LAURA BEVIONE ed ELENA SCOLARI | LB: Essere di nuovo seduta in platea, immergersi nel buio e introdursi per un paio d’ore in una realtà “altra”: è passato poco più di un mese un mezzo dall’entrata in vigore del Dpcm che ha ri-chiuso, per ora sine die, le sale teatrali in Italia e sembra un’eternità… La vostra cronista teatrale, tuttavia, ha avuto il privilegio di assistere a una replica a porte chiuse di un nuovo allestimento de I due gemelli veneziani diretto da Valter Malosti e prodotto da Teatro Stabile del Veneto con Fondazione TPE e Teatro Metastasio di Prato.
ES: Beata te! io invece ho scelto di vedere lo spettacolo in streaming, un po’ per curiosità, un po’ per necessità e un po’ per poter fare con te un confronto con la visione “de visu”.
LB: Lo spettacolo avrebbe dovuto debuttare lo scorso 3 dicembre e poi percorrere l’Italia fino a febbraio 2021: in attesa di un’auspicata riprogrammazione della tournée, è stato possibile vederlo gratuitamente online, domenica 13 dicembre, sulla piattaforma Backstage dello Stabile del Veneto. Un’opportunità che, se non ha potuto sostituire l’unicità dell’esperienza dal vivo, ha certo stimolato il desiderio di assistere in teatro a uno spettacolo che ha il merito di spazzare via dal “monumento” Goldoni la polvere composta da consuetudini oramai stantie e facili scorciatoie interpretative.
ES: Un debutto preparato sapendo di non poter recitare davanti a un pubblico in carne e ossa ha senz’altro modificato anche il sentimento degli attori. Sarà interessante sapere quanti spettatori hanno deciso di vedere I gemelli dal divano di casa propria.
Come afferma Marco Foschi (nell’intervista di Giambattista Marchetto su Il Gazzettino), agilissimo nel mutare identità sulla scena tra un gemello e l’altro e sorprendentemente non veneto (per una lombarda): “Per noi la presenza del pubblico è essenziale, apre un dialogo che non è solo fisico. È il respiro del pubblico che manca tantissimo, perché lo sforzo fisico e mentale dell’attore è sempre orientato ad avere una risposta dalla sala”.
LB: Valter Malosti, in collaborazione con la drammaturga Angela Dematté, ha in parte sfrondato il testo goldoniano – e, fra l’altro, proprio in queste settimane è uscita in libreria l’edizione critica del testo, pubblicata nell’Edizione nazionale delle Opere di Goldoni edita da Marsilio – interpolandolo con suggestioni e vere e proprie citazioni tratte da contemporanei dell’autore veneto quale Marivaux ma pure Foscolo, il melodramma italiano e Fellini, e ancora una certa iconografia pittorica rococò, da Tiepolo a Wattau, e un paesaggio perturbante, oscuro e quasi metafisico.
ES: A proposito dell’oscurità Malosti afferma che “il colore dello spettacolo deriva direttamente dal testo” (stessa intervista su Il Gazzettino). Se è vero che il doppio è tema centrale dell’opera e si riverbera sia nella coppia Zanetto/Tonino sia nella commistione di elementi comici e di elementi cupi, io trovo altrettanto vero che l’atmosfera fosca e tenebrosa avrebbe potuto forse svelarsi man mano seguendo le note criminose che emergono nell’intreccio, piuttosto che ammantare tutta la vicenda fin dall’inizio.
LB: Sforbiciati duelli e lazzi, rallentato il meccanismo comico che innerva il dramma goldoniano, Malosti e Dematté lasciano emergere l’altra faccia della commedia, rabbuiata da invidia patologica e avidità – di cose e di sentimenti – da spregiudicatezza ed egotismo; da amoralità e pragmatico cinismo. Non solo, malgrado la paradossale difformità di carattere dei due gemelli protagonisti – interpretati entrambi dal mirabilmente eclettico Marco Foschi, convincente sia nei panni dello sciocco Zanetto sia in quelli dello spregiudicato Tonino – ne viene sottolineata quella inconsapevole ma salda «corrispondenza d’amorosi sensi» che fisiologicamente unisce chi per nove mesi ha condiviso lo stesso utero.
