IL REALISMO ORTOFRUTTICOLO
di Federico Avenoso
Foto Federico Avenoso
Mio nonno mi diceva sempre: vedi Franceschino, nella vita è sempre meglio essere ottimisti.
Al tempo non sapevo mai cosa rispondergli. Rimanevo in silenzio, al limite annuivo e poi mi allontanavo da quel suo sorriso un po’ bonario e un po’ beffardo; ma adesso, dopo lunghi anni di sfiancanti riflessioni, sono giunto ad una conclusione. Forse giusto un pelo fuori tempo massimo, perché la buon’anima ci ha lasciati da diec’anni e non potrà mai sapere come la penso. E cioè: col cazzo, nonno. Non c’è niente da stare ottimisti. Ho passato tutte le estati della mia infanzia a raccogliere i fagiolini nel tuo orto di merda, e questo è bastato ad insegnarmi che il mondo non è un bel posto dove vivere! Ma se da bambino mi accontentavo di aver maturato questa consapevolezza, nelle lunghe ore trascorse rannicchiato tra i ranuncoli a gettare le fondamenta del mio mal di schiena, crescendo mi sono accorto che non mi bastava più. Mi sono accorto che volevo dare una solidità filosofica al mio pensiero, e allora eccoci qui. Questa sera ho deciso di prendermi qualche minuto del vostro tempo per raccontarvi le mie conclusioni, per chiedervi di diventare per un po’, tutti quanti, i miei nonni adottivi. Un po’ strano? Può darsi, ma vi chiedo se possibile di assecondare la mia perversione. Se è tutto chiaro scatarrate per terra. Perfetto, grazie.
Allora, cominciamo: l’ottimismo non ha senso. Pensateci, basta risalire alla definizione del termine: l’ottimismo è la concezione per la quale nell’universo tutto volge al meglio. Si tratta di un’idea del tutto priva di fondamento! E lo stesso vale per il pessimismo, eh. Come si può affermare che le cose vadano in una direzione stabilita a priori e sovradeterminata da chissà chi? Non si può! Non ci sono gli elementi. Per questo motivo, negli anni sono arrivato a fondare una mia personale scuola di pensiero, che ho deciso di chiamare “realismo ortofrutticolo”, in omaggio al mio trauma infantile. Il realismo ortofrutticolo si basa su un’unica considerazione fondamentale: per quanto ci prendiamo cura delle nostre zucchine, non è detto che il raccolto sia buono: una grandinata potrebbe trucidarle. Non è particolarmente incoraggiante, vero? Verissimo. E questo per me è il motivo per cui sentiamo il bisogno di raccontarci la favoletta che tutto vada per natura nella direzione giusta, che quest’anno il tempo sarà clemente e che noi dobbiamo solo crederci più forte che possiamo e aspettare. Ma è un’idea devastante! Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma mi sa che nella storia gli ottimisti per partito preso hanno fatto più danni pure della chiesa cattolica. O dell’acaro del carciofo.
D’altra parte capisco anche che concepirci unicamente come schegge di materia scagliate casualmente nel mondo non sia particolarmente piacevole. Come anche constatare che un individuo su sette miliardi non può fare chissà quale differenza. Però sapete cosa? Il fatto che siamo piccoli per me non basta come scusa. Perché è vero che siamo in balìa del caos, ma è vero anche che non dobbiamo per forza arrenderci all’incessante avanzata delle erbacce. Da bambino ho passato molte ore ad estirparle sotto il sole di agosto, e nonostante la cosa mi facesse venire voglia di morire, ero anche consapevole dell’importanza del mio operato nell’economia dell’orto. Sì, mio nonno mi aveva fatto il lavaggio del cervello. Sì, può darsi che si trattasse di una forma amorevole di sfruttamento minorile, ma non è di questo che stiamo parlando! Il mio punto è un altro, e cioè: anche se siamo piccoli, perché non provarci? Perché non chiedersi, realisticamente, se si può fare qualcosa per il mondo? Certo, la tentazione di fregarsene, di godersela più che si può e crepare a ottant’anni con un cetriolo su per il culo è forte. Fortissima! Ah, per lei non lo è? Eh vabbè signora, ognuno c’ha i suoi hobby, non mi guardi così.
Io credo che nel momento in cui veniamo al mondo abbiamo una responsabilità; un po’ come il peccato originale, o il debito pubblico, a seconda di quello in cui credete. Insomma, abbiamo tutti una mansione nel grande orto della vita, dobbiamo occuparci della nostra piccola piantina di melanzane, coglierne i frutti prima che diventino troppo ingombranti. Solo che a noi le responsabilità non piacciono, preferiamo far finta di niente, e a quel punto è un macello. Perché è come se questi sette miliardi di piantine di melanzana ignorate, questo ammasso di prese di responsabilità mancate, andassero a sommarsi in un’unica gigantesca melanzana suprema, che ballonzola minacciosamente nell’alto dei cieli. La suddetta melanzana, senza nessuno che la tenga d’occhio, finisce inevitabilmente per abbattersi sulla Terra con una serie incessante di mazzate, e il risultato è disastroso.
Vi capita mai di pensare che il mondo stia andando a puttane? C’è qualcuno che si ingozza e qualcuno che fa la fame; sfruttiamo le risorse naturali senza pensare al domani; ci stupiamo di scoprire che il pianeta è sempre più inquinato ma ci ostiniamo ad utilizzarlo per pulirci il culo; i monologhi comici diventano sempre più retorici e nessuno fa nulla per impedirlo! E di chi è la colpa? Della melanzana suprema!
Qui non è questione di vedere solo il lato marcio della mela. La questione è che se andiamo avanti così la mela sarà tutta marcia nel giro di pochi anni. C’è bisogno che cominciamo a prenderci le nostre responsabilità. Che cominci a prendertele tu, ad esempio. E tu! E io! E anche lei signora, e metta via quel cetriolo perché non è il momento. Lo sapevo che piaceva pure a lei! Mentirosa!
Intendiamoci, non voglio dire che ognuno di noi debba farsi carico da solo di tutti i problemi del mondo. Sarebbe impossibile e controproducente. Quello che ognuno di noi può fare è “prendersi cura del proprio orticello”. Chi ha coniato questa espressione dal mio punto di vista ha completamente travisato l’esperienza agricola: prendersi cura del proprio orticello non significa curare esclusivamente i propri affari. Significa occuparsi del proprio pezzetto di mondo. Perché la verdura, non dimenticatelo mai, è un atto d’amore. Bonduelle, nelle case degli italiani dal 1954.
Comunque, sono consapevole che anche con tutta la buona volontà di questo mondo non è detto che ce la facciamo, perché la Terra è un posto freddo infame e triste che del nostro impegno non se ne fa nulla. E qui arriviamo alle note dolenti: la melanzana suprema può essere ammansita solo se tutti facciamo la nostra parte, e anche in quel caso le cose potrebbero finire male. Insomma, il rischio di scoraggiarsi è molto alto. D’altra parte l’avevamo detto fin dall’inizio: la grandine potrebbe cadere comunque. E allora che possiamo fare?
Io non lo so. Non ho una via di fuga pronta, un argomento abbastanza forte da impedirci di soccombere al meteo avverso. So solo una cosa: che alla fine dell’estate in un modo o nell’altro l’orto di mio nonno ne usciva sempre vittorioso, per cui può anche darsi che avesse un po’ ragione lui. Può essere che ci avesse visto giusto: alla fine nella vita è sempre meglio essere ottimisti.