RENZO FRANCABANDERA | Un festival vivo e partecipato, Opera Prima, che abbiamo iniziato a testimoniare e dove abbiamo vissuto l’incontro quotidiano con la pratica dell’arte e il dialogo fra gli artisti e chi fruisce.

Il weekend nella giornata di sabato ha visto in scena Caligola la nuova produzione del Teatro del Carretto, firmata per la prima volta da Jonathan Bertolai, già assistente alla regia di Maria Grazia Cipriani, artista della Compagnia fin dal 2006 e dal 2018 anche suo presidente. Un atto di coraggio della compagnia che offre la possibilità di un altro codice interno, nato evidentemente nella pratica artistica del gruppo di lavoro ma capace di sviluppare una autonomia di linguaggio che comunque prospetta la possibilità per il gruppo di lavoro di una auspicabile coesistenza fra un sentimento registico di lungo corso e una pratica nuova, altra, che porta altra linfa.

Foto Loris Slaviero

Il progetto, liberamente ispirato a Caligola di Albert Camus, è nato nella primavera 2019, da alcuni appunti di lavoro di Ian Gualdani, che ne è interprete sotto la guida di Bertolai e dentro una macchina scenica assai composita, di rimandi a codici dell’arte contemporanea leggibili nei riferimenti ai grandi artisti della visual art, come Bill Viola, e che si avvale della pregevole collaborazione al suono di Hubert Westkemper e alle luci di Orlando Bolognesi.
Nell’allestimento, invero, il testo di Camus quasi scompare, per lasciare spazio a una azione molto fisica e affidata all’esuberanza di Gualdani, attore che rimanda alla fisicità performativa della nuova teatralità: un cyber-espressionismo quasi ginnico, costretto dentro una bardatura fisica che, pur preservando la corporeità quasi nuda, staturaria, da San Sebastiano, vive una narrazione del personaggio di spasmi e psicosi agite nel fisico.

Foto Loris Slaviero

Si tratta sicuramente di una composizione scenica elaborata, in cui confluiscono, come detto, stimoli e suggestioni diverse, ma che l’amalgama dello spazio teatrale prova a rendere coerenti.
Nello spazio piccolo e buio delimitato da un recinto di luci neon verticali e da monitor a fondo scena e in proscenio, l’impatto sovrastante del suono, delle immagini, dell’azione corporea sul fatto drammaturgico, se da un lato spiazza completamente rispetto all’ipotetica aspettativa sulla messa in scena del testo di Camus, dall’altro propone una lettura di physical theater sfidante e a suo modo originale. Si crea un riverbero fra l’azione dell’attore e il video che ne rappresenta, sul fondo, una proiezione psicologica, ora muta, ora parlante. Lo vediamo prima cercare di mettersi al mondo, di riportare in vita la statua del personaggio che fu, per poi cercare di addomesticare la sua malattia, la sua luna, per poi soccombervi. Lo spettatore viene travolto dalla dimensione angosciata e violenta di un soggetto fragile, dal sembiante efebico, ma capace di scatenare forze nere e psicotiche, in un delirio di solitudine ben sostenuto sia dalla pregevole e mai banale composizione sonora, che dai toni luminosi. Ci mette a confronto con un duale che non riconosciamo solo in scena ma che sentiamo essere specchio delle nostre inquietudini.
Seppure con qualche segno perfettibile nella componente video e nel rapporto fra gesto e ritmo assoluto della creazione, l’opera prima di Bertolai ha i connotati non solo dell’operazione coraggiosa ma anche del prodotto creativo tutt’altro che banale; è giusto attendersi nuove prossime manifestazioni che fortifichino, con la pratica, un’intenzione artistica che è molto bello che il Teatro del Carretto abbia deciso di sostenere.

Ci spostiamo per la seconda parte della serata al Chiostro degli Olivetani per Stay hungry, di e con Angelo Campolo, attore e formatore siciliano di scuola Piccolo Teatro di Milano e finalista al premio Ubu 2016 come miglior attore under 35. Fondatore e direttore artistico della compagnia DAF, negli anni ha ideato e diretto numerosi progetti teatrali. DAF è attiva su diversi fronti come quello dell’integrazione dei migranti e la loro formazione, oltre che nel teatro che incontra la società.

Foto Loris Slaviero

La compilazione di un ennesimo bando a tema sociale diventa il pretesto per il racconto dell‘avventura di Angelo, impegnato in un percorso di ricerca teatrale nei centri di accoglienza in riva allo stretto e che richiama nel titolo il monito di Steve Jobs, “Stay Hungry“, che suona però beffardo e grottesto per queste vite schiacciate fra destino, povertà e burocrazia.

Come noto il contesto delle azioni artistico/sociali legate all’integrazione dei migranti è sovente regolamentato da bandi che mirano a raggiungere, anche attraverso l’arte, obiettivi di miglioramento sociale. Sono bandi che spesso trasformano l’iniziativa artistica in vera e propria via crucis, costringendo gli artisti a peripezie tanto artistiche quanto amministrative.
Dopo anni di laboratori con i migranti nei centri di accoglienza fra Sicilia e Calabria, Campolo trae spunto dalla sua vicenda personale per un lavoro che, sotto forma di monologo, mette in scena tutte le vicende legate alla partecipazione al bando, dall’incontro con i ragazzi, al loro coinvolgimento, alla condivisione delle questioni profonde delle loro vite; cose che si scontrano con la sorda burocrazia, oltre che con una realtà sociale composita e disgregata incapace di profonda accoglienza.
Il monologo, intervallato da inserti video, affida a Campolo un dialogo ora con presenze immaginarie ora con il pubblico in sala, in una azione ben ritmata e in un incedere narrativo che si sviluppa quasi secondo le linee guida del bando, spulciando gli argomenti alla ricerca del paradosso. Ne risulta uno spettacolo interessante che ha già riscosso numerosi riscontri e che merita di girare. Il testo è bello e, anche se talvolta affiora un’enfasi gestuale eccessiva, l’interpretazione è coerente con il proposito artistico, che infatti viene raggiunto, interessando profondamente la platea senza cadere mai nella retorica pelosa.
Che strano anche questo straniero in patria, che attraverso le vite di altri strianieri, ci strania e ci fa capire come facilmente ci si possa sentire estranei dappertutto, disgiunti da qualsiasi cosa, quando quello che hai alle spalle è passato  e il futuro non arriva a dar fiato.

CALIGOLA

regia e drammaturgia Jonathan Bertolai
suono Hubert Westkemper
luci Orlando Bolognesi
con Ian Gualdani
fonico Luca Contini
elementi scenici Rosanna Monti
scenotecnica Giacomo Pecchia
realizzazione video Diego Granzetti, Giovanni Adorni
produzione TEATRO DEL CARRETTO Lucca

prima nazionale
durata 60‘

STAY HUNGRY
indagine di un affamato

di e con Angelo Campolo
ideazione scenica Giulia Drogo
produzione DAF Teatro dell’esatta fantasia
Premio In-Box 2020, spettacolo vincitore del Nolo Fringe Festival Milano 2019

durata 60’
Bando opera prima