La commedia perde così la sua rassicurante patina di stringente gioco scenico, rispettoso di tutte le regole e le convenzioni drammaturgiche dell’epoca – disguidi e agnizioni finali, giustizia apparentemente trionfante e furberie da servi, duetti amorosi platonici ovvero maliziosamente carnali – per rivelare la sua natura di farsa inquieta e inquietante, specchio del sostanziale pessimismo di Carlo Goldoni sulla reale esistenza di una legge morale nel cuore degli uomini, dovuto alla sua lucida pratica del mondo.
ES: Tutto giusto, del resto lo spettacolo comincia proprio con il cadavere di Tonino su un tavolo, a mo’ di obitorio, seppur ancora vestito del suo scintillante costume. Il defunto è vegliato da un tenebroso Pulcinella (Marco Manchisi), simbolica maschera della morte che come ombra sempre ci accompagna, celiando sulla nostra misera finitezza. Finiamo poi per dimenticarcene ma una delle due morti è quindi annunciata come un monito, come se segnasse tutto ciò che avviene dopo. Pulcinella torna – triplicato – per il finale, in una scena esteticamente molto bella, peccato solo che Rosaura gli si rivolga direttamente, annullando la distanza dimensionale tra i due mondi.
Va però detto che, secondo le parole di Goldoni, la morte del disgraziato Zanetto provocava un irrefrenabile sbellicarsi di risa tra il pubblico dell’epoca. I gemelli rimangono pur sempre una commedia e questa osservazione di cronaca settecentesca colpisce, oggi, momento in cui viviamo una deprecabile tendenza all’edulcorazione e una malaugurata volontà di “sanificare” anche la scena da immagini e gesti scorretti o spaventosi.
LB: Ecco, dunque, la lettura esplicitamente oscura del personaggio di Pancrazio – cui Danilo Nigrelli regala untuosa e luciferina consistenza – misogino e lascivo, avido e abile nel piegare la propria lucida razionalità al soddisfacimento di pulsioni niente affatto irrazionali. E, ancora, l’ambigua modalità di essere padre del Dottor Balanzoni – il viscidamente cortese Alessandro Bressanello – che ha salvato da morte certa una bambina, l’ha cresciuta come una figlia eppure non esita a offrirla rapidamente in moglie.
ES: Per il subdolo Pancrazio c’è soprattutto il problema dell’età: è vecchio. E la pesante differenza d’età era certamente malvista, nella morale goldoniana. Era disprezzabile un anziano signore, per giunta nemmeno ricco, che tentasse di sedurre una giovane dama.
LB: C’è poi l’ambivalenza amorosa che sfiora inconsapevolmente l’incesto, dell’innocente e tuttavia maliziosa Rosaura/Flaminia – la giovane e diligentemente coinvolta Anna Gamba; e quella della vedova Beatrice, divisa fra dignità e passione – l’elegante e sicura Irene Petris. Una doppiezza scansata unicamente dai servi: i disinvolti Marco Manchisi e Camilla Nigro, nei panni di Arlecchino/Pulcinella e Colombina, sottolineano la dichiarata pragmaticità e l’utilitaristico eppur pacifico buon senso dei propri personaggi che, dunque, non fa che evidenziare ulteriormente le ombre che avvolgono i rispettivi “padroni”.
ES: Ecco, il personaggio di Marco Manchisi, bravo come sempre, è a mio parere un nodo non riuscito del lavoro: il suo Arlecchino è, secondo Malosti, “un immigrato che parla veneto con accento meridionale”; in realtà parla un po’ napoletano e un po’ veneto ma senza che se ne intravveda una separazione di senso nell’utilizzo dell’una o dell’altra cadenza. E anche per lui c’è un problema di età, ma stavolta perché non è credibile che un uomo sulla sessantina possa far invaghire la giovanissima Colombina, qui sbilanciata su una torva Rottermeier senza mai alcuna nota della garrula e furba servetta goldoniana.
