggiare…
Quale peso può avere la crisi sulla cultura e sulla produzione culturale in Italia?
Su questo avevo delle riserve anche prima, c’è da augurarsi di non nascere artisti in Italia, è così umiliante. Per fortuna io adoro il mio lavoro e ho trovato sempre un motivo per continuare questa professione meravigliosa, ecco ho detto la parola professione che qui da noi sembra così strana. Siamo la ruota di scorta del carro, neanche l’ultima. Lo si vede così chiaro anche nei comportamenti di certi nostri politici: la cultura non ci ha nutriti abbastanza. Penso alla scena di Salvini che mangia ciliegie mentre Zaia parla della delicata situazione dei decessi in questo periodo in Veneto, ma che roba è questa? Di che cosa si sono nutrite queste persone e quelli che li seguono? L’arte, la cultura, aggiungo anche l’istruzione, ci insegnano a conoscere, per capire, per rispettare, per unire, per partecipare, per condividere.
Credi che la poesia possa essere un balsamo per le ferite?
Per me lo è. La poesia ti dice: questa ferita è anche la mia, questa gioia è anche tua, il cielo ti risponde, se ci parli, i fiori sono messi lì perché tu possa colorarti gli occhi, le persone sono te in un altro modo. La poesia ti dice che tutto è un dono e ti chiede non di dire ma di chiederti sempre.
Qualcuno suggerisce di investire oggi per un nuovo rinascimento. È possibile secondo te?
Ah, questo sarebbe meraviglioso!
Ricostruire una comunità è una questione culturale ma anche poetica?
C’è una poesia di Patrizia Cavalli che dice «qualcuno mi chiede se la poesia salverà il mondo, io gli rispondo che no, la poesia non salverà il mondo». La poesia, la musica, il teatro, la danza, la letteratura però ci aiutano, ci sostengono, stimolano il cuore e la mente, sono fondamentali per costruire un mondo migliore.
C’è un vecchio detto masai che dice: Un popolo senza cultura è come una zebra senza strisce.
Servono parole nuove, oggi?
Ne servono a sacchi, a montagne, a camionate. Quelle vecchie ci hanno portato a questo, con le parole giuste si dirige il mondo in un posto migliore, ma le parole arrivano dai pensieri, e sono quelli da rigenerare.
Le parole devono ritrovare densità? O leggerezza?
Devono avere la forza di un sasso lanciato contro un vetro per romperlo, e la delicatezza di una porta che si chiude dopo aver augurato buona notte. Devono essere come angeli, padri e madri, sorelle e fratelli, maestri.