MARIA FRANCESCA GERMANO |  Dopo i giorni della reclusione: occhi saturati di pagine lette, di paesaggi, oltre i vetri, appannati di alito colante, di immaginette Zoom sul desktop, di voci metalliche da connessioni vacillanti, di una infinità di messaggi WathsApp: attesi e fraintesi; occhi impalliditi di serie TV; dopo i giorni della reclusione ho avuto l’audacia di uscire. Mi hanno invitata a un “gioco teatrale”, una performance itinerante per quindici spettatori nelle strade del quartiere Madonnella di Bari: Il mio cuore in differita– preludio alla VII edizione de Il peso della farfalla, rassegna di teatro e performance diretta da Clarissa Veronico per l’Associazione Punti Cospicui. La rassegna, fermata per il Decreto che ha bloccato tutto il settore dello spettacolo, è stata rimandata alla primavera 2021, ospiti: Valentina Bischi, Elena Bucci, Marco Sgrosso, Rossella Giugliano e Roberto Latini; intanto, siamo invitati a partecipare a una anteprima.

Il frastuono del sabato in città, ora, mi provoca capogiri. Mi sento frantumata e confusa. Per raggiungere il punto di incontro mi ritrovo imbottigliata nel traffico delle vie dello shopping: le luci di Natale mi increspano le palpebre, la fiumana di individui in mascherina pare infiltrarsi in ogni dove. Come da un oblò, guardo la rabbia muta e clacsonante di conducenti spazientiti; le loro bocche aperte e irose mi ricordano dannati affrescati sugli inferni delle cattedrali.
Al di là del semaforo vedo un capannello di spettatori, pochi e distanziati. Clarissa Veronico, mi accoglie. Ci spiega quello che avverrà e ci consegna una specie di pass: un cartoncino legato a un nastro di tulle nero. Ho la lettera L. Da quel momento sul mio telefono compare una notifica: sono stata inserita in un gruppo WhatsApp da cui partono le indicazioni per una specie di caccia al tesoro.
Siamo invitati a cercare una panchina e a fotografare un particolare che ci colpisce, un dettaglio da inviare nel gruppo. Nella ricerca, accompagnata da note struggenti mandate su WhatsApp, riesco a isolare i pensieri, come in una bolla. Nel gruppo scorrono fotografie, dettagli di alberi, manifesti pubblicitari, chiese e cornicioni. Veniamo esortati a raggiungere una piazza vicina. Mi sembra di non conoscere più la città. Chiedo informazioni.

Sul posto, Ermelinda Nasuto, chiusa in un paltò retrò a doppio petto rosso, è appoggiata al muro, illuminata dalla luce fioca e giallognola di un lampione sotto cui c’è una bicicletta, anch’essa rossa e retrò. Dettagli che ci sbalzano in una serata caliginosa di un altro tempo. Legge una lettera di Cardarelli a una donna. Ha una voce musicale, a tratti coperta dai rumori della città che compra. Prima di andar via con la sua bicicletta lascia cadere un fiore. Lo raccolgo.

Non c’è molto tempo per fermarsi a pensare, dobbiamo seguire il percorso. Sul gruppo compare l’audio della lettura e la traccia di una canzone.

Un messaggio mi invita a recarmi presso una profumeria del quartiere, dovrò comprare qualcosa con cinque euro. Arrivo trafelata; devo fare in fretta. Un uomo gentile mi indica le cose inutili che posso comprare per cinque euro. Scelgo senza cura, l’importante è che compri qualcosa a tutti i costi. Pago la merce e il signore dice che c’è un regalo per me. È ben incartato. Esco e corro, devo raggiungere in fretta il nuovo obiettivo. Scarto velocemente il pacchetto per strada, tra passanti che mi strattonano e auto che mi sfiorano. È un libro di Carlo Sperduti, si chiama Le cose inutili. Sorrido: ho comprato cose inutili e mi hanno donato cose utili ma ‘inutili’. Trovo che questo sia proprio un colpo di genio.
Rifletto sul fatto che mai, in questo tempo, ho avvertito in maniera così tangibile l’assurdità di un sistema in cui la Cultura è stata schiacciata da superflua chincaglieria a pagamento, dal chiacchiericcio sguaiato di una società che ha abdicato alla sua naturale tensione all’infinito barattandola con la felicità vacua e istantanea di ‘consumare’ la vita.

