LAURA BEVIONE | A Torino, dal 2012, si svolge ogni anno in settembre un festival dedicato alla sostenibilità: teatro ma anche laboratori e incontri per fare il punto della situazione e riflettere insieme sulla china tutt’altro che positiva su cui stiamo avviando il nostro malandato e finora fin troppo paziente pianeta. Si tratta di Earthink Festival, ideato e diretto da Serena Bavo e realizzato dall’Associazione Culturale Tékhné.
Una rassegna composita e intraprendente che comprende anche un bando indirizzato a testi teatrali che trattino tematiche ambientali e, ai vincitori, è poi assicurata la possibilità di messa in scena nel corso dell’edizione successiva del festival.
Così è stato per i due lavori premiati lo scorso anno, ossia L’impollinatore, di e con Giovanni Guidelli – in scena con lui anche Francesco Grifoni – e The day before, di Fabio Marchisio: entrambi gli spettacoli sono stati inseriti nel cartellone di #connessioni, com’è stata intitolata l’edizione 2020 di Earthink, necessariamente riformulata per poterci comunque essere malgrado le restrizioni imposte dall’emergenza Covid-19.
La direzione artistica, vinto l’iniziale scoraggiamento, ha rimesso mano a un programma sostanzialmente già disegnato e approntato – calendario e spazi in gran parte stabiliti – e ha inventato un’edizione interamente “sostenibile” che, probabilmente, ha consentito alla rassegna di raggiungere obiettivi forse inattesi, quale, primo fra tutti, un ampliamento del proprio pubblico.
Accanto all’Imbarchino – storico locale sul Po, scelto sovente quale luogo per eventi pubblici – Serena Bavo ha individuato alcuni cortili condominiali, nella periferia Nord e in quella Sud della città, quali arene in cui allestire gli spettacoli e tenere i laboratori previsti dal cartellone, coinvolgendo gli abitanti come spettatori attivi, in una sorta di baratto creativo: l’ospitalità ricevuta “ripagata” con l’arte che, troppo spesso, fatica a uscire dai luoghi deputati.
La vostra cronista teatrale è stata accolta nell’ampio cortile con ingresso da via Cuneo 30, nel quartiere Aurora, non troppo distante dal mercato di Porta Palazzo e caratterizzato da un alto tasso di emigrazione e da sacche di emarginazione che, a intervalli più o meno regolari, esplodono in piccoli fuochi che, per qualche giorno, incendiano l’opinione pubblica e la politica cittadina per poi spegnersi e ritirarsi nella propria ribollente clandestinità.
Il cortile di via Cuneo è uno spazio ampio e curato, con aiuole e alberi, sul quale si affacciano palazzi di edilizia popolare che risalgono ai primi decenni del secolo scorso, come testimonia l’architettura elegantemente liberty. Una micro-comunità in cui si mescolano lingue e profumi, una sorta di villaggio incistato dentro la metropoli: i bambini giocano insieme e i più grandi badano ai più piccoli, le mamme chiamano perché la cena è pronta e scambiano chiacchiere fra loro attraverso i balconi. Una comunità in cui i bambini sono di tutti, come avveniva un tempo in campagna e come avviene ancora in continenti forse più poveri ma in possesso di una solida idea di cosa sia l’umanità.
Una lunga introduzione quasi antropologica, indispensabile per raccontare lo spettacolo che in questo cortile è andato in scena, ossia The day before, scritto e diretto da Fabio Marchisio e interpretato da Lorenzo Bartoli e dalla giovanissima Giuditta Guidotti.
Un rettangolo di terra, occupato da un cassonetto di plastica e disseminato di oggetti raccogliticci vari, è l’habitat di due creature – Mann e Wemann – che, forse, sono le uniche sopravvissute a una qualche catastrofe naturale. In un’atmosfera che oscilla fra Beckett – il cassonetto dell’immondizia rimanda immediatamente a Finale di partita – e Pinter – i due protagonisti, a differenza dei personaggi dell’irlandese, hanno comunque una storia precedente alla loro comparsa in scena, come accade, invece, nei plays dell’inglese – assistiamo agli affettuosi battibecchi fra i due, che potrebbero essere padre e figlia, ma forse sono semplicemente due estranei divenuti per causa di forza maggiore complici.
