ELENA SCOLARI | Quando il caldo della giornata fa sprigionare l’odore di aglio selvatico nell’umidità della sera. Quando la passeggiata nel buio del bosco è illuminata da una luna piena e quasi accecante. In un angolo buio pulsa una lucciola, il suono è il frinire battagliero delle cicale.
Il rientro da Campsirago, il borgo in provincia di Lecco in cui si tiene gran parte del festival Il giardino delle Esperidi organizzato da Campsirago Residenza e diretto da Michele Losi da 16 anni, offre queste perle “paniche”. E tornando verso l’auto si riflette su ciò che si è appena visto.
L’edizione 2020 del Festival (uno dei primi a segnare la ripartenza teatrale dopo il black out da virus) si è intitolata Esperidi on the moon, invitando spettatori e artisti a sentirsi “astronauti del presente”, sollecitati a indagare le nuove forme della fruizione teatrale. Che poi tanto nuove non sono state, a dirla tutta: un poco di distanza in coda e le mascherine alla mano (non sempre indossate) non hanno rivoluzionato lo spirito del vedere spettacoli all’aperto.
In una delle serate siamo volati addirittura sul pianeta rosso con Vieni su Marte di VicoQuartoMazzini; verrebbe da dire un viaggio stralunato e fortemente simbolico: il pianeta è un po’ come l’isola che non c’è e identifica un luogo dove realizzare quello che sulla Terra non sembra più possibile, e la difficoltà più profonda sembra essere quella di dare respiro alle emozioni, alla commozione. Gabriele Paolocà, bravo, sempre bravo e qui particolarmente “rotondo” nelle capacità di interpretazione e nell’uso di corpo e movimento, è un marziano vero, senza padre né madre (su Marte non usa avere genitori) che passa la giornata a disegnare stelle, stelle binarie, ammassi di stelle… Ed è in terapia presso uno psicanalista napoletano (Michele Altamura, disincantato e turbato quanto basta) che prende appunti, su un taccuino rosso, sui suoi progressi emozionali.

Foto Francesco Tassara

I marziani siamo noi, metafora quasi scontata, e siamo noi a non essere più capaci di trovare le stelle sul nostro pianeta.
Oggi, 8 luglio 2020, la sonda Mars Express scopre su Marte un ghiacciaio del diametro di 82 km ma ancora nessuna forma di vita, nello spettacolo incontriamo invece coppie tanto vive quanto bizzarre: un professore spedito a insegnare fuori sede che più fuori non si può, in un paesino marziano; due sorelle che vogliono abbandonare la Terra perché in lite con i genitori; due cattivi ragazzi di provincia che assistono all’esodo dei negri su Marte; una vecchia vedova – il cui marito ha espresso il desiderio di essere sepolto su Marte – insieme a un attore barbone che sogna di mettere in scena Thomas Bernhard su Marte perché forse lì sarà compreso e potrà costruire un teatro.
Tutte le coppie hanno un che di assurdo, non è ben chiaro perché parlino secondo vari dialetti italiani regionali ma è una nota che dà loro molta umanità e li rende più personaggi, teatralmente parlando. Sono figure, caratteri. C’è qualcosa che non convince fino in fondo ed è la cornice in cui questa carrellata è inserita: un’azienda privata inventò nel 2012 un progetto fantasioso che prevedeva di raccogliere adesioni a una potenziale colonia su Marte in viaggio di sola andata, sono stati raccolti più di 200.000 video inviati da aspiranti marziani. Alcuni di questi sono proiettati su un telo di tulle bianco che fa da velo alla scena. Ecco, i video – che intervallano le sequenze recitate e servono anche (troppo?) a coprire i cambi scena – non si amalgamano con il tono profondamente caldo del disegno dei personaggi, si ha la sensazione di un manto moderno che depotenzia il temperamento franco e rappresentativo delle coppie in scena. Le meglio riuscite sono la vecchia che sale faticosamente la scale del praticabile con la bara del marito in spalla, in dialogo spiazzante con l’attore clochard e il marziano stranito dalle cure dello psicanalista.

ph. Francesco Tassara

Oggi Elon Musk promette di portare 80.000 umani sul pianeta rosso già l’anno prossimo, Vico Quarto vuole rimanere sulla Terra, Vieni su Marte vuole rappresentare l’insopprimibile desiderio di ricerca e il costante senso di mancanza che spinge l’uomo a muoversi, a indagare, anche tra squallidi rifiuti.

