LAURA BEVIONE | C’è tempo fino al 15 settembre per presentare le proprie candidature al Cross Award, il premio internazionale di arti performative ideato da Tommaso Sacchi e giunto alla sua sesta edizione. Il bando si rivolge a opere prime nell’ambito delle arti dello spettacolo dal vivo – danza, teatro, musica – con la finalità di «stimolare l’indagine e l’espressione artistica relative all’unione di stili e generi differenti, valutando come fattori premianti le pratiche multi-linguaggio e la commistione di tecniche e codici».
La giuria di esperti, presieduta quest’anno dall’architetto Italo Rota, individuerà cinque progetti che, a partire da gennaio 2021, potranno essere sviluppati in un periodo di residenza a Verbania – in spazi quali Casa Ceretti, Villa Giulia, il teatro Il Maggiore – durante il quale gli artisti avranno l’opportunità di confrontarsi con tutor selezionati dall’organizzazione del Cross Award. A termine della residenza, è prevista una restituzione da mostrare ovviamente al tutor ma anche alla giuria territoriale – composta da curiosi e appassionati che hanno seguito un percorso di formazione e avvicinamento ai linguaggi della performance – ed eventualmente a un pubblico ristretto.
Il lavoro completo, invece, sarà inserito nel cartellone del Cross Festival 2021 così come nel piano di attività della Fondazione Piemonte dal Vivo e della Lavanderia a Vapore di Collegno (TO).
Abbiamo avuto l’opportunità di dialogare con il fondatore del Cross Award, Tommaso Sacchi che, oltre che ideatore e curatore del CROSS International Performance Award, è assessore alla cultura, la moda e il design del comune di Firenze, presidente della Fondazione Teatro della Toscana / Teatro della Pergola e del museo Stibbert.
Su quali presupposti e quali aspettative si è sviluppata la sua idea di fondare il Cross Award?
Circa sette anni fa insieme ad Antonella Cirigliano ci trovammo per ragionare sul rapporto paradossalmente inesistente tra il territorio del lago Maggiore e le pratiche del contemporaneo. Il lago, con le sue tante architetture, con i tanti spazi civici e con il suo magnifico paesaggio è territorio ideale per la generazione di nuovi progetti nel campo delle arti contemporanee ma, purtroppo, per troppi anni non si è investito (in termini economici e di idee) in questa direzione. Così lanciai l’idea di colmare un pezzetto di questo vuoto attraverso la creazione di spazi per residenze d’artista proprio all’interno di questa rete di ville e luoghi di fascino sottoutilizzati. Un’idea raccolta da Sindaca e Assessore alla Cultura, che hanno deciso allora di aprire le porte al premio e agli artisti in residenza e, così, è nato Cross.
Nelle varie edizioni del bando, ha potuto individuare fili rossi, umori, sensibilità ricorrenti?
C’è una propensione ricorrente a occuparsi di temi come ambiente e rapporto con il digitale. Un trend comprensibile e condivisibile visto il momento difficile che stiamo attraversando. Non parlo solo di Coronavirus ma anche di un necessario nuovo patto tra uomo e ambiente che lo circonda: la pandemia ha fortemente marcato questa necessità. Gli artisti possono essere i soggetti che più di tanti altri evidenziano le urgenze del nostro vivere quotidiano, ne sottolineano i paradossi.
E poi il digitale: croce e delizia delle arti, del nostro vivere il momento culturale, oggi. Mi piacerebbe molto leggere e sostenere un progetto artistico convincente che possa evidenziare questo scarto tra fisicità e virtualità senza scadere semplicemente nel giudizio negativo verso i media digitali. Oramai fanno parte della nostra vita e per tanto vanno usati, interpretati, conoscendone i limiti.
Come giudica il panorama contemporaneo delle arti performative in Italia?
Per chi, come me, è cresciuto inseguendo sempre una cultura “dal vivo” questo momento è drammatico. Sono sei mesi che non vivo uno spettacolo, che non partecipo a una performance come mi piacerebbe. Le giuste limitazioni per il contenimento del rischio sanitario hanno necessariamente sottratto un pezzetto della magia dell’azione sulla scena. Questa menomazione dettata dal nostro tempo è sensibile a tutti i livelli artistici.
In questi mesi non ho mai smesso però di frequentare – digitalmente e de visu – gli artisti con i quali sono in contatto maggiore e devo dire che sento una fortissima voglia di rilanciare, di generare nuovi progetti, di scrivere e progettare. Questo mi fa ben sperare per il futuro, anche quello più prossimo.
L’emergenza Covid-19, in effetti. ha avuto conseguenze esiziali sulle arti performative: secondo lei, quali azioni, da parte degli enti pubblici come da parte di privati, potrebbero aiutarne la ripresa?
É stato ed è un momento difficilissimo. Come amministratore pubblico, in questi mesi, ho parlato con centinaia di operatori culturali, di artisti e di rappresentanti delle istituzioni e ho sentito spesso voci comprensibilmente disperate. Ho deciso di non stare a guardare e di non rassegnarmi a nessuna forma di fatalismo. Con Ministero, Regione e colleghi degli altri Comuni capoluogo abbiamo creato un tavolo permanente che ha dato frutti importanti. A Firenze abbiamo istituito un fondo di emergenza per i nostri operatori. Tra aziende partecipate, fondazione di origine bancaria ed enti pubblici abbiamo costituito una cordata che ha messo a disposizione due milioni e seicentomila euro per la cultura. Sono convinto che, tutti insieme, ne usciremo.