RITA CIRRINCIONE | I teatri sono chiusi. Gli spettacoli faticosamente ripensati e riadattati per andare incontro alle misure anti Covid nella fase di riapertura, annullati o congelati. Gli sforzi per adeguare gli spazi, sanificare gli ambienti, contingentare e distanziare gli spettatori, inutili. Il pubblico subisce la privazione di qualcosa che nella mente di chi ci governa continua a essere considerato, quasi in modo moralistico, solo uno svago, mondano e frivolo, da eliminare senza starci tanto a pensare. L’alternativa dello streaming ha mostrato abbondantemente la corda rivelandosi per quello che è: l’antiteatro, se per teatro intendiamo la risultante tra ciò che accade in scena e il corpo vivo di chi vi assiste. Una certa parte della comunità artistica oscilla tra rabbia e autocommiserazione. La pandemia non allenta la morsa. Che fare?

Per fortuna il rimedio arriva dove nasce il male: tra disastri economici, frustrazioni e senso di paralisi, c’è anche un mondo artistico che ribolle di idee, che sta trasformando i tremendi limiti imposti dalla pandemia in risorse creative e rivitalizzanti che probabilmente lasceranno il segno.
Facendo leva  sullo spirito di sopravvivenza e sulla darwiniana facoltà di adattamento, avvalendosi dell’inventiva compromissoria della disperazione, recuperando l’estetica del piccolo e del povero e l’arte antica di arrangiarsi, il mondo dello spettacolo — quello giovane e indipendente dei piccoli spazi, quello al riparo da grandi finanziamenti e sovvenzioni – ha avviato uno straordinario processo di cambiamento e messo in campo una serie di idee originali e fantasiose impensabili in tempi di vacche grasse (si fa per dire).

E per farlo spesso ha tratto ispirazione proprio dai limiti dovuti all’emergenza sanitaria o, come nel nostro caso, da pratiche balzate in auge con il lockdown come il food delivery. Si sa, il fenomeno non è scevro da ombre: i rider sono sottopagati, scarsamente tutelati, in balia di rapine e aggressioni, ma in tempi di magra non si può fare tanto gli schizzinosi.

Cristiana Minasi del duo Carullo-Minasi

Lanciata da Spazio Franco e Babel Crew in collaborazione con Latitudini – Rete della scena contemporanea siciliana e con Palermo suona, patrocinata dalla Regione Siciliana – Assessorato Turismo Sport e Spettacolo, Franco Delivery Show è una modalità di proposta artistica in cui gli artisti pubblicano sui social i “pezzi” del repertorio che intendono proporre; il pubblico, consultato il menu, ordina una performance in delivery e la riceve gratuitamente sotto casa.

“Non si tratta di una soluzione ma di un’occasione per ridare slancio allo spettacolo dal vivo, per guardarlo da un nuovo punto di vista e per riprendere il dialogo con il pubblico” dice Giuseppe Provinzano, capofila del progetto.

Chiaraluce Fiorito

In realtà l’idea trae ispirazione da un progetto di Ippolito Chiarello, il Barbonaggio Teatrale, che risale al 2009. Ormai da anni, infatti, l’attore pugliese propone i suoi spettacoli anche in luoghi non teatrali vendendoli “a pezzi” a un pubblico di passaggio che lo paga secondo un listino predisposto dall’artista stesso.

L’idea di uscire dal teatro, di cercare nuove strade, di andare incontro alla gente, nata come scelta simbolica di protesta e di denuncia rispetto al sistema teatrale italiano, come scatto di indipendenza dalle istituzione, ora che i teatri sono chiusi e gli artisti sono rimasti “senza fissa dimora”, diventa un atto necessario, un modo di resistere, di reinventarsi almeno per quel teatro che vede nella strada o nello spazio urbano un luogo naturale dove incontrare il pubblico. Sono tantissime le realtà artistiche – in Italia e non solo – che hanno ripreso il progetto e riproposto questo format nelle grandi città e nei territori periferici dove è particolarmente importante mantenere vivo il rapporto con un pubblico di recente formazione.

Ambra Maniscalco e Marco Lo Cicero

Riprendendo l’intuizione di Chiarello, il progetto Franco Delivery Show ha lanciato il bando, ha curato la selezione degli artisti, la parte logistica e l’aspetto comunicativo e ha lasciato al singolo artista la libertà di seguire autonomamente la realizzazione della propria performance occupandosi degli aspetti tecnici – scena, costumi, luci, audio – spesso in modalità unplugged e comunque “con il minimo delle risorse e il massimo delle creatività”.

Una volta selezionati in tutto il territorio siciliano i cinquanta artisti – attrici, attori, danzatrici, danzatori, musiciste, musicisti, narratrici, narratori, cantanti, performer, artisti di strada, senza limiti di età che sono andati a formare una U.S.C.A. (Unità Speciali Continuità Artistiche) siciliana – dal 21 al 31 dicembre 2020 ha avuto luogo la consegna a domicilio delle performance a chi ne ha fatto richiesta.

Enza Mortillaro

In sella a una bici o una moto, su pattini o monopattini o con qualsiasi altro mezzo di locomozione a disposizione, gli artisti hanno portato in giro i loro spettacoli in cortili, androni, strade, giardini, piazze, parcheggi, banchine, esibendosi davanti a un pubblico ristretto (nuclei familiari, piccoli gruppi di condomini o di passanti casuali) che, dalla finestra o da un balcone o disponendosi in minuscole platee improvvisate, vi hanno assistito.

La misura della fame di teatro dal vivo, di contatto reale tra comunità artistica e pubblico è stata data dal successo dell’iniziativa, dalla straordinaria adesione alla call e dal numero di ordinazioni arrivate. Ben presto le tre performance che ciascuno degli artisti poteva offrire gratuitamente dietro garanzia di Spazio Franco si sono esaurite e molti di loro hanno avuto la richiesta di proseguire il servizio delivery a spese del singolo committente.

Collettivo diARiA

Lanciata come tentativo di recuperare il rapporto dal vivo con il pubblico e di trovare un’alternativa agli spettacoli in streaming in un momento in cui l’accesso ai teatri è interdetto, l’idea del delivery show ha messo in luce, da un lato, l’umiltà dei tanti artisti che hanno aderito, la loro disponibilità a mettersi in gioco e il coraggio di esibirsi in condizioni estreme, privi di ogni comfort tecnico; dall’altro la risposta calorosa e appassionata del pubblico, non solo quello degli habitué, ma anche del “pubblico per caso”, scovato nei condomini e intercettato per strada che un giorno, quando questa traversata del deserto sarà finita, forse sentirà la spinta a entrare in un teatro. Dopo tutto, è l’esperienza dolorosa della mancanza a insegnarci il valore delle cose se, come ci suggerisce Emily Dickinson, L’acqua è insegnata dalla sete./ La terra, dagli oceani trascorsi./ La gioia, dal dolore./ La pace, dai racconti di battaglia./ L’amore, da un’impronta di memoria./ Gli uccelli dalla neve.

Il programma di FRANCO DELIVERY SHOW