Quest’anno il Giardino ha presentato vari lavori in fase ancora preparatoria, frutto del lavoro distanziato portato avanti durante i mesi di lockdown. Assai terrestri sono le tre attrici di Residenza Qui e Ora: nello studio di Tre – quanto vale un essere umano c’è molta autoironia, c’è spirito, c’è un interessante distacco, anche sfacciato, delle tre donne che spregiudicatamente mettono in ridicolo la pochezza di molte delle abitudini di tutti noi (di noi che viviamo in paesi ricchi, almeno, e possiamo di queste cose preoccuparci) straordinariamente vuote e superficiali.
Francesca Albanese, Silvia Baldini e Laura Valli sono disinvolte, divertenti, impertinenti. Sedicenti ballerine che per prime non credono a questa definizione. L’impianto complessivo del lavoro è costruito su una tesi: la mostra di cliché fatui (il valore della gioventù in sé, l’idolatria per il corpo, la frivolezza cui sembra essere condannato il mondo dello spettacolo per cui uno sciocco balletto diventa un “classico” superpagato se a farlo sono Heather Parisi o Lorella Cuccarini); la messa alla berlina di questi stessi luoghi comuni è l’antitesi, ma quello che manca è la sintesi. Qual è il passo successivo? Se tutti possiamo concordare sugli assunti e sulla friabilità dei gesti leggeri che ci muovono, il testo non arriva a esprimere il precipitato di questa analisi.

Quanto vale un essere umano? è un interrogativo ambizioso, presuppone di affondare in ciò che dovrebbe essere l’essenza di una persona, dovrebbe scavare per trovare il nocciolo umano che ci contraddistingue: il pensiero e la sua quotidiana applicazione per condursi nella vita. Per ora, invece, in questa forma ancora in fieri dello spettacolo, ci si ferma prima di questo scandaglio. Il lavoro si chiude proprio quando la drammaturgia ironicamente danzata di Tre comincia ad affermare che oltre alle produzioni “organiche” dei nostri corpi (umori, unghie, capelli, scorie varie) uomini e donne producono anche idee. Certo! E questo è ciò che ci rende esseri in continua evoluzione, lo sviluppo dello studio potrebbe proseguire coerentemente su questa linea percorrendo una via non solo divertita e magari anche più amara.
Il consueto stile scanzonato di Silvia Gribaudi (che firma la regia insieme a Matteo Maffesanti) si confà alle tre interpreti, per niente convenzionali, la collaborazione con Marta Dalla Via alza il coefficiente di salace cinismo e far ballare il tormentone latino  Mueve la colita (Muovi la coda) di El Gato Dj diverte, senza dubbio, ma la zampata è data ancora molto suavecito.

 

VIENI SU MARTE

uno spettacolo di Vico Quarto Mazzini
diretto e interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
light design Daniele Passeri
costumi Lilian Indraccolo
riprese e editing video Raffaele Fiorella, Fabrizio Centonze
tecnica Stefano Rolla
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti
con il sostegno di Officina Teatro, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro, Kilowatt Festival
Con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”

TRE – Quanto vale un essere umano

ricerca materiali Francesca Albanese, Silvia Baldini, Silvia Gribaudi, Laura Valli
con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Laura Valli
regia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti
collaborazione drammaturgica Marta Dalla Via
produzione Qui e Ora Residenza Teatrale e Zebra
con il sostegno del MIBACT