LB: L’oscurità è amplificata dalla scenografia, creata da Nicola Bovey, il quale ha costruito un luogo delimitato da alte strutture grigio scuro a circoscrivere alternativamente strade e piazze ma anche stanze private e sale da pranzo; e illuminato da fiochi chiaroscuri. Uno spazio mentale, prima ancora che fisico: una proiezione di un inconscio ribollente e mal governato da un debole Super-io.
Un’impostazione che, nondimeno, non deve far pensare a una lettura unilateralmente – e finanche artatamente – noir ovvero psicanalitica, poiché al contrario Malosti è abile nel preservare un accorto equilibrio fra fedeltà all’universo poetico ed esistenziale del Goldoni uomo del Settecento e la necessità di lumeggiare quanto delle sue intuizioni sull’umanità sia sopravvissuto e, magari, sia stato approfondito nella contemporaneità.
ES: Questi aspetti scenografici e registici, purtroppo, si perdono quasi completamente nella visione su schermo: il maggior fastidio – al netto dell’infelicità della spettatrice azzoppata – è subire la scelta della regia televisiva che decide per te cosa devi vedere e dove devi guardare. Non avere la visione d’insieme, non vedere cosa fa e come si muove l’attore che non sta parlando, quale espressione assume in risposta alle battute dell’altro è frustrante, e se scorgiamo ogni singola ruga o il lavoro non perfetto del dentista nelle bocche di alcuni interpreti, non ci è permesso sentire il vero respiro dello spettacolo, dato anche dalle pause, dai cambi, da entrate e uscite dei personaggi. È eliminata ogni sbavatura, ogni errore di ritmo, ogni adorabile inciampo che rende umano e unico l’atto teatrale.
(Impossibile poi capire, da casa, chi sia la signora velata e illuminata di rosso mistero che compare poco prima della chiusa, a fondo scena e inquadrata solo da lontano).
LB: Il regista torinese riesce a conquistare una misura che, se da una parte restituisce la ricchezza linguistica e speculativa di Goldoni – non soltanto abilissimo maestro nella costruzione scenica ma altrettanto acuto conoscitore dell’animo umano – dall’altra ne rivela tanto le influenze più o meno volontariamente introiettate quanto le visioni, le affinità elettive, le rivelazioni che è stato in grado di stimolare e portare alla luce.
ES: Luce ce n’è poca, in questi Gemelli! Ci si muove tra dark ladies, animi tormentati e insoddisfatti, padri falsi nel doppio senso del termine, grettezza che finisce in crusca, avvelenata.
LB: Malosti mette a mio avviso una “giusta distanza” dalla tradizione di messinscena così come dalle attualizzazioni più spinte, che si traduce in uno spettacolo di raro equilibrio fra divertimento e pensosità, fedeltà e invenzione, curiosità e disincanto verso la natura umana. Equilibrio conquistato anche grazie alla coesa qualità del cast e a un impianto sonoro che mescola armoniosamente opera ed elettronica.
Uno spettacolo che, quando finalmente riapriranno le sale, merita di avere lunga e abbondante vita.
ES: Lo rivedrò molto volentieri, seduta non sulla mia poltrona ma in una vera platea, per sentire l’odore delle assi e vedere la polvere alzarsi dal palco ai passi degli attori.
I DUE GEMELLI VENEZIANI
di Carlo Goldoni
adattamento Angela Demattè, Valter Malosti
regia Valter Malosti
scene e luci Nicola Bovey
costumi Gianluca Sbicca
progetto sonoro G.U.P. Alcaro
cura del movimento Marco Angelilli
assistente alla regia Jacopo Squizzato
assistente costumista Rossana Gea Cavallo
interpreti Marco Foschi, Danilo Nigrelli, Marco Manchisi, Irene Petris, Alessandro Bressanello, Anna Gamba, Valerio Mazzucato, Camilla Nigro, Vittorio Camarota, Andrea Bellacicco
produzione Teatro Stabile del Veneto, TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro Metastasio di Prato
Teatro Goldoni, Venezia
6 dicembre 2020
Lecco, casa
13 dicembre 2020