RENZO FRANCABANDERA | Parte oggi la stagione di Marche Teatro, una delle realtà più importanti della circuitazione e della produzione per molte realtà indipendenti in Italia, anche grazie alla presenza illuminata di una direttrice come Velia Papa, da decenni presente a livello europeo nella progettazione e divulgazione dello spettacolo dal vivo. La abbiamo incontrata a margine della presentazione della prima parte della stagione intitolata Poker d’Assi, con 4 appuntamenti e 32 recite al Teatro delle Muse.
Velia Papa da poco peraltro è stata insignita del Premio Nazionale Franco Enriquez “per una comunicazione e un arte di impegno sociale e civile” -Città di Sirolo- (Ancona) nella Categoria Festival e Rassegne di impegno sociale e civile, sezione Direzione Artistica con la seguente motivazione: “Per l’affermazione e la rinascita, in ambito nazionale e internazionale, di un festival che ha anticipato i tempi e proposto negli anni nuovi modi di concepire l’Arte e la Comunicazione, per le scelte culturali di alto profilo civile per le coinvolgenti proposte di teatro, danza, performance, musica, un grazie a Velia Papa, curatore artistico di INTEATRO Festival, direttore di MARCHE TEATRO e anima del festival fin dalla sua nascita nel 1977, in compagnia del suo ideatore il compianto regista Roberto Cimetta. INTEATRO Festival è la punta di diamante dell’attività estiva di MARCHE TEATRO, nel corso dei suoi 42 anni, sono stati ospitati più di 8.000 artisti provenienti da tutti i paesi del mondo”.
Velia, siete stati fra i primi a riaprire dopo il lockdown e ora fra i primi a presentare la stagione. È un segno che volete lanciare anche al resto della comunità dell’arte? Anche il tempo è importante in questo caso?
Abbiamo sentito l’urgenza di agire, dare ospitalità e lavoro agli artisti con i quali lavoriamo abitualmente e offrire l’opportunità per sviluppare nuovi progetti. Non possiamo attendere passivamente il corso degli eventi anche perché quando questa emergenza, si spera, sarà finita, non crediamo si possa impunemente continuare come prima.
Continuo a pensare che questo periodo così strano possa permetterci di riflettere e di mettere in discussione le nostre pratiche più consuete dell’era pre-Covid.
Che tipo di spettacolarità è stata scelta per i vostri spettatori? E soprattutto come pensate potrà essere il rapporto con il pubblico?
Non possiamo più pensare il pubblico come un’entità informe che si gonfia o si assottiglia in base all’offerta del prodotto/spettacolo più o meno mediaticamente popolare. Vanno considerate le persone, nella loro singolarità, forse più disposte ad accogliere formule di programmazione diverse dal solito. La stessa apertura delle porte di un teatro, in questo momento, è un miracolo, una sfida, un segno di ottimismo. Nello stesso atto di acquistare un biglietto c’è una percezione di eccezionalità e quindi una maggiore consapevolezza verso la scelta di uscire di casa e, insieme ad altri, assistere ad uno spettacolo.
Il rapporto con le persone che compongono il nostro pubblico è, dopo il lockdown, maggiormente orientato al dialogo e all’ascolto. Per questo abbiamo potenziato il servizio di promozione e biglietteria, aumentandone gli addetti e orientandone la professionalità verso una più elevata attenzione alle problematiche e alle esigenze dei singoli spettatori. La personalizzazione del servizio ci pemette ora un lavoro più in profondità, meno condizionato dalla quantità delle persone in sala, un elemento del resto impedito dalle regole del distanziamento.
Abbiamo riaperto il teatro il 15 giugno con una proposta del tutto originale, a metà strada tra la performance visiva e il teatro d’attore, L’Attore nella Casa di Cristallo, un lavoro firmato da Marco Baliani, creato proprio per parlare degli attori, del teatro e della situazione in cui eravamo precipitati durante il lockdown.
Abbiamo poi, in successione, prodotto Miracoli Metrolitani di Carrozzeria Orfeo ed ora siamo in debutto con Promenade de santè diretto da Giuseppe Piccioni, un lavoro a metà strada tra teatro e cinema. Riprenderemo “ Una notte sbagliata” di e con Marco Baliani, i due atti unici di Eduardo De Filippo diretti da Calo Cecchi “L’artefice magico” e “Dolore sotto chiave” poi a gennaio lo spettacolo “Orgoglio e Pregiudizio” di Arturo Cirillo.
Oltre alle produzioni stiamo lavorando ad un programma di residenze creative e una rassegna di proposte di giovani artisti legati al nostro territorio.
Che tipo di risposta avete avuto dagli artisti e che tipo di progettualità sarà possibile con scuole, territorio, che sono il lato più incerto e fragile in questo scenario per la presenza di un soggetto come il vostro che è sempre stato comunque accogliente e propositivo in questo senso?
Ai giovanissimi, alle scuole, agli utenti più fragili abbiamo dedicato uno spazio permanente: Il Teatrino del Piano. Gli artisti della storica compagnia Teatro del Canguro che gestiscono lo spazio hanno proposto in questo periodo nuove creazioni e progetti rivolti specificatamente a queste categorie.
In generale gli artisti con cui lavoriamo sono molto attenti al rapporto con il pubblico e disponibili a progetti complementari alla fruizione dello spettacolo. Ci siamo anche attrezzati per la trasmissione in streaming di tutte le nostre attività in modo da amplificarne la fruizione. Inoltre, stiamo sperimentando progetti multiformi capaci di generare oltre al teatro, altre forme dal cinema alla sperimentazione digitale. Per questo credo che questo momento non vada sprecato o vissuto passivamente perché ci permette quel lavoro di sperimentazione di nuove forme che manca da tempo al nostro teatro.
Cosa pensi debbano fare in questo contesto le istituzioni? E i teatri?
Penso che, una volta usciti da questa emergenza sanitaria, il Mibact debba rivedere le modalità con cui vengono erogati i fondi FUS. Non possiamo ridurre il ruolo dei nostri teatri e mi riferisco principalmente alle strutture produttive, ad un insieme di numeri orientati alla quantità (tassi di riempimento delle sale, spettacoli rappresentati, etc). Abbiamo constatato, in un momento di difficoltà come questo quanto sia importante l’infrastruttura produttiva.
Non possiamo svilirla o sottovalutarla e non possiamo neanche irrigimentarla dentro una serie di norme e parametri inattuali. Dobbiamo permettere una maggiore flessibilità al sistema della produzione. Dobbiamo dare più spazio alla sperimentazione di nuove progettualità rendendo i nostri sistemi culturali più permeabili tra loro e guardare di più, anche nel nostro settore, all’innovazione delle pratiche, alla ricerca multidisciplinare, alle collaborazioni internazionali.
I nostri teatri devono traghettare la comunità artistica verso una proiezione internazionale e una complementarietà tra teatro, cinema e televisione.