Non è volutamente chiaro cosa sia accaduto alla Terra ma sono, invece, esplicite le conseguenze: una marea di plastica che ricopre e soffoca l’intera superficie terrestre, deprivando l’umanità dei mezzi per sopravvivere. Mann va alla ricerca di qualcosa da mangiare e rievoca un passato avventuroso che, probabilmente, è esistito soltanto nella sua fantasia, mentre Wemann passa molto tempo nel suo cassonetto, dormendo e cantando e, soprattutto, cercando di scoprire com’era un tempo quel pianeta che lei non ha conosciuto.
Fra i due i toni sono bonariamente burberi: lei alterna italiano e inglese, lui tenta di nascondere alla ragazza l’entità dell’apocalisse in cui sono immersi. Senso di protezione e ricerca di sicurezza, speranza di non essere rimasti soli e che qualcosa finalmente accada: il rapporto fra i due mescola istinto di sopravvivenza e altrettanto innato sentimento di solidarietà e affetto suscitato dalla condivisione di una condizione di vita estrema.
II testo di Fabio Marchisio riesce a trattare del concreto pericolo di catastrofi ambientali senza cadere nella retorica né nei luoghi comuni bensì inventando, paradossalmente, una situazione volutamente indefinita e sospesa, descritta ricorrendo a pochi elementi – il cassonetto, l’audiocassetta con la registrazione di una vecchia trasmissione radio, le riviste, una statuetta di Lourdes– efficaci correlativi oggettivi di un mondo in lento disfacimento.
Simbolismo calato in una situazione concreta e a tratti comicamente surreale e che si traduce in uno spettacolo inquieto e sbarazzino, teneramente commuovente ma pure assai conturbante, interpretato con sincera adesione dai Bartoli e Guidotti che, fra l’altro, hanno dimostrato matura flessibilità nel mantenere la concentrazione e nell’inserire nello spettacolo i piccoli “incidenti” dovuti al particolarissimo luogo in cui lo spettacolo è andato in scena. Il desiderio degli spettatori più piccoli di interloquire con gli interpreti, le mamme che richiamavano i bambini a casa per la cena, il passaggio di coloro che tornavano dal lavoro: Lorenzo e Giuditta sono stati abilissimi nello sfruttare questi “fuori programma” per sottolineare alcuni temi del testo – come la mania per l’accumulo di cose – e per coinvolgere il pubblico – alla fine si canta tutti insieme il motivo intonato dalla ragazza durante lo spettacolo. Non solo, dopo gli applausi, i bambini, felici, hanno aiutato a ripulire “palco” e “platea” della carta e dei rifiuti che costituivano parte della scenografia.
Ecco allora come uno spettacolo teatrale si è tramutato in esperienza inedita e sicuramente da ricordare tanto per gli artisti – andare in scena in un luogo non protetto come questo cortile in una zona popolare consente certamente di riflettere tanto sulla propria professionalità quanto sulla propria motivazione – quanto per gli abitanti/spettatori, finalmente coinvolti non solo propagandisticamente in un evento culturale.
Un’occasione per ricordare come il senso vero del teatro sia la comunicazione, quella che si instaura fra la scena e la platea e che può giustificare l’ambizione degli artisti di stimolare pensieri e cambiamenti nei propri spettatori. Così, forse, qualcuno di quei bambini che, attenti, hanno assistito a The day before, saprà invertire quel cammino verso la catastrofe intrapreso dall’umanità, regalandoci magari un futuro migliore…
THE DAY BEFORE
drammaturgia e regia Fabio Marchisio
scene e costumi Eleonora De Leo
interpreti Lorenzo Bartoli, Giuditta Guidotti
produzione Fabio Marchisio
Cortile di Via Cuneo 30, Torino
18 settembre 2020