LAURA CARUSO | Sono più o meno cinque mesi che sulla pandemia in corso non ho più speso una parola, questo è successo essenzialmente perché quella vaga idea che “ne saremmo usciti migliori” si è trasformata in “speriamo di non uscirne troppo più stronzi di prima”: non mi era mai capitato, in 55 anni di vita, di affrontare un tema altrettanto divisivo.
Sono nel mezzo di quelle due fasce estreme che si dividono tra l’imminente senso di fine del mondo e la negazione del rischio, quel mezzo che però tende ad assottigliarsi sempre più, come se fosse necessario prendere una posizione che sia “moriremo tutti” (il che è comunque certamente vero, nel medio-lungo periodo) oppure “è solo un’influenza”.
C’è poi quella componente, un po’ all’antica, di chi non ha studiato all’università della strada della vita ma in qualche ateneo che rilascia titoli aventi validità legale, che mi induce a non parlare troppo delle cose che non conosco bene e ogni volta che l’ho fatto, valutandolo a posteriori, ho sbagliato.
Mi è capitato, oggi, di leggere un pensiero di un’amica sull’ipotesi di un’imposta patrimoniale e mi sono detta: io questa cosa la conosco, la mia ormai antica tesi di laurea (fine anni ‘80), in scienza delle finanze, si concentrava proprio sui sistemi impositivi in quella che allora era solo la comunità economica europea in procinto di diventare un’unione di stati.
Tesi a parte, ho continuato ad occuparmi anche di fiscalità per tutti questi trent’anni.
Bene: molte persone rispondevano: ma che c’entra un’imposta patrimoniale con il covid?
E ancora: le imposte mica fermano il virus!
Io mi sono affacciata per dire laconicamente che sì, servirebbe eccome, che sarebbe servita già mezzo secolo fa e che forse questo è proprio il momento giusto per introdurla.
Una signora, che non conosco, mi ha detto che non è così, che i ricchi porterebbero via i patrimoni dall’Italia, io ho risposto che un sistema tributario equo non dovrebbe basarsi solo su imposte sul reddito facilmente oggetto di evasione ed elusione e imposte indirette sui consumi (IVA), ma che il principale indicatore di ricchezza per un’imposta diretta è proprio il patrimonio. Ho aggiunto che un sistema in cui un lavoratore, dipendente o autonomo che sia, neppure con stipendi o compensi stellari, arriva ad aliquote Irpef e addizionali che si avvicinano alla metà del proprio reddito lordo, mentre chi ha la proprietà di immobili e li mette a reddito oppure di titoli e altri valori mobiliari gode di agevolazioni che limitano il prelievo al 21% (cedolare secca) o al 26% (rendite finanziarie), non è un sistema equo.
La signora ha detto che abbandonava la discussione perché era amareggiata, perché i ricchi tanto hanno già portato via tutto e che una patrimoniale colpirebbe la casa e i risparmi dei cittadini onesti, e anche perché era pacifica.
Ora, anche io sono pacifica, mica volevo litigare, ma mi piacerebbe esprimere meglio perché una patrimoniale, oggi, questa notte stessa, sarebbe una buona idea.

Io sono abbastanza vecchia da ricordare, già da professionista, quella notte d’estate del 1992 in cui il Governo Amato impose una patrimoniale sui depositi bancari del 6 per mille e istituì l’Imposta Straordinaria sugli Immobili (ISI), che divenne poi ICI e in seguito IMU.

Foto di famiglia del primo governo presieduto da Giuliano Amato in occasione del giuramento, il 28 giugno 1992. Il governo Amato si dimise il 22 aprile 1993. ARCHIVIO / ANSA / PAL
Il giorno dopo ci svegliammo e quel 6 per mille era già stato addebitato dalla nostra banca e indirizzato verso le casse dello Stato.
Un blitz? Sì, un blitz! Non è un blitz chiudere la saracinesca al sabato e scoprire la domenica che lunedì non la si potrà più rialzare?
Se questa notte il Governo Conte facesse qualcosa di simile, si potrebbero colpire patrimoni consistenti, perché non è vero che i ricchi hanno già portato via tutto e, anzi, ci sono in questo momento nei circuiti bancari e del risparmio amministrato e gestito circa 2 mila miliardi di euro, mentre altri 6 mila miliardi di euro è il valore degli immobili degli italiani.
L’obiezione potrebbe essere: eh, ma sono le nostre case, i nostri risparmi.
Siete sicuri? Nostri di chi?
Se cercate negli archivi, a nove mesi risale una ricerca pubblicata dal Sole 24 ore, dalla quale emerge che il 20% della popolazione detiene il 70% della ricchezza, quindi, facendo qualche calcolo su dati di cui vi risparmio le fonti ma che posso certamente fornire a chi ne avesse la curiosità, emerge che ci sono alcune famiglie (una su cinque) il cui patrimonio è valutato mediamente intorno a 1,1 milioni di euro e molte di più (quattro su cinque) il cui patrimonio medio è poco più di 100 mila euro.

Le famiglie della seconda classe sono la maggior parte (l’80%), siamo noi e quelle sono le nostre case e i nostri risparmi. Le famiglie della prima classe sono, invece, i ricchi, talvolta ricchissimi.

Se il Governo applicasse una patrimoniale del 6 per mille alla ricchezza delle poche famiglie ricche, porterebbe a casa circa 34 miliardi di euro, magari se lo scrivo così è più chiaro: € 34.000.000.000,00, che, se fossero redistribuiti tra i circa 735 mila esercizi commerciali e i circa 250 mila lavoratori dell’arte e dello spettacolo, consentirebbero a tutti loro di avere 34 mila euro subito per affrontare questi tre, sei, nove mesi chissà, con meno assillo.
Se ci fosse una franchigia di 100 mila euro di patrimonio, per salvaguardare le famiglie non particolarmente benestanti, dovrei pagare qualcosa anche io, ma ne sarei felice, prima di tutto perché la solidarietà gratis coi cuoricini su facebook serve a poco, e in secondo luogo perché a fronte dei miei pochi-mila euro di contributo potrei vedere chi ha 10 milioni di patrimonio sborsarne 60 mila, e non si tratta di cinismo invidioso: si tratta di equità di un sistema tributario che realizza il suo principale obiettivo: trasformarsi in equità sociale.
Io non so se sia giusto chiudere, non chiudere, che cosa chiudere, non lo so, ma ho in testa che, se si decide di chiudere qualcosa, non si deve lasciare al proprio destino i cittadini ai quali viene impedito di continuare a lavorare.
Ho anche in testa che è troppo comodo fregarsene di chi non ha la possibilità di continuare a lavorare come me o molte altre persone in nome di un non meglio precisato obiettivo di salute pubblica che in realtà è spesso semplice paura personale, ed è troppo semplicistico anche gridare che “è una dittatura sanitaria” e che “il Governo ha sbagliato”.
Quel che a me pare rilevante, invece, è questo: se dopo aver fatto valutazioni scientifiche e politiche si decide di prendere decisioni che escludono certe categorie dal diritto al lavoro, a queste si devono anche abbinare scelte di politica fiscale altrettanto drastiche, ché ormai che dobbiamo lavarci le mani e mettere la mascherina lo abbiamo capito.
Ecco che cosa c’entra un’imposta patrimoniale con il covid.