La voce di Leonard Cohen mandata sul gruppo mi dà un fremito di nostalgia. Ho ancora la sensazione di non riconoscere la città le cui strade percorro abitualmente. Come se si fossero trasformate in un immenso teatro, stracolmo di comparse e oggetti di scena.
In piazza Madonella Licia Lanera ha già cominciato la sua lettura. Una lettera di Majakovskji a una donna. La sua voce è a tratti sovrastata dal trambusto cittadino, ma lei ride sorniona, elevandosi con ironica grazia al di sopra del caos. Immagino il viso della donna che legge la lettera e il tempo sospeso di attesa di Vladimir Vladimirovič dopo averla inviata.

Un altro messaggio ci invita a muoverci verso corso Sonnino. La fantastica colonna sonora del viaggio ci rimanda un pezzo bellissimo degli Element of Crime.

Alla fine di un vicolo senza uscita, ai piedi di un palazzo, reso sinistro dalle ombre della semi-oscurità, sotto un faro che spara una brutta luce bianco-nosocomio, davanti a una moto, Monica Contini, seduta su un trespolo, legge una lettera di Dostoevskji a sua moglie. La sua voce senza tempo ci porta giocosamente tra parole scritte più di cento anni fa; ci dimentichiamo del condominio, delle macchine parcheggiate, del brutto faro, del signore che decide di spostare l’auto, lasciando a lungo il motore acceso e puntando in manovra gli anabbaglianti sull’attrice che continua, noncurante, la sua lettura.

Cammino verso l’ultima tappa; un messaggio ci invita a guardarci intorno e a registrare un vocale elencando cinque oggetti che colpiscono la nostra attenzione. Un negozio asiatico vende code di capelli finti tra articoli di genere alimentare. Scrostare il quartiere in cerca di dettagli ne altera la percezione e lo rende migliore. Poetico.

Gli Einstürzende Neubauten mi accompagnano nel punto da cui sono partita. Ad attenderci Iula Marzulli, ferma nel parco con un mazzo di rose rosse come in mani giunte, recita e intona, in una specie di canto, una lettera di Sebek. Nel finale, l’attrice incarta in un foglio di giornale petali rossi sfogliati e li dona a un canuto signore seduto su una panchina che,  meravigliato dischiude le labbra e chiude le palpebre in segno di ringraziamento.

Ed io penso che anche questa volta il miracolo si è compiuto. Il teatro. In forma fragile, sfilacciata, vilipesa, a ricomporre la frattura spazio-temporale di questo tempo, a saldare il patto antico tra attore e spettatore, a immaginare uno spazio dove tutto ciò che era in presenza diventa in differita, seppur nel breve tempo che scorre tra l’invio di un messaggio e la sua ricezione; un tempo in cui dimorare e ascoltare, in cui dare corpo alle emozioni e alle paure di cuori anch’essi sospesi.

Sono passati giorni; riascolto gli audio delle letture lasciati nel gruppo WhatsApp, le musiche che mi hanno accompagnata. Posso soffermarmi sulle temperature vocali, sulle inflessioni. Vedo le attrici e la città. Distanti e presenti.


IL PESO DELLA FARFALLA 

preludio IL MIO CUORE IN DIFFERITA

ideazione e direzione artistica Clarissa Veronico
collaborazione artistica e organizzativa Francesca d’Apolito
con Monica Contini, Licia Lanera, Iula Marzulli, Ermelinda Nasuto
ufficio stampa Marilù Ursi

Bari, 19 dicembre 2020

Disegno in copertina di Renzo Francabandera