PAOLA ABENAVOLI | Se già lo scorso anno, con il grande successo de Il sindaco del rione sanità di Mario Martone, si era dato spazio a un rinnovato legame tra cinema e teatro, il programma della Mostra del cinema di Venezia 2020 va anche oltre, proponendo, in diverse sezioni, ma soprattutto nelle Giornate degli autori (sezione quest’anno dedicata proprio all’incontro tra le varie arti), uno sguardo sul teatro che incontra il cinema. E lo fa, inserendo nel concorso principale, per la seconda volta, un’opera di Emma Dante, che porta sul grande schermo Le sorelle Macaluso; mentre, proprio nella Giornate degli autori, arrivano Rezza-Mastrella (anche per loro un ritorno alla Mostra, dove debuttarono nel lungometraggio con Escoriandoli), già vincitori del premio Biennale Teatro, che propongono Samp. Senza contare The new gospel, atteso “film teatrale”, che Milo Rau ha girato lo scorso anno anche tra i Sassi di Matera, o 50 Santarcangelo, dedicato al Festival.
Non casuale, dunque, questo incontro: tuttavia, interessante, da analizzare e da comprendere.
Più dell’attenzione del teatro nei confronti del cinema, già presente da tempo, anche nell’utilizzo delle video-proiezioni nonché nella interazione con la video-arte, è interessante proprio questa attenzione del cinema nei confronti del teatro, questo scambio tra autori, attori e soprattutto testi che hanno già passato la prova del palcoscenico. Usato sicuro? No, quasi mai almeno, visto che si tratta, nella maggior parte dei casi, di versioni che non si limitano a un passaggio da un mezzo di fruizione all’altro, ma sanno ben calibrare i diversi linguaggi, adeguando messinscena e sceneggiatura, padroneggiando gli strumenti tecnici e utilizzandoli in funzione di un racconto che può anche diventare altro, rispetto all’originale. È il caso della Dante (che già aveva affrontato il grande schermo con Via Castellana Bandiera), ma soprattutto di Martone, raro esempio di capacità di innovare ed esprimersi al meglio in entrambi i settori, portando al cinema proprie opere e “sfruttando” pienamente la macchina da presa, restando fedele comunque a una visione propria, del testo e stilistica. E può “permettersi” di guardare alla lezione di Eduardo senza minimamente abbandonarla, riproponendo quelle parole che restano ancora intatte nella loro forza, trasponendole ai giorni nostri, e dimostrandone l’attualità (non rendendolo attuale, come invece si è detto: Eduardo è attuale, è universale già di per sé).
C’è chi poi proviene dal teatro ma si è sempre, contemporaneamente, confrontato con originalità anche con il cinema, come Rezza-Mastrella, che utilizzano questo strumento sempre con il proprio stile, ma non riproponendo i propri spettacoli, bensì intessendo altro, comunque non venendo meno alla propria carica corrosiva e surreale.
E ancora, il cinema guarda all’esempio del teatro sociale, di quanto il teatro ha saputo realizzare in questo contesto, mentre la Settima arte a volte stenta a rinverdire i fasti del passato: e allora celebra queste esperienze, celebra soprattutto storie importanti, di lunga durata, di scuole teatrali, di linee di pensiero che oggi il cinema sembra avere perso.
E poi gli attori: sempre più il cinema guarda al teatro, da dove sta attingendo il meglio del panorama attuale, soprattutto tra i giovani. Pensiamo all’esempio di Lino Guanciale, conteso tra le serie tv, sia mainstream che maggiormente innovative, ma esempio di quella nuova generazione formatasi sulle tavole del palcoscenico, dove il loro talento esplode con grande forza, stupendo quasi chi è abituato a vederli in altri contesti (in cui comunque mostrano di essere interpreti di alto livello). Stesso discorso vale per Peppino Mazzotta, dal Fazio di Montalbano ad autentica forza della natura in spettacoli come Radio Argo, per Paolo Mazzarelli, protagonista anche di film internazionali (come una commedia britannica entrata nella top 10 mondiale di Netflix) e interprete e autore tra i più innovativi della scena contemporanea; e tanti altri se ne potrebbero citare. In un passaggio tra cinema, tv e teatro che nel tempo è stato sempre – fin dall’epoca dei primi sceneggiati – guardato con sospetto, ma che in realtà riflette la capacità di attingere ai migliori talenti esistenti oggi, che, quando sono tali, sanno esprimersi in qualsiasi campo, al di là di steccati o confini antichi e nonostante qualcuno storca ancora il naso.
L’esempio maggiore è, naturalmente, quello di Toni Servillo, che forse ha sancito questo ritorno, questo scambio tra arti che dovrebbe esserci sempre. Come peraltro ha dimostrato il più grande, proprio Eduardo De Filippo, che considerava ironicamente la televisione un elettrodomestico, ma che per la televisione ha firmato i migliori adattamenti teatrali, adeguando le proprie commedie a un linguaggio “altro” e facendo entrare il telespettatore in scena, pur mettendo in luce chiaramente la quarta parete, non abbattendola mai, mantenendo la scena e soprattutto il sipario.
Ecco, forse la commistione tra arti, l’incontro tra essi, nasce da un’attenzione reciproca, ma che, nel caso del cinema è sempre più desiderio di incontro, di verifica di nuovi strumenti, nuove potenzialità. E, probabilmente, necessità di trovare nuovi temi, anche attingendo ai classici e rivisitandoli, di trovare nuovi stimoli, in regie che uniscano differenti visioni, di trovare nuova linfa in un’unione, in una sinergia di arti, appunto, che può dare, se ben calibrata, interessanti frutti.