LAURA BEVIONE | Toccare, verbo immediatamente legato alla fisicità e alla materialità di corpi e oggetti, tanto più se riferito a uno spettacolo di danza contemporanea. Ma sappiamo che con Cristina Kristal Rizzo le cose non sono mai così semplici come appaiono e le coreografie dell’artista toscana sono sempre frutto di approfondite ricerche e riflessioni che si traducono poi in gesti densi e pregnanti.
E se in alcuni lavori precedenti tale ricerca a tratti debordava in un certo intellettualismo, nel nuovo spettacolo, Toccare – The White Dance – in prima nazionale al festival Torinodanza e poi a MilanOltre – Rizzo raggiunge rigore e misura, creando una coreografia serrata e armoniosa, non artatamente complessa e acutamente interrogativa.

Il lavoro nasce e si sviluppa in perfetta simbiosi con la riscrittura musicale di alcune delle settecentesche Pièces de clavecin di Jean-Philippe Rameau realizzata dal maestro Ruggero Laganà, anche in scena per suonare l’imponente clavicembalo che, insieme alle percussioni padroneggiate da Elio Marchesini e alla postazione della flautista Antonella Bini, occupa  la parte posteriore di un palco spoglio – abolite anche le quinte – se non per un cartellone sviluppato in verticale che riproduce un’immagine dello Shard (scheggia), il famoso grattacielo londinese progettato da Renzo Piano.

Foto di Andrea Macchia

Lo spazio vuole essere riempito in primo luogo dalla danza dei cinque performer – compresa la stessa Rizzo, che si inserisce in un secondo tempo – e dal dialogo intessuto con la musica, con cui la coreografia condivide simmetria e ripetitività, ipnotica regolarità e sinuosa leggerezza.
In alcuni frangenti i danzatori, a turno, mostrano al pubblico lo schermo di un cellulare, illuminato da un salva-schermo che si intuisce appena ma, d’altronde, ciò che importa non è tanto individuare l’immagine prescelta da ciascun interprete, quanto almeno temporaneamente resistere a quell’ipnotica consuetudine a controllare costantemente il proprio cellulare che sovente ci impedisce di guardare realmente ciò che accade attorno a noi.

Foto di Andrea Macchia

E ciò che avviene in scena merita davvero la nostra partecipata attenzione: un fluido susseguirsi di azioni corali e di, più frequenti, passi a due e assoli, che scivolano quasi senza soluzione di continuità l’uno nell’altro, scrivendo una meditazione coerente e omogenea, nella quale non stridono i cambi di abito – ma la dualità bianco e nero è sempre rispettata, pur con la fugace comparsa di lunghi guanti rossi – e l’avvicendarsi dei performer.
La costante e precisa ripetitività della musica, la sua morbida e quasi rassicurante razionalità, sono chiosate da una coreografia che bandisce frenesia e accelerazione, disarmonia e contrasto, a favore, invece, di una curiosa e rispettosa esplorazione di sé stessi e dell’altro, compiuta ricorrendo a movimenti ampi e liquidi e non trascurando nessuna parte del proprio corpo, compreso il viso, del quale sono esperite le differenti possibili espressioni e modificazioni.

Foto Andrea Macchia

Una danza sinuosa che mira a “toccare” la realtà in cui siamo immersi e che comprende in primo luogo il nostro stesso corpo: un’aspirazione alla conoscenza che unisce razionalità e intuizione, tatto e sentimento, in una sorta di concreta meditazione sulle nostre modalità di porci in relazione con quanto è dentro e fuori di noi, per scoprire alfine, forse, che la consistenza vera della realtà è fisicamente inattingibile eppure emozionalmente pervasiva.

Non è dunque un caso che la seconda parte del titolo dello spettacolo di Cristina Rizzo – magistralmente danzato – faccia riferimento non soltanto all’eponimo album inciso dai Beatles dopo un soggiorno in India, ma pure all’espressione Ballet Blanc, utilizzata per qualificare quella sezione del balletto in cui compaiono creature diafane e immateriali, con costume bianco. Ecco, Rizzo e i suoi performer riescono a essere allo stesso tempo evanescenti quali spiriti e tangibilmente tridimensionali, fantasmi e uomini e donne in carne e ossa, convincendoci così dell’inanità di antitesi assodate quali quella fra corpo e spirito.   

TOCCARE – THE WHITE DANCE

coreografia Cristina Kristal Rizzo
light design e direzione tecnica Gianni Staropoli
costumi Boboutic ss20
musiche Pièces de clavecin di Jean-Philippe Rameau
trascritte da Ruggero Laganà
direzione musicale e clavicembalo Ruggero Laganà
flauto Antonella Bini
percussioni Elio Marchesini
danzatori Annamaria Ajmone, Jari Boldrini, Sara Sguotti, Kenji Paisley-Hortensia, Cristina Kristal Rizzo
produzione TIR Danza, in collaborazione con Milanoltre, Torinodanza Festival, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Teatro Carignano, Torino
14 settembre 2020