ANTONIO CRETELLA | Tra i miti fondativi delle mafie diffusi per rendere più accettabile la presenza di un antistato tanto invasivo e pervasivo, vi era quello, tuttora duro a morire nonostante sia stato più e più volte contraddetto dai fatti, secondo cui le mafie non toccano donne e bambini. Derivato diretto del codice d’onore cavalleresco medievale, la presunta intoccabilità di donne e bambini si inserisce perfettamente nel quadro di una moralità familistica che si ammanta di finalità vagamente etiche come la protezione dei deboli, ma nel macroscopico paradosso vivente rappresentato dalla mentalità familistica donne e bambini sono contemporaneamente oggetto di protezione possessiva quanto di vendetta trasversale, altro elemento imprescindibile del tribalismo consuetudinario dell’antistato contrapposto al diritto dello Stato. Come elemento di una costruzione culturale che si estende ben oltre le mafie e vi preesiste, il doppio legame nei confronti dell’infanzia è ben presente e diffuso nella mentalità comune, spesso modellata da un occulto “pensiero mafioso” che ne informa le categorie di giudizio: da un lato una visione ottocentesca, angelicata del fanciullo come epitome dell’innocenza, la cui protezione è sbandierata come esigenza precipua anche e soprattutto dai più biechi e ipocriti conformisti (“i bambini, chi pensa ai bambini?”, amava gridare la bigotta Maude Flanders de I Simpson); dall’altro i figli come strumento di propaganda, elemento per la costruzione dell’immagine del pater familias tanto cara a certo elettorato, ma anche oggetto di ludibrio per colpire gli avversari. Ne consegue la schizofrenica abitudine di esporre la prole come trofeo, di lasciar trapelare ad arte scenari d’intimità familiare tra giochi d’acqua e merendine dozzinali, salvo poi rivendicare il diritto alla privacy, denunciare la malevola invadenza dei media o criticare l’avversario politico che agisca nello stesso identico modo, giocando sui sempre fecondi quanto falsi miti della maternità e della paternità come garanti di rettitudine e bontà d’